IO, INSEGNANTE CHE RUBA LAVORO AL NORD
PUBBLICHIAMO L’ INTERVENTO DI UNA DOCENTE MERIDIONALE RELATIVO ALLA POLEMICA SUI PROFESSORI DEL SUD CHE INSEGNANO AL NORD… E’ LA MIGLIORE RISPOSTA A CHI AUSPICA LA DIVISIONE DELL’ITALIA TRA BUONI E CATTIVI
Sono una giovane meridionale, della provincia di Reggio Calabria, trapiantata a Bologna da 12 lunghi anni.
Sono partita dalla mia terra, come spesso avviene, per motivi di studio. A Bologna mi sono laureata e qui, tra mille difficoltà , sono rimasta.
Abitudine? Voglia continua di migliorarsi? Di trovare un lavoro adeguato al mio titolo di studio?
La risposta vera non sono mai riuscita a darmela, ma rifletto, con rammarico, su tutto ciò, quando leggo la notizia che impazza sui giornali in questi giorni: “Sei un professore meridionale e allora via, se non sai parlare il dialetto della zona dove insegni”.
Il problema è: si sono mai chiesti questi ingegnosi politici quanto sia difficile entrare in graduatoria, anche al Nord, se non si è veramente qualificati?
Si sono chiesti se questi terribili insegnanti meridionali sono contenti di abbandonare la propria terra per motivi di lavoro, lasciando a casa, spesso e volentieri, prole, abitudini familiari e tetto coniugale?
Si sono chiesti se lo stipendio sia sufficiente a prendere una casa in affitto ( per non parlare delle bollette alle stelle per i non residenti) quando magari nella loro terra possiedono una casa di proprietà ?
La risposta e la giusta comprensione a questo quesito possiamo darla paradossalmente solo noi che siamo il popolo errante che per necessità si è dovuto spostare e che è difficile da capire a chi, ad una simile lettera, risponderebbe: “Ma allora chi te l’ha fatto fare? Tornatene a casa”.
Non sarebbe invece il caso di chiedere a questi politici se non sia giusto trovare il modo di risolvere il problema?
Cercare delle strutture adeguate, capaci di accogliere insegnanti che, oltre ad un lavoro, sarebbero ben contenti di far conoscere ai loro alunni le preziosissime tradizioni e le nozioni dialettali del loro territorio, piuttosto che imparare, a loro volta, quelli lontani chilometri dalle proprie origini? Chilometri che gli stessi insegnanti vagabondi percorrono, per il fantomatico “ruolo”, nelle cuccette e nei vagoni letto delle “Frecce del Sud”, dei “Francesco Cilea”, dei “Torino Siracusa”.
Sono sicura che ognuno di noi sarebbe ben lieto di restare a casa propria.
Avere un lavoro, legittimo e onesto, guadagnato con il proprio sudore fatto di studio e di esami spesso insuperabili, comprare una casa piuttosto che pagare l’affitto a vuoto per cinque, dieci anni, e non sentirsi mai a casa propria, non sentirsi accettato, sentirsi accusato di rubare il lavoro agli “inquilini” fissi e profondamente chiusi nelle loro città .
Bisognerebbe partire da qui, piuttosto che avanzare leggi che risultano essere profondamente razziste in un Paese che finalmente sembra stia vivendo un respiro di integrazione, proprio a partire dalle scuole.
V.A.
Leave a Reply