LA RUSSA, SOLDATO SCADENTE E CONGEDATO IN ANTICIPO: AGLI AMERICANI HA PURE RACCONTATO LA BALLA DI AVER FATTO IL PARA’ NELLA FOLGORE
MAL SOPPORTATO DAI GENERALI COSI’ COME PERALTRO IN PASSATO DAI MILITANTI MISSINI, PER GLI AMERICANI E’ SOLO UN “GRAN CHIACCHIERONE”…L’ASSE STORICO DELLA SUA FAMIGLIA CON IL COSTRUTTORE LIGRESTI, IL CLAN MILANESE, I PARENTI PIAZZATI OVUNQUE
Il giorno del primo attacco alla Libia, Ignazio La Russa sembrava Atlas Ufo Robot: come il Goldrake dei cartoni animati urlava in diretta tv nomi di armi portentose per scacciare Gheddafi.
Poi la mattina dopo si è presentato ad annunciare che i nostri stormi avevano neutralizzato le difese di Tripoli.
In realtà l’unico ad essere abbattutto è stato il pilota dell’Aeronautica che ha professionalmente spiegato i fatti: non era stato lanciato alcun missile.
Lo hanno mandato via a velocità supersonica, per evitare che i sogni fantabellici di Ignazio ministro d’acciaio venissero spazzati via.
Ma chi negli Stati Maggiori deve convivere con La Russa ormai è alla disperazione, costretto a fare i conti con proclami in libertà , iniziative pasticciate e una profonda ignoranza per le questioni militari.
Ama le parate, le tute mimetiche, i voli dannunziani ma si annoia nei vertici operativi e mostra insofferenza per i summit internazionali, aspettando solo il coffee break per mettersi a fumare e incollarsi al cellulare per parlare del partito.
Eppure La Russa si era imposto come l’unico titolare della Difesa con un trascorso da ufficiale.
Per l’insediamento avevano pensato di diffondere il suo stato di servizio in pompa magna, poi quando hanno recuperato il fascicolo si è deciso che era meglio riseppellