LISTE CON MUSUMECI, MA QUALE DESTRA DELLA LEGALITA’, BORSELLINO SI RIVOLTA NELLA TOMBA
ALLE REGIONALI SICILIANI NELLE “LISTE PULITE” C’E’ ANCHE CHI HA 24 CAPI DI IMPUTAZIONE E 4 PROCESSI… TUTTI I NOMI DEI CANDIDATI IMPRESENTABILI CHE GOVERNERANNO LA SICILIA
Secondo tutti i sondaggi, Musumeci è in vantaggio nella corsa alla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans.
A spingerlo sono soprattutto i voti di Forza Italia, che sembra rivitalizzata dalla cura di Gianfranco Miccichè, tornato vicerè di Silvio Berlusconi dopo un lustro di ostracismo.
Ebbene sono proprio le liste Forza Italia quelle che rischiano di dare più lavoro della commissione Antimafia.
A Siracusa, per esempio, i berlusconiani candidano il sindaco di Priolo, Antonello Rizza, capace di collezionare ben 22 capi d’imputazione in quattro processi: tentata concussione e concussione consumata, corruzione elettorale continuata, tentata violenza privata, associazione a delinquere, falso in atto pubblico, truffa, intralcio alla giustizia, tentata estorsione, turbata libertà di scelta del contraente.
È indagata solo per corruzione, invece, Marianna Caronia, candidata dagli azzurri nel collegio di Palermo: ex consigliera regionale, già candidata sindaco di Palermo, pochi mesi fa è finita coinvolta nell’inchiesta sugli appalti del trasporto marittimo.
La stessa che ha portato all’arresto dell’ex sindaco di Trapani, Mimmo Fazio, non ricandidato dopo i cinque anni trascorsi a Palazzo dei Normanni.
È un veterano di Sala d’Ercole anche Riccardo Savona, eletto con la destra nel 2012, passato a sinistra per sostenere Rosario Crocetta e ora tornato all’ovile azzurro. Il motivo? Nell’ottobre del 2013, durante un evento pubblico, Crocetta lo vide seduto in prima fila e inaspettatamente disse pubblicamente: “Chi ha fatto affari con Nicastri, Matteo Messina Denaro e la mafia deve uscire immediatamente”.
Il riferimento era per i rapporti pregressi tra lo stesso Savona e l’imprenditore dell’eolico, al quale sono stati confiscati beni pari a un miliardo e mezzo di euro.
È tornato in Forza Italia di recente anche Giovanni Lo Sciuto, consigliere regionale di Castelvetrano, uno dei seguaci di Angelino Alfano che hanno lasciato Alternativa Popolare per sostenere Musumeci.
Lo Sciuto non ha indagini in corso ma è finito più volte tra le polemiche per i suoi vecchi rapporti di conoscenza con Matteo Messina Denaro.
I due sono persino ritratti insieme in una fotografia scattata al matrimonio della cugina del superlatitante. “All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo dopo la fine degli anni 80”, si è giustificato Lo Sciuto.
Quella vecchia conoscenza con il boss di Cosa nostra, d’altra parte, non ha mai avuto conseguenze sulla sua carriera politica che nel 2012 ha raggiunto il livello più alto con l’elezione nella commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. L’uomo giusto al posto giusto.
Il candidato nostalgico dei clan
Nei giorni scorsi, invece, ha tenuto banco il caso di Riccardo Pellegrino, consigliere comunale di Catania e fratello di Gaetano, imputato per mafia.
“È considerato punto di riferimento del clan dei Carcagnusi“, ha ricordato Claudio Fava, il candidato governatore dei bersaniani che ha convocato una conferenza stampa apposita per ricostruire alcune vicende che riguardano il candidato di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana.
Come quando, nel 2014, si presentò nella redazione catanese di livesicilia.it accompagnando Carmelo Mazzei, figlio del boss latitante Nuccio Mazzei. “Dall’intercettazione ambientale su quell’incontro, disposta dai magistrati — ricordava Fava l’altro ieri — si apprende che Riccardo Pellegrino è “orgoglioso” di vivere nel quartiere catanese di San Cristoforo, regno del clan Santapaola, ma si lamenta perchè adesso ci sarebbe solo la piccola criminalità mentre se in campo ci fossero state persone di spessore, mafiosi, tutto questo manicomio non c’era”.
Il nome di Pellegrino era stato segnalato alla commissione Antimafia già due anni fa. Chi era la fonte di quella segnalazione?
Nello Musumeci, lo stesso che ora prenderà anche i voti di Pellegrino. “Il pane si fa con la farina che si ha in casa“, diceva nel 2012 il candidato governatore a chi gli chiedeva della presenza nelle sue liste di personaggi discutibili.
Cinque anni dopo non ha cambiato idea.
