FORCHETTONI AL LAVORO PER IMBANDIRE IL CENTRO-TAVOLA: CALENDA, RENZI, TOTI, EX FORZISTI E SVOLTAPAGNOTTA STANNO CERCANDO DI METTERE INSIEME UNA “COSA DI CENTRO” PER NON RESTARE FUORI DAL PARLAMENTO NEL 2023
MA ATTENZIONE A LETTA E MELONI: POTREBBERO, CIASCUNO PER LA SUA PARTE, “CREARE” UNA STAMPELLA CENTRISTA PER NON RESTARE SCHIACCIATI UNO DAI GRILLINI L’ALTRA DA SALVINI-BERLUSCONI
Ad ogni finale di legislatura c’è sempre chi tenta di sfatare la maledizione del centro e mira a rompere quel tetto di cristallo che da quasi trent’ anni lo tiene imprigionato nel bipolarismo. Ci provano anche stavolta e sono in tanti. Vivono in un arcipelago di piccole formazioni politiche poste al confine dei due schieramenti.
Rappresentano una forza di interposizione eterogenea che ha numeri rilevanti nel Palazzo ma non nel Paese, a leggere i sondaggi. In potenza lo spazio per realizzare il disegno ci sarebbe, vista la condizione in cui versano i due blocchi. Solo che – per dirla con il governatore ligure Toti – c’è da dare prima risposta a una domanda: «Il centro riuscirà a unirsi e a creare una massa critica autonoma, o al dunque i partitini sceglieranno di aggregarsi alle coalizioni, sapendo a quel punto di essere sostanzialmente residuali?».
C’è tempo per sciogliere il quesito, visto che (quasi) tutti sono convinti che si voterà a maggio del 2023. Ma questa è la scommessa. E per ora la situazione appare bloccata, non tanto perché sarà necessario analizzare il voto delle Amministrative, ma perché bisognerà capire quali effetti produrrà nei prossimi mesi la crisi internazionale sulla politica nazionale: con le loro sconcertanti iniziative sul conflitto in Ucraina, Salvini e Conte stanno mettendo a rischio la tenuta dei due schieramenti.
Ce n’è la prova già nel centrodestra, dove si notano i primi smottamenti. Sul territorio e persino nel governo, con lo strappo del ministro forzista Gelmini che ha accusato il suo partito di «ambiguità» nel posizionamento sulla guerra e ha preso a dialogare con Calenda: «Sto riflettendo», ha detto a chi l’ha consultata.
Tuttavia il leader di Azione, che si è federato con +Europa, non appare oggi intenzionato ad allearsi con altri: teme che un simile rassemblement venga visto dagli elettori come un’unione di reduci e punta in solitudine a diventare la terza forza, determinante per il governo nella prossima legislatura. Renzi riconosce che «per ora sono in corso discussioni tra sordi e incontri tra ciechi. A settembre si capirà meglio e si vedra anche cosa farà il Pd con i grillini». Intanto insiste perché si crei un contenitore europeista di stampo macroniano, «unito sulla politica estera e sulla politica economica, plurale sui temi etici e disposto ad affidare a un papa straniero la rappresentanza di tutti».
È un’idea simile a quella di Toti e Quagliariello, secondo cui «se il centro deve nascere attorno a una persona, non nasce». E a forza di trovarsi d’accordo, stanno immaginando di organizzare insieme una convention a luglio, con tanto di documento che serva da contributo al progetto centrista unificato. Sia chiaro, nessuno degli attori è interessato a un cambio della legge elettorale né si fa illusioni sulla fine delle coalizioni: «Il centrodestra – ha detto Renzi a un incontro – andrà unito al voto. E da Forza Italia si staccherà solo chi avrà la certezza di non venire rieletto.
Se il centro nascerà, sarà perché avrà saputo sfruttare gli errori altrui». In questo senso Salvini e Conte sono considerati «formidabili alleati». Questa mossa però è una subordinata rispetto al disegno iniziale. Con l’avvento di Draghi a Palazzo Chigi, infatti, i centristi videro nel premier una sorta di moltiplica politica, punto di riferimento di un soggetto che avrebbe scardinato i poli e seppellito la parentesi populista.
Lo scenario non si è realizzato, anche se il «partito di Draghi senza Draghi» resta un fattore per far presa su un Paese che reclama competenza, dopo anni trascorsi tra pulsioni russe, tentazioni cinesi e infatuazioni per i gilet gialli. Se il centro non riuscisse a diventare «una massa critica autonoma» – è opinione diffusa tra chi sta lavorando al progetto – sarebbero Meloni e Letta a tentare di realizzare due centri.
La leader di FdI e il segretario del Pd, impegnati a consolidare un patto costituzionale che non prevede(rebbe) poi un patto di governo, lavorano ognuno per la propria parte a un’area che li sostenga. In quel caso a destra prenderebbe corpo l’idea che Crosetto ha affidato alla Meloni: per non restare schiacciata nella morsa di Salvini e Berlusconi, potrebbe triangolare con i centristi della coalizione, sostenerli nelle trattative per i seggi (visto che il suo partito è l’unico ad aver margini per farlo) e averli dalla sua parte nella sfida interna.
(da il “Corriere della Sera)
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