“I DISOCCUPATI SONO IL DOPPIO DI QUANTO DICONO I DATI UFFICIALI”: LA BCE TOGLIE IL VELO DELLE CONVENZIONI STATISTICHE
NON SI TIENE CONTO DEI “SOTTOCCUPATI”: BASTA LAVORARE POCHE ORE AL MESE E SI RIENTRA TRA GLI OCCUPATI
Che i dati sul tasso di disoccupazione si basino su convenzioni internazionali poco realistiche è noto. Perchè, per esempio, basta aver lavorato un’ora in una settimana per essere registrato tra gli occupati.
Ora però la Banca centrale europea si è chiesta che livello toccherebbe la percentuale dei senza lavoro se si togliesse il velo delle consuetudini statistiche.
Ed è arrivata alla conclusione che dal 9,5% stimato da Eurostat per l’area euro si arriverebbe al 18%, quasi il doppio.
Come mai? Perchè ai disoccupati tout court, cioè i cittadini che cercano lavoro ma non lo trovano, vanno aggiunti quelli che hanno smesso di cercare un’occupazione non sperandoci più, quelli che la cercano ma non sono disponibili a iniziare nelle successive due settimane (gli istituti di statistica non li contano) e i sottoccupati, ovvero quanti lavorano meno ore di quanto vorrebbero.
Solo questi ultimi, secondo l’Eurotower, sono ben 7 milioni nei 19 Paesi che hanno adottato l’euro. A fronte di 15 milioni di disoccupati “ufficiali”.
Quanto all’Italia, stando alle elaborazioni di Francoforte quasi il 25% della forza lavoro (la somma di occupati e persone in cerca di occupazione) è “manodopera sottoutilizzata“.
Morale: il tasso di disoccupazione ufficiale, pari per la Penisola all’11,7% stando agli ultimi dati Istat, non fotografa affatto il reale stato di salute del nostro mercato del lavoro.
E induce a sottostimare il reale potere contrattuale delle imprese, che in un’economia stagnante come quella italiana si manifesta però in modo molto chiaro in un altro dato: i salari al palo.
L’indice Istat sulle retribuzioni nell’industria e nei servizi è eloquente. L’indice della retribuzione contrattuale oraria lorda, fatto 100 quello del 2010, è salito sopra quota 107 solo un anno fa. Oggi siamo a 107,5. E sulle buste paga italiane grava un cuneo fiscale tra i più alti dei Paesi Ocse.
L’analisi riportata nell’ultimo Bollettino economico dell’Eurotower, pubblicato giovedì, parte proprio dalla presa d’atto che, nonostante il lieve ma costante aumento dell’occupazione nell’Eurozona, la crescita dei salari “resta contenuta”.
Al contrario, stando alla teoria economica a parità di altre condizioni (come la produttività del lavoro) quando i posti aumentano le buste paga dovrebbero diventare più pesanti dato che chi cerca lavoro, in un mercato dinamico, può permettersi il lusso di rifiutare un’offerta troppo bassa.
Gli analisti della Bce si sono chiesti come mai nell’area euro questo non succede. E hanno ipotizzato che possa “tuttora persistere un alto grado di sottoutilizzo della manodopera (o “eccesso di offerta” nei mercati del lavoro) ben superiore al livello suggerito dal tasso di disoccupazione”.
Un’idea che trova riscontro in un grafico che mostra come, apparentemente, dopo la fine della grande crisi la correlazione tra carenza di manodopera e reddito per occupato nell’Unione monetaria si sia per la prima volta interrotta.
In realtà , è la conclusione a cui arriva il bollettino, la correlazione c’è ancora: a essere poco accurato è il calcolo del tasso di disoccupazione basato sulla definizione dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
Definizione a cui fanno riferimento le statistiche nazionali, per l’Italia quelle dell’Istat, e quelle dell’intera Ue diffusa da Eurostat. Così la Bce è andata a guardare anche le altre categorie che al mercato del lavoro partecipano solo in maniera marginale.
Arrivando a calcolare che “circa il 3,5 per cento della popolazione in età lavorativa dell’area dell’euro” partecipa “in modo meno attivo al mercato del lavoro” perchè non cerca un impiego benchè sia disponibile a lavorare o cerca ma non può iniziare a lavorare subito.
Inoltre un ulteriore 3 per cento della popolazione in età lavorativa è “attualmente sottoccupata, vale a dire che lavora un numero di ore inferiore alle ore che vorrebbe invece lavorare”. I lavoratori a tempo parziale sottoccupati hanno toccato quota 7 milioni, 1 milione in più rispetto all’inizio della crisi. E “questo dato è sceso solo in misura del tutto modesta nell’arco degli ultimi due anni, nonostante la robusta crescita occupazionale registrata durante la ripresa”, sottolinea il bollettino.
Fatte le somme, combinando le stime dei disoccupati e dei sottoccupati con misure più ampie di disoccupazione si arriva alla conclusione che “l’eccesso di offerta nei mercati del lavoro interessa attualmente circa il 18 per cento della forza lavoro estesa dell’area dell’euro”.
Un tasso “quasi doppio rispetto a quello catturato dal tasso di disoccupazione, pari adesso al 9,5 per cento”. Questo indicatore più ampio, fa notare la Bce, è utilizzato sia dal Bureau of Labour statistics statunitense sia dall’Ocse.
Per quanto riguarda i singoli Paesi, in Francia e Italia questa misura “allargata” del sottoutilizzo di manodopera ha “seguitato ad aumentare per tutta la durata della ripresa”, contrariamente a quanto è successo per esempio in Spagna e altri Paesi dove nell’ultimo trimestre del 2016 si è registrato un calo notevole rispetto al picco del 2013.
Al contempo la sola disoccupazione giovanile, il cui calcolo ovviamente è soggetto agli stessi limiti di quella generale, in Italia resta “maggiore di oltre tre volte” rispetto a quella totale, un primato negativo che la Penisola condivide solo con il Lussemburgo: nel complesso dell’area euro il tasso è di “solo” 2,2 volte tanto.
Seguono alcuni distinguo: serve “cautela“, avverte l’Eurotower, perchè queste misure più ampie “potrebbero sovrastimare in qualche misura il grado effettivo di eccesso di offerta nei mercati del lavoro”, per esempio perchè sopravvalutano in parte la capacità lavorativa residua degli impiegati part time sottoccupati e non tengono conto delle minori probabilità di trovare un impiego di molti disoccupati di lunghissima durata. Anche tenendo conto di questi fattori, comunque, si ottengono stime del sottoutilizzo di manodopera nell’ordine del 15 per cento per l’area euro nell’ultimo trimestre del 2016.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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