INTERVISTA A EMMA BONINO: “IN QUALE PAESE NON SI CONOSCONO LE REGOLE A POCHI MESI DAL VOTO?”
“LA MIA TENDA E’ QUELLA DEI RADICALI”… “LA POLITICA FOMENTA LA PAURA, SIAMO I SOLI SENZA IUS CULTURAE”…”IN LIBIA L’ITALIA PAGA E MILIZIE, MA SONO TROPPE E VOGLIONO TUTTE SOLDI”
Dal giovane con l’orecchino all’anziana signora: se una carrozza di treno può essere un test sul consenso, Emma Bonino è promossa con il massimo dei voti.
La signora le stringe la mano: “Apprezzo il suo coraggio e la sua onestà “, le dice.
Il giovane è più rock: “Vai Emma, ora pure i ministri fanno lo sciopero della fame, tanto hanno già ‘mangiato'”.
Sul treno che la porta a Foggia, per un’altra affollatissima assemblea per la campagna “Ero straniero”, la leader radicale, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, parla, in questa intervista concessa all’HuffPost, dei temi più caldi dell’attualità politica che la vede al centro di corteggiamenti politici (“madre della patria”, la definisce Michele Emiliano a Foggia, tra gli applausi) in tutto l’arco del centrosinistra: Giuliano Pisapia, il Pd, e altro ancora.
Non svicola, non è nella sua natura, ma Emma Bonino è per il “noi” e non per l'”io”: “Sarò vintage – dice – ma credo ancora nell’importanza dei partiti, e noi Radicali siamo abituati a dibattere, magari ‘azzuffarci’ ma alla fine scegliamo insieme. Sarà così anche per le prossime elezioni”. Intanto, spiega dove pianterà la sua “tenda”, metafora prodiana per definire la collocazione politica, e soprattutto perchè.
Ius soli, “Ero straniero”: quelle che sembravano battaglie di testimonianza stanno diventando temi centrali nel dibattito politico. Emma Bonino dove pianterebbe la “tenda”?
“La pianterei, la pianteremmo come Radicali, su una legge elettorale decente, che non c’è, pianteremmo la nostra tenda su una agibilità politica ed elettorale possibile anche per chi non è già in Parlamento, cosa attualmente esclusa”.
Perchè?
“Il numero delle firme da raccogliere, a mano con l’autenticatore da poi consegnare si suppone digitalizzate, sono all’incirca 180 mila. Riuscirci, in breve tempo, è un’impresa impossibile. Ma questo non è un problema dei Radicali, è un problema dei cittadini, è un vulnus del nostro sistema democratico. Io non so in quale Paese, a qualche mese dal voto, non si conoscono le regole, le date. È come se ‘chi c’è c’è, chi non c’è non c’è’, e chi c’è a ogni elezione si confeziona la legge di sua o di loro convenienza. Questo è un degrado. Ora, io non arrivo a pretendere di prendere esempio dalla Germania o dalla Francia, dove vige la stessa legge elettorale, lo stesso sistema istituzionale da tempi immemorabili, ma per lo meno si presti ascolto a quanto chiesto persino dalla Commissione di Venezia sulla good governance democratica, e cioè che da quando si cambia la legge elettorale a quando si va a votare passi almeno 1 anno, dando il tempo a chi vuole partecipare di organizzarsi e ai cittadini di leggerla”.
Non sembra questa la strada percorsa da gran parte delle forze politiche presenti in Parlamento: la discussione è sul Rosatellum sì o no. Come definirebbe la discussione?
“Un incubo. Rischiano di fare peggio tornando al proporzionale, come se non avessimo mai vissuto i guasti prodotti. Noi Radicali siamo per i collegi uninominali all’inglese o doppio turno alla francese, mentre in Italia, dopo un giro dell’oca, stiamo tornando alla casella iniziale, il proporzionale, con le preferenze ovviamente, con l’aggravante che tutto questo s’inserisce in una situazione nella quale, attualmente, le due leggi, quella che vale per la Camera e quella per il Senato, sono talmente contraddittorie per cui alla Camera si ha il premio alla lista, al partito, mentre al Senato va alla coalizione. Non basta: lo sbarramento alla Camera dovrebbe essere il 3% e al Senato l’8%, e diverso è anche il numero di preferenza alla Camera e al Senato. Il risultato è che ci possiamo scordare la governabilità . Viene da sorridere amaro nel pensare che qualcuno diceva, ‘vogliamo un sistema per cui la sera che si vota, a urne chiuse sappiamo chi governerà ‘. Questo gioco stucchevole di spostare le pedine è davvero poco interessante, io lo trovo solo stucchevole, anche se i ‘retroscenisti”, gli addetti alla dietrologia in servizio permanente, la pensano diversamente. Si può anche decidere di giocare una partita, noi Radicali non siamo mai stati extraparlamentari o anti-istituzionali, ma si deve essere messi in grado di decidere a bocce ferme e qui non ci stanno neanche le bocce e quelle che ci sono girano di giorno in giorno”.
Lei parla con il “noi”, ma questa domanda vuol essere molto personale. Quando si avvicinano le elezioni, Emma Bonino viene evocata, “corteggiata” politicamente, accostata a ruoli di governo. Bonino come un valore aggiunto di una lista elettorale. Sarà pure strumentale, per￲ò...
