LA CENA RISERVATA DEI DISSIDENTI CHE PREPARANO LA SCISSIONE
NOVE PAGINE PREPARATE DAL FILOSOFO CARLO GALLI: “MOLTE FINI, UN NUOVO INIZIO”
Non è stata una riunione carbonara e tantomeno una conta, assicurano i partecipanti. Eppure la cena riservatissima tra dieci antirenziani pressochè irriducibili, a base di ribollita e pappardelle al cinghiale, conferma come la legge di Stabilità abbia accelerato la riflessione su una possibile scissione, per costruire un nuovo partito a sinistra del Pd.
Via della Vite, pieno centro di Roma.
In un noto ristorante toscano, alle nove della sera di martedì, entrano Stefano Fassina, Monica Gregori e Alfredo D’Attorre.
I primi due deputati hanno lasciato il Pd mesi fa, dopo il no alla «buona scuola» di Renzi e il terzo ha un piede già fuori, avendo annunciato che non voterà la fiducia sulla manovra economica.
Con loro, in un tavolo appartato, prendono posto gli onorevoli Carlo Galli, Vincenzo Folino e Franco Monaco, i senatori Corradino Mineo e Maria Grazia Gatti, nonchè due deputati toscani.
Walter Tocci non c’era, ma i colleghi dicono scherzando che «era presente in spirito».
Nel menù il documento politico del professor Galli, che insegna Storia delle dottrine politiche a Bologna.
Arrivato a Montecitorio con Bersani ed entrato in «sofferenza crescente» da quando il segretario è Renzi, il deputato modenese è l’autore di un testo di nove pagine dal titolo «Molte fini, un nuovo inizio. Tesi per una sinistra democratica sociale repubblicana». Dove la domanda di fondo è quella che apre il quinto paragrafo: «La grande decisione è oggi se ci sia spazio per la sinistra e, in caso affermativo, se tale spazio sia interno o esterno al Pd».
Il documento, che definisce la politica economica del governo «apparentemente aggressiva verso l’Europa e in realtà subalterna», è una critica profonda di Renzi «leader paracarismatico» e del combinato disposto tra legge elettorale e riforma costituzionale. Un binomio che, secondo Galli, genera «un governo del primo ministro» e un Parlamento «ridotto all’obbedienza».
La conclusione a cui il filosofo modenese giunge è che il Pd sia ormai «un partito di centro che guarda a destra» e che, fuori, esista lo spazio per un «progetto costituente repubblicano di nuovo New Deal, di un nuovo umanesimo sociale»
Al Nazareno si vive da separati in casa.
I dissidenti sono furibondi per la richiesta, inviata ai membri della direzione, di confermare via email l’incarico di Orfini a commissario.
Intanto Renzi assicura che non cambierà le primarie e tiene d’occhio le mosse della sinistra scissionista. Tant’è che, dalla Gruber, il premier non chiude le porte a Verdini: «Se entrerà in maggioranza? Ad oggi assolutamente lo escludo… Poi, da qui al 2018, osservo che c’è uno sfarinamento del centrodestra che mi colpisce molto».
Come dire che non intende subire a lungo i ricatti dei ribelli.
La decisione di rompere non è ancora matura.
Monaco, prodiano della primissima ora e teorico di una «scissione consensuale» in grande stile, era alla cena «da osservatore». E la Gatti è descritta come «molto cauta».
Ma il voto sulla manovra potrebbe portare a nuovi strappi: chi decidesse di smarcarsi non votando la fiducia, non avrebbe che una strada davanti a sè, uscire dal Pd.
D’Attorre ha già deciso, «senza correzioni profonde» compirà lo strappo: «Il livello di disagio è arrivato a un livello di guardia, tanti parlamentari sono stanchi di essere irrisi». Perchè non escono, allora?
«Per molti agisce ancora il senso di responsabilità di chi viene dalla tradizione comunista».
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera”)
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