IL GOVERNO GUARDA IL SUD CHE SPROFONDA
RAPPORTO SVIMEZ: BOOM EMIGRAZIONE E RECESSIONE …DALL’ILVA AL TAP, IL GOVERNO RALLENTA E LASCIA INCOMPIUTE LE GRANDI QUESTIONI …. IL REDDITO DI CITTADINANZA NON HA RISOLTO IL PROBLEMA
Una fonte di governo che lunedì pomeriggio era presente al tavolo sul Sud a palazzo Chigi tra l’esecutivo e i sindacati racconta che quando Giovanni Tria ha iniziato a illustrare l’idea della Banca per il Mezzogiorno, più di qualcuno ha dovuto trovare il modo di camuffare gli sbadigli.
Le immagini sono evocative, descrivono bene l’atmosfera che caratterizza una discussione, la sua genesi e soprattutto il suo approdo.
A che punto è la discussione, meglio l’azione, del governo su quella parte del Paese che non smette di arrancare?
Come sta il Sud lo dice lo Svimez: sta male, molto male.
à‰ terra di un’emigrazione che ha il tratto dell’emorragia imponente e continua: in 15 anni, dal 2002 al 2017, se ne sono andati in 2 milioni. à‰ terra di crisi, con il Pil sotto lo zero, in recessione.
Uno dei partecipanti del fronte governativo che non ha gradito l’illustrazione del ministro dell’Economia ha commentato a denti stretti così: “Parole, solo parole”. La cura governativa per il Sud fa fatica a prendere forma.
Cosa è stato fatto e cosa il governo pensa di fare è la dimensione idonea in cui calarsi per comprendere la fiacchezza di un’azione che dovrebbe avere invece i tratti del rilancio e della rapidità , come chiede la parte produttiva del Paese, cioè le imprese, e come pretendono tutti quei cittadini, giovani e non, che sono obbligati a lasciare la propria terra d’origine.
Il primo passo del governo gialloverde è stato alquanto ambiguo. Nelle bozze del Contratto messo a punto da Lega e 5 stelle, il Sud non era neppure menzionato. Qualcuno se ne è accorto e si è messa una toppa.
Ecco allora che è comparso un capitolo dal titolo Sud in cui si legge: “Con riferimento alle Regioni del Sud si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio “Mezzogiorno”, nella consapevolezza che tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (con particolare riferimento a sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud”.
Scommessa ardua quella di mettere Nord e Sud sullo stesso piano quando i principali indicatori economici e sociali danno ancora l’immagine di un Paese spaccato in due, ma tant’è.
Per controbilanciare questo azzardo si è pensato a un ministro ad hoc (la grillina Barbara Lezzi) e così al tavolo del Consiglio dei ministri è arrivata una sedia con la targhetta Sud.
Pronti, via. Come? La cura è stata individuata dal Movimento 5 stelle, che ha avocato a sè la scelta di tracciare una direzione alla luce della valanga di consensi raccolti proprio nel Mezzogiorno.
Da lì viene anche Luigi Di Maio, il suo capo politico, è il Sud il territorio che i grillini hanno preso come base per lanciare il disegno e l’ambizione di farsi partito di governo, ma anche per bilanciare il peso della Lega al Nord.
La cura è stata prescritta in modalità one shot, monodose, sia dal punto di vista delle idee che dei soldi: reddito di cittadinanza.
I dati elaborati dal Sole 24 ore a fine luglio confermano che domanda e offerta si sono incrociate. La maggior parte delle domande accolte proviene dal Sud: sono 459mila i nuclei familiari del Mezzogiorno che stanno ricevendo il reddito di cittadinanza. Al Centro sono appena 110mila, 167mila al Nord.
Le Regioni con più domande accolte sono Campania, Sicilia, Lazio e Puglia: insieme raggiungono il 54% del totale dei nuclei beneficiari di tutta Italia.
Al di là della natura della cura usata – e cioè se il reddito sarà capace davvero di generare crescita (fino ad adesso l’ha fatto in modo irrisorio) oppure è una misura puramente assistenzialista e quindi depressiva – questa è stata la scelta del governo, pur con i mal di pancia della Lega che non ha mai amato il reddito di cittadinanza.
E poi? Quella che è arrivato in un anno di governo è stata l’incapacità di risolvere le questioni chiave del Mezzogiorno, rallentandole o non offrendo soluzioni, dall’Ilva di Taranto al gasdotto Tap.
In aggiunta solo una serie di micro-misure che non hanno la forza di tracciare un disegno, politico ed economico, chiaro. Non è un caso che dopo un anno, il tavolo che si è tenuto a palazzo Chigi il 29 luglio abbia affrontato per la prima volta l’idea di un Piano per il Sud. Tra l’altro ancora tutto da scrivere.
La ministra Lezzi ha potuto fare quello che era nelle sue possibilità perchè il suo ministero è sì dedicato al Mezzogiorno, ma il passaggio decisionale e decisivo si fa altrove.
