LA PRESTIGIACOMO SBATTE LA PORTA: DONNE SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI
LE DONNE DEL CAPO NON OBBEDISCONO PIU’ PERCHE’ SENTONO CHE IL CAPO NON COMANDA PIU’: E’ IL SINTOMO DELLA DISSOLUZIONE E DELLA FINE DI UN CICLO POLITICO
Il caos delle Libertà sembra un film di Pedro Almodovar.
Gli manca quel tocco leggero di “pietas” che il regista di Ciudad Real è riuscito a mettere nei suoi lavori più commoventi (da “Tutto su mia madre” a “Parla con lei”). Ma per il resto gli ingredienti ci sono tutti.
Prima l’affondo di Veronica Lario in Berlusconi, sul “ciarpame politico” delle veline candidate alle elezioni del 2008, “offerte come vergini al drago”: una deriva che costrinse la moglie del premier a chiedere il divorzio.
Poi la stagione delle minorenni e delle escort, tra Noemi Letizia, Patrizia D’Addario e Ruby Rubacuori, che espose il premier ai velenosi report riservati dell’Ambasciata americana e pubblicizzati da WikiLeaks: un “uomo debole e stanco”, troppo impegnato nei “festini privati” per occuparsi della cosa pubblica.
Poi lo strappo di Mara Carfagna (dimissionaria da tutti gli incarichi previa denuncia della metamorfosi del Pdl da partito del popolo a “comitato d’affari”), ricomposto a fatica dal Cavaliere in cambio di un po’ più di agibilità politica nella Campania di Cosentino.
Poi la lite delle comari tra la stessa Carfagna (accusata di “flirtare” con il nemico futurista Italo Bocchino e immortalata con mms rubato a Montecitorio) e Alessandra Mussolini (debitamente ripagata con un sonoro “vajassa”, l’epiteto più classico del basso partenopeo).
Poi, ancora l’accusa di Barbara Lario in Berlusconi alla stessa Carfagna, “l’ultima che si deve lamentare”, essendo transitata senza colpo ferire “dai Telegatti a ministra”.
Poi Rosy Mauro, che da vicepresidente del Senato incappa in un clamoroso “fallo di confusione”, approvando di testa sua gli emendamenti al ddl Gelmini sull’Università senza farli votare da un emiciclo di Palazzo Madama, nel frattempo trasformato nel solito bivacco di manipoli.
Infine, l’ultima rottura: molla anche Stefania Prestigiacomo, ministra dell’Ambiente che dice (anche lei) di “non riconoscersi più nel Partito del popolo delle Libertà “.
E annuncia (anche lei) il trasloco nel Gruppo Misto, che di questo passo, tra transfughi dell’una e dell’altra parte, diventerà il primo partito del Parlamento italiano.
“Donne sull’orlo di una crisi di nervi”.
È il minimo che si possa dire, della nutrita e colorita “quota rosa” che anima la vita politica, notturna e diurna, di questo centrodestra.
Ma sarebbe un gioco fin troppo facile limitare l’analisi al problema (pur drammaticamente e statisticamente rilevante) della convivenza della componente femminile in un partito machista e sessista come quello berlusconiano.
Qui c’è di più.
La diaspora “di genere” che si è aperta dentro il Pdl è il sintomo più oggettivo e vistoso della dissoluzione finale di un ciclo politico.
Le donne del Capo non obbediscono più, perchè sentono che il Capo non comanda più.
Il Cavaliere non è uscito da trionfatore, dall’ordalia parlamentare del 14 dicembre.
È uscito da sopravvissuto.
E non alla testa di un “governo di legislatura”, ma alla coda di un “governo della non sfiducia”.
Un Andreotti qualsiasi, senza l’ambizione del disegno politico che, nel bene o nel male, resse per quasi un biennio quell’esperienza del 1976.
Il “divorzio” della Prestigiacomo certifica questo decadimento progressivo, che ci accompagnerà almeno fino all’11 gennaio, quando cadrà l’unico appuntamento che sta davvero a cuore al presidente del Consiglio: la decisione della Consulta sul legittimo impedimento.
Fino ad allora, sarà “caos calmo”, per usare un’altra metafora cinematografica.
Poi, a seconda di quello che decideranno gli ermellini della Corte costituzionale, può succedere di tutto.
Chi non ricorda il finale del “Caimano” di Nanni Moretti, se lo vada a riguardare.
È ancora cinema.
Ma non lo è forse anche quello che stiamo vedendo ogni giorno?
Massimo Giannini
(da “Polis- Repubblica“)
Leave a Reply