GIGI RIVA: “FREGATI E SENZA FUTURO: I SARDI SONO DISPERATIâ€
L’EX CALCIATORE, SIMBOLO DELL’ISOLA DENUNCIA: “POI NON VENGANO A DIRE CHE SONO UN POPOLO DI BANDITI: SONO STATI PRESI PER IL CULO MENTRE SI REGALAVANO MILIARDI AGLI IMPRENDITORI”
Gigi Riva è sardo per scelta, per indole, per natura insulare e per storia.
Non è importante che sia nato nel Varesotto.
à‰ sardo e basta: è arrivato nell’isola nell’aprile del ’62 vivendo la cosa come una punizione e non se n’è più andato.
“Ho capito che sarei rimasto — ha detto una volta — quando andavamo in trasferta a Milano e ci chiamavano pecorai. O banditi”.
Gigi Riva è sardo perchè è il santo laico dell’isola, l’immaginetta che la gente appende accanto alla Madonna, perchè il suo Cagliari, alla Sardegna, ha regalato nome e orgoglio quando ancora non l’aveva.
È sardo e parla da sardo di questa estate in cui i nodi del falso sviluppo stanno venendo al pettine: dalle fabbriche alle miniere fino alla campagna.
Quando lo chiamiamo, dice subito: “Non voglio fare interviste”.
Poi capisce quale sarà l’argomento e parte da solo perchè anche con 67 primavere addosso è ancora “Rombo di Tuono”, il soprannome che gli diede il simpatetico Gianni Brera: “Sono in Sardegna da cinquant’anni e una situazione di questo genere non l’ho mai vissuta. Basta farsi un giro per strada a Cagliari per capire: vedi i negozi che non lavorano e nelle vetrine solo i cartelli affittasi. Qui vivono anche i miei due figli e tre nipoti e le dico che la situazione non ha vie d’uscita”.
Non le sembra di essere troppo pessimista?
Questa situazione non ha una via d’uscita: troppe famiglie sono senza lavoro, senza mangiare. Oggi se ne accorgono anche in regione e dicono di voler intervenire, ma la verità è che non hanno i mezzi. È una marea che monta: le fabbriche e i negozi che chiudono, è troppo tardi…
Non ha nessuna speranza nel futuro?
Ma mica è solo il Sulcis che è in crisi… E l’Alcoa e la Vinyls a Porto Torres e i pastori e il commercio? à‰ spaventoso. Chiudono e basta e questa gente non ha più niente nonostante che, per anni e anni, pur di avere un posto e uno stipendio se n’è andata a lavorare dentro queste fabbriche pericolose, velenose. Ecco cosa hanno fatto i sardi per poter lavorare.
Ma di chi è la colpa di questa situazione?
à‰ una cosa che nasce da lontano, da quando c’era la cosiddetta ‘Rinascita della Sardegna’ (il Piano di rinascita è del 1962, ndr) e hanno regalato soldi a questo e quell’altro: gente che veniva qui portandosi dietro macchinari usati e facendoseli pagare per nuovi. E adesso si vedono i risultati.
Quindi che succederà in Sardegna?
Lo ripeto: è una situazione delicata e pericolosa perchè c’è troppa disperazione e i sardi li vedo decisi. Poi non vengano a dire che sono un popolo di banditi, perchè questa gente, ai tempi della rinascita, è stata presa per il culo mentre si regalavano miliardi a imprenditori del continente e stranieri.
Potrebbe intervenire il governo, magari, fare investimenti nell’isola.
Ma che devono fare? Se almeno nel Paese ci fossero risorse… e invece c’è la crisi. Lo vede? Anche questo governo è già incasinato: i politici non possono nemmeno aspettare di vedere che risultati porta che già vogliono tornare al potere. Sono abituati a mangiar bene e non possono rinunciare nemmeno al dolce.
Anche la regione ha presentato dei progetti per il rilancio delle industrie.
Cappellacci, il presidente, è una brava persona, io lo conosco, posso dire che è un mio amico, ma è stato messo lì. Come tutti i politici sardi, d’altronde, che sono solo impiegati di quelli del continente. Sono convinto che se potesse fare qualcosa, lo farebbe, ma non può, è troppo tardi.
E allora?
Nelle scuole bisognerà ricominciare a dire ai bambini che la Sardegna è collegata con tutta Europa e bisogna andare a prendere il lavoro dove c’è, in Portogallo, in Germania o in Lussemburgo. Succederà come quando, molti anni fa, andai con un mio amico a Seui, un paesino, e c’erano solo vecchi perchè i giovani lavoravano fuori.
E la stampa? Come si occupa della Sardegna?
I giornali benestanti mettono la notizia, dicono che c’è la crisi, ma non la spiegano, non la trattano. Non ne hanno bisogno.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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