I RETROSCENA DELLA GUERRA INTERNA ALLA LEGA: L’EX SENATORE BRIGANDI’ CONTRO IL CARROCCIO
HA RAPPRESENTATO LA LEGA IN OLTRE 2.000 CAUSE, ORA HA CITATO I VERTICI DI VIA BELLERIO
In tribunale ci sono andati davvero, stamattina per la precisione.
Ma a scontrarsi davanti alla dottoressa Anna Cattaneo del Tribunale civile di Milano non erano Matteo Salvini e Umberto Bossi, ma due legali: Matteo Brigandì e Christian Gecele, che rappresentava il Carroccio.
Brigandì però non è un legale qualunque: è stato per anni ed è ancora uno degli avvocati di Bossi, è stato deputato e senatore della Lega, fino alla nomina al Csm nel 2010, da cui fu dichiarato decaduto l’anno successivo per incompatibilità (per non essersi dimesso per tempo dal ruolo di amministratore della Fin Group), dopo che su di lui era partita un’indagine per abuso d’ufficio per aver passato al Giornale alcune informazioni riservate relative al pm Ilda Boccassini.
Che ci facevano dunque la mattina del 18 agosto i due legali davanti al magistrato?
Tutto inizia a febbraio di quest’anno, quando Brigandì e Bossi firmano una lunga e complessa scrittura privata (resa nota oggi da Repubblica) con il nuovo segretario Salvini e il tesoriere della Lega Stefano Stefani.
Nella scrittura, la figura di Bossi viene tutelata a vari livelli, da quello politico (compartecipazione alla linea del partito e alla scelta dei candidati “eleggibili” nella misura del 20%) a un assegno da 450mila euro l’anno per lo staff, autisti e segretarie.
Infine, nella scrittura si legge che la Lega non intende in alcun modo prendere parte “con azioni risarcitorie” al processo contro Bossi, alcuni suoi figli e l’ex tesoriere Belsito che avrà inizio a Milano il 10 ottobre.
Brigandì, dal canto suo, con l’atto ottiene 200mila euro e rinuncia a chiedere il sequestro conservativo di 6 milioni di euro di denari leghisti (prima della pronuncia del tribunale), che a suo avviso il partito gli dovrebbe per una lunghissima serie di parcelle, oltre 2mila cause curate dal suo studio in 15 anni di lavoro.
La scrittura contiene una serie di dettagli che riguardano altre azioni legali promosse da Brigandì contro il partito, e intentate quando Bossi fu sostituito da Maroni, con cui l’ex parlamentare ha avuto rapporti a dir poco burrascosi.
A fine luglio, però, Brigandì ritiene che Salvini e Stefani non stiano ottemperando ad alcuni punti chiave dell’accordo e li cita in quanto co-firmatario della scrittura davanti al tribunale di Milano. Per quale motivo?
“Ce ne sono molti”, spiega ad Huffpost. “La molla è stata aver letto che la Lega intendeva costituirsi parte lesa contro Bossi al processo di Milano” (Repubblica lo ha scritto in 27 luglio, citando il decreto che fissa l’udienza dove la Lega è parte offesa, patrocinata da Domenico Aiello, legale di fiducia di Maroni, ndr).
“A me è parsa un’enormità , una sorta di diffamazione contro chi ha creato la Lega e ha permesso a tanti di noi di fare carriera…”.
Ma non c’è solo la richiesta di parte lesa nel processo che vede imputati, tra gli altri, i figli Renzo e Riccardo, con l’accusa di aver utilizzato soldi del partito per fini privati, come le auto e la famosa laurea del Trota in Albania.
Secondo Brigandì, a far scattare la citazione sarebbe stata anche una riunione in cui Salvini e Stefani avrebbero comunicato a Bossi e alla moglie Manuela che le casse del partito erano vuote.
E che dunque l’assegno andava ridotto da 450 a 200mila euro annui.
Infine, Brigandì ha sostenuto che i rappresentanti della Lega non gli avessero consegnato alcuni allegati della scrittura che contengono particolari relative ad altre vicende che lo vedono in contrapposizione al partito o all’avvocato Aiello.
Insomma, dal ruolo politico di Bossi agli autisti.
Dai 6 milioni richiesti dall’ex membro del Csm al suo partito a una serie infinita di querelle legali tra lo stesso Brigandì e il nuovo corso maroniano.
Un guazzabuglio, dunque.
Il Senatur però sarebbe estraneo all’azione intentata dal suo legale e discussa ieri. “E’ stata una mia iniziativa personale, lui non mi ha dato nessun mandato e non l’ho neppure informato. Bossi non farebbe mai nulla contro la Lega che è la sua creatura”, dice Brigandì.
L’ex leader, dal canto suo, ieri ha ribadito di aver fiducia in Salvini e di non voler portare avanti nessuna querelle giudiziaria.
“Non ricevo alcun vitalizio, è Roma che vuole farci litigare, ma io non abbocco”.
Salvini invece se l’è presa con l’articolo di Repubblica, annunciando querela (“Tutte cazzate”). “Non ci costituiremo contro Bossi”, annuncia, poi una nota del Carroccio chiarisce che il partito si costituirà solo contro gli altri 6 imputati nel processo, tra cui l’ex tesoriere Belsito, l’imprenditore Stefano Bonet e il commercialista Paolo Scala.
“Hanno cercato di fare i furbi, poi hanno cambiato idea”, commenta Brigandì, soddisfatto dopo l’udienza di oggi che si è chiusa con un rinvio a una data che sarà decisa dal presidente del tribunale.
“Per me potrebbe essere chiusa qui, visto che il loro legale ha confermato gli impegni contenuti nella scrittura a favore di Bossi”, spiega.
Ma i legali del Carroccio, Claudia Eccher e Christian Gecele, con studio a Trento, avrebbero invece parlato di una distanza tra le posizioni, chiedendo un pronunciamento del giudice. “Auspico un nuovo incontro con Bossi, Salvini e Stefani per chiudere questa vicenda in modo bonario”, chiude Brigandì.
Ma non è detto che andrà così.
In ballo ci sono i 6 milioni di euro spesi per le europee, che Brigandì potrebbe chiedere indietro. Gli avvocati Eccher e Gecele, contattati, non forniscono la loro versione.
Nel partito, molti non erano a conoscenza della scrittura privata. Che crea più di un’imbarazzo per il ruolo svolto da Salvini.
“Siamo uniti, l’azione legale è stata promossa da Brigandì per motivi professionali”, dice Calderoli.
Ma nonostante il nuovo corso, e la rimonta delle europee, le ombre del passato continuano ad avvolgere la Lega.
(da “Huffingronpost”)
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