E a Palermo la lista del suo movimento (che si chiama Diventerà Bellissima) candida Pietro D’Aì, ex sindaco di Misilmeri, comune sciolto per mafia nel 2012.
Le accuse all’ex primo cittadino e agli altri amministratori vennero archiviate ma le valutazioni messe nere su bianco dal gip Luigi Petrucci non erano esattamente entusiasmanti.
A Misilmeri c’era “una gestione della cosa pubblica — scriveva il giudice — in talune occasioni francamente illecita ma senza che emergessero delitti collegati al sodalizio mafioso”.
Moderati ma non troppo
Nel centrodestra, però, non sono solo le liste di Forza Italia ad essere piene di candidati con qualche problemino giudiziario.
A Siracusa l’Udc (che questa volta va a destra e appoggia Musumeci) candida il notaio Giovan Battista Coltraro, ex sostenitore di Crocetta che a marzo è stato rinviato a giudizio per falso in atto pubblico.
Secondo l’accusa nella sua veste di notaio avrebbe favorito l’acquisizione illecita di appezzamenti di terreno per un valore totale di tre milioni di euro.
A causa dei suoi guai giudiziari Coltraro era già stato sospeso per 10 mesi dall’attività professionale: mentre è sotto processo prova a farsi confermare in consiglio regionale. I neo scudocrociati di Lorenzo Cesa candidano anche Giuseppe Sorbello, sotto processo per voto di scambio, mentre a Messina puntano tutto su Cateno De Luca, ex vulcanico deputato regionale, per il quale la procura peloritana ha chiesto una condanna a 5 anni: è accusato di aver favorito le imprese della sua famiglia quando era sindaco del piccolo comune di Fiumedinisi.
Ad Agrigento corre Gaetano Cani, a processo con l’accusa di estorsione: avrebbe costretto alcuni docenti di un istituto paritario a firmare le “dimissioni in bianco” accettando compensi inferiori rispetto a quelli indicati in busta paga.
Può vantare addirittura due condannati in primo grado la lista Popolari e Autonomisti — Idea Sicilia, cioè la fusione del partito dell’ex ministro Saverio Romano (processato e assolto per concorso esterno a Cosa nostra) e di Roberto Lagalla, che fu assessore alla sanità di Salvatore Cuffaro.
A Palermo, per esempio, si candida Roberto Clemente, recentemente condannato in primo grado a sei mesi per corruzione elettorale. L’inchiesta della procura di Palermo aveva ricostruito, tra le altre cose, il livello raggiunto dalla compravendita di voti in Sicilia:per avere 150 preferenze bastava pagare 30 euro, in pratica ogni voto costava appena 5 euro.
Prova a tornare all’Ars con la stessa lista di centro, ma candidandosi a Messina, Roberto Corona, ex presidente di Confcommercio, già deputato regionale del Pdl, condannato in primo grado a tre anni dal tribunale di Roma: era finito coinvolto in uno scandalo su alcune facili fideiussioni dell’Ascom. Per lui i giudici capitolini hanno ordinato il sequestro di circa 700mila euro.
Prova a tornare a Palazzo dei Normanni anche Santino Catalano, consigliere regionale “trombato” nel 2012: a causa di un patteggiamento a un anno e undici mesi per abuso edilizio aveva rischiato di decadere da deputato già nel giugno del 2011.
Dichiarato ineleggibile dal tribunale civile era stato salvato dal voto segreto dei colleghi onorevoli, che a pericolo scampato lo avevano anche festeggiato a colpi di baci e abbracci tra gli scranni di palazzo d’Orleans.
Gli impresentabili stanno a casa. Si candidano i parenti
Un capitolo a parte meritano i “parenti di”.
Per il momento sono due i casi clamorosi. A Palermo la lista unica Fratelli d’Italia-Noi con Salvini candida Mario Caputo detto Salvino.
In realtà Salvino è suo fratello, ed è già stato lungamente consigliere regionale con An e con il Pdl. Poi, purtroppo, è decaduto a causa di una condanna in via definitiva per tentato abuso d’ufficio: da sindaco di Monreale aveva tentato di cancellare alcune multe prese dall’automobile del vescovo.
È abbastanza incensurato (ipse dixit) anche Luigi Genovese, il figlio ventenne di Francantonio, primo segretario del Pd in Sicilia, passato con Forza Italia dopo che i suoi colleghi deputati avevano votato a favore del suo arresto.
Nell’inchiesta sui dorati corsi di formazione Genovese è stato condannato in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato perchè con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione siciliana. L’entità della truffa? Circa venti milioni di euro.
E a proposito di familiari: non si ricandida a questo giro suo cognato, Franco Rinaldi, consigliere regionale uscente, a sua volta coinvolto nell’inchiesta. Il motivo? Genovese ha deciso che in politica è il momento di lasciare spazio ai giovani.
A patto che siano suoi parenti.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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