I COMUNI SONO SULLE BARRICATE CONTRO IL GOVERNO PER IL MECCANISMO FARRAGINOSO DI DISTRIBUZIONE DEI FONDI DEL PNRR. UN FLUSSO LENTISSIMO DA PARTE DELLA RAGIONERIA DI STATO, CHE INGUAIA I MUNICIPI
SENZA L’ANTICIPO DEL 30%, È IMPOSSIBILE MANDARE AVANTI LE OPERE. E LA SCADENZA EUROPEA DEL 2026 DIVENTA SEMPRE PIÙ UN MIRAGGIO
Doveva essere una consuetudine. È diventato, invece, un’eccezione. Così raro l’acconto per i progetti del Pnrr al punto da spingere i sindaci a denunciare «un’eccessiva e farraginosa complessità amministrativa». È un flusso lento quello che dalla Ragioneria si muove verso le casse dei Comuni, che senza l’anticipo del 30% fanno fatica a mandare avanti le opere del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti se la prende con l’Europa paragonando gli investimenti del Recovery ai «piani quinquennali dell’Unione sovietica », ma l’Urss ce l’ha anche in casa.
Eppure insieme ai suoi colleghi aveva promesso un’accelerazione. Non a parole, ma con un decreto approvato dal Consiglio dei ministri il 26 febbraio. Lì dentro c’è scritto che «al fine di consentire la tempestiva attuazione degli interventi del Pnrr e il conseguimento dei relativi obiettivi entro i termini di scadenza previsti, la misura delle anticipazioni iniziali erogabili in favore dei soggetti attuatori è di norma pari al 30 per cento del contributo assegnato ».
Ma sei mesi dopo, i primi cittadini lamentano tempi dilatati e un’eccessiva burocrazia. In una lettera inviata a Giorgetti e al titolare del Piano Raffaele Fitto, l’Anci segnala «ritardi e dinieghi». I problemi non finiscono qui. La missiva […] mette nel mirino la Ragioneria anche per «i significativi ritardi nel controllo e pagamento di rendiconti caricati e, a volte, addirittura il mancato pagamento di quelli già controllati e validati».
Come a dire: le amministrazioni comunali fanno il loro dovere e quindi caricano i dati sulla piattaforma di rendicontazione ReGiS, ma poi i soldi non arrivano e comunque non secondo i tempi previsti.
I Comuni parlano di «incertezza rispetto alla documentazione da produrre» e di «un eccessivo formalismo» per cui, incalzano, «può capitare di dover mettere un timbro sulla fattura elettronica o autocertificare il pagamento dell’Iva ». Succede quindi che tocca ai sindaci anticipare i soldi che non arrivano dallo Stato. Una dinamica che si evince chiaramente dai dati della spesa dei Comuni per gli investimenti fissi lordi: l’anno scorso ha toccato quota 16,3 miliardi, mentre solo nel primo semestre del 2024 è stata pari a 8,3 miliardi, il 34% in più rispetto allo stesso periodo del 2023.
La richiesta ai due ministri è pronta: flessibilità. La proposta, però, entra in collisione con il disegno di Fitto, che ai soggetti attuatori del Pnrr, tra cui figurano i Comuni, chiede rigore: i dati devono essere caricati su ReGiS in modo puntale e soprattutto tempestivamente. Solo così, infatti, si può misurare l’avanzamento del Piano. E solo così si può capire chi è responsabile dei ritardi.
Lo stesso decreto che aumenta la percentuale dell’acconto al 30% prevede un monitoraggio puntuale, fino ad arrivare a chiedere ai sindaci di pagare di tasca propria qualora la Commissione europea dovesse accertare il mancato o parziale conseguimento di un obiettivo. Il ministro che gestisce il Pnrr chiede puntualità: l’alternativa, complessa, è intavolare una trattativa con Bruxelles per strappare mini proroghe, oltre la scadenza del 30 giugno 2026, per gli investimenti in ritardo. Fitto le considera eccezioni, non la regola. Che è un’altra: tutti devono completare i compiti a casa entro i termini fissati dal Recovery. Senza i soldi degli anticipi, però, l’auspicio si trasforma in incertezza. Ecco perché il dossier delle piccole proroghe è stato già aperto a Palazzo Chigi.
(da agenzie)
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