Nel suo incarico operativo, la ministra ha dato vita a una serie di operazioni che vanno dal contrasto alla Xylella (30 milioni stanziati per il 2019 e 300 per il 2020-2021) alle Zone economiche speciali: per incentivare gli investimenti delle grandi aziende sono stati previsti 300 milioni per il triennio 2019-2021 oltre allo stop dell’Iva e allo snellimento delle procedure burocratiche.
Sono arrivati anche i soldi per le bonifiche a Bagnoli (320 milioni) oltre a 80 milioni per la manutenzioni e la messa in sicurezza delle strade per i Comuni sotto i duemila abitanti. Altri soldi sono arrivati dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, nell’ordine di 99 milioni in tre anni, soldi destinati agli interventi di messa in sicurezza dei porti di Palermo e Castellamare di Stabia e dell’aeroporto di Reggio Calabria. Sforzo apprezzabile, operativo, insomma ha fatto quello che le è possibile fare: collocare le risorse, non ingenti, lì dove c’è bisogno.
Ma la condizione economica del Sud è così disastrosa (il Pil affonderà a -0,3% quest’anno secondo lo Svimez) che richiede un disegno strutturato. E un disegno organico parte dalle grandi questioni, cerca di dare loro soluzioni che puntano al rilancio e ad attrarre investimenti.
Le due grandi questioni economiche al Sud sono l’Ilva di Taranto e il Tap. Sono l’acciaio e il gas, energia quindi, che a sua volte muove soldi, interconnessioni e sinergie con gli altri Paesi, necessità di fare parte di una rete europea ed extraeuropea per risultare competitivi e profittevoli.
Su queste due questioni i 5 stelle hanno più che balbettato. Avevano promesso di chiudere l’Ilva per ridare a Taranto un futuro produttivo diverso dall’acciaio, ma quella promessa si è presto schiantata con la realtà e cioè con i posti di lavoro da tutelare e con un business che non può essere cestinato come una bozza di lettera scritta male.
Dopo aver tenuto ArcelorMittal sulle spine, alla fine si è deciso di fare entrare il colosso industriale nello stabilimento pugliese, ma le cose sono tornate a complicarsi.
Di Maio non vuole che gli amministratori possano eventualmente usufruire dell’immunità penale e questo è un modo per salvare la faccia e tutto il tema dell’ambientalismo, altra bandiera 5 stelle che è stata costretta a cambiare direzione più volte e in più di un contesto. L’azienda ha replicato che senza immunità lascerà Taranto il 6 settembre. Ne è nata così una diatriba che ancora oggi ha vissuto l’ennesima puntata, con il direttore finanziario di ArcelorMittal che ha annunciato il ripristino dell’immunità da parte del governo e Di Maio che si è affrettato a smentire.
Tap, altra spina nel fianco del Movimento 5 stelle. Sul gasdotto che collegherà l’Italia al Trans Anatolian Pipeline (Tanap) per portare in Europa il gas dell’Azerbaigian si è partiti con il No. Era il 20 settembre 2014 quando Beppe Grillo disse: “Se verranno a fare il gasdotto in Puglia da qualsiasi parte, anche con l’esercito, noi ci metteremo il nostro di esercito”.
E anche con questa promessa che alle ultime elezioni politiche i grillini sono riusciti a sfiorare il 45% in Puglia. Poi il dietrofront.
Di Maio che ha citato una penale da quasi 20 miliardi e la giustificazione che altro non si può fare che fare proseguire il progetto. In questa vicenda il tratto è stato quello dell’indecisione e del rallentamento, che alla fine si sono trasformati in una capriola obbligata. Dove è l’interesse per il Sud se una scelta è dettata invece da motivazioni politiche?
Questo è quello che è stato fatto. Il cantiere per il futuro, come si diceva, è confuso e a tratti apatico. Ora tocca anche alla Lega, più di prima, perchè le elezioni europee di maggio hanno portato voti, e tanti, a Salvini. Non è un caso che il leader del Carroccio abbia deciso di recarsi al Sud per un mini-tour estivo.
Il governo prova a rilanciare la scia lunga delle politiche degli sgravi voluti da Renzi e Gentiloni, ma il progetto compiuto, quello portante, non c’è.
Il tema all’ordine del giorno è la Banca per il Mezzogiorno. Un’idea, niente più. Servirà , dice Tria, per spingere gli investimenti e dare credito alle imprese.
L’idea è riciclata, ci provò già dieci anni fa l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti a rilanciarla. Già un rilancio, perchè una Banca per il Mezzogiorno esiste dal 1952, sesto governo De Gasperi. Poi quella Banca è passata di mano in mano fino alla cessione, nel 2017, a Invitalia. Un’operazione tutt’altro di successo. Il governo riparte da qui. Con qualcuno al suo interno che già sbadiglia.
(da “Huffingtonpost”)
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