“Il però è essenziale. Non sono alla ricerca del miele. E poi vorrei sommessamente far notare che saremmo pure piccoli, ma io sono una militante attiva di una variegata famiglia Radicale, direi di buona tenuta negli ultimi cinquant’anni. Non è mia abitudine nè mia vocazione di muovermi ‘uti singuli’. Avrò un sapore di antico, per fortuna, ma noi facciamo ancora i congressi come si deve, i comitati o la direzione con tutti i criteri. Tutto questo avrò pure sapore di antico, ma per me è un buon sapore. In questa fase stralunata, in cui tutti, più o meno, pensano che basti un clic, un tweet, ridare invece corpo alla politica – e la campagna ‘Ero straniero’ va in questa direzione – a me pare un dato fondamentale da tenere. Si discuterà al Congresso il da farsi, ma in questo momento siamo impegnati soprattutto a garantire agli italiani la possibilità di scegliere, sulla base di una legge decente e di una accessibilità democratica non proibitiva che oggi è negata da una legge escludente che spinge agli inciuci. Le regole non si barattano con i posti. Saremo strani, ma noi siamo fatti così”.
Poter decidere. Questo vale anche per la legge sullo ius soli. Da leader storica dei Radicali, come vive gli scioperi della fame annunciati da ministri e politici vari?
“Stiamo scoprendo troppo tardi che la politica non è solo l’aritmetica e che a una posizione conservatrice, da tempo si doveva contrapporre una analisi e una proposta diversa di gestione di questo complessissimo problema che è l’integrazione e la mobilità globale. Su questo il ritardo è stato enorme e a creare confusione ci si sono messi anche diversi esimi colleghi giornalisti, per cui sembra che lo ius soli venga dato direttamente sui barconi, insieme col salvagente. Ora, anche se con colpevole ritardo, un po’ di gente, anche con livello di responsabilità , si sta accorgendo che se si continua a seguire una politica che si identifica con l’aritmetica, questo non va bene. Sia chiaro: io non sto affatto sottovalutando il problema di avere una maggioranza, dico per￲ò che reazioni tempestive avrebbero forse creato anche un clima diverso attorno ad una vicenda che non è stata gestita. Io continuo a sentirmi addosso l’onore e l’onere, ahimè, di aver fallito, ma di aver proposto un referendum per la modifica della Bossi-Fini nel lontano 2013, salvo che siamo arrivati solo a 300-400mila firme. Non è che allora avessi la palla di vetro: basta guardare un attimo fuori dal Grande Raccordo Anulare, alzare lo sguardo verso il Sud del Mediterraneo, leggere qualche cifra, per capire che non si trattava di un fenomeno emergenziale dell’estate 2013, ma era un problema strutturale. Non è un caso che l’Italia sia uno dei pochi Paesi che non abbia lo ‘ius culturae”, perchè quello su cui oggi si discute non è lo ‘ius soli’, perchè lo ‘ius soli’ intende che se tu nasci in un Paese di quel Paese sei cittadino. Il nostro è uno ‘ius soli’ ultramoderato, per cui si deve essere figli di almeno un genitore italiano, aver abitato in Italia per almeno sei anni, aver fatto un percorso scolastico, etc. Uno ‘ius soli’ molto rigoroso, persino troppo da certi punti di vista”.
Il ministro Alfano non la pensa così.
“Alfano, per l’appunto. Lui sostiene che è una buona legge ma inopportuna. Inopportuna, deduco, dal punto di vista elettorale. Ma se ogni problema va assoggettato alle esigenze elettorali, a partire dalla legge elettorale, allora francamente la situazione in termini di assunzione di responsabilità e di guida del Paese non è brillante”.
Lei sta girando l’Italia in lungo e in largo per la campagna “Ero straniero”. Che Italia ha potuto testare in questo tour?
“Ho testato assemblee molto partecipate ma che in parte sentivi avverse. E però alla fine se hai la pazienza e la voglia di far ragionare, non dico che cambino idee ma che comincino a pensare, questo sì. L’importante è dare l’input, le informazioni diverse in modo che le persone possano poi farsi un’opinione. Se invece l’input è uno solo, fatto peraltro di stereotipi, di falsità del tipo ‘ci rubano il lavoro’, ‘ci portano le malattie”, mancavano giusto le zanzare… Il fatto è che tutte le volte che la politica annaspa, il metodo del capro espiatorio è il più facile, peccato che sia anche il più inutile. L’altra cosa che mi fa impazzire èil senso di paura che viene fomentato”.
La paura sembra essere divenuta una categoria della politica.
“Purtroppo è così. Ora, ci sono milioni di persone che hanno paura del buio o dell’aereo ma non per questo abbiamo fermato gli aerei, abbiamo cercato di renderli più sicuri”.
Quando si parla di Mediterraneo e di migranti è inevitabile almeno un accenno alla Libia. L’Italia ha puntato sul premier Serraj.
“Per la verità , più che su Serraj, che non controlla neanche il quartiere in cui abita a Tripoli, l’Italia, per contenere i migranti, ha puntato, e pagato, le milizie, solo che non ha i soldi per pagarle tutte, sono centinaia, e allora, come sta avvenendo a Sabratha, quelle che non sono state pagate si rivoltano e nella città , dove prosperava il traffico di esseri umani e si arricchivano gli scafisti, è esplosa la guerra civile. Francamente non credo che pagare le milizie aiuti la stabilizzazione della Libia o ponga fine alla vergogna dei lager spacciati per centri di accoglienza”.
(da “Huffingtonpost”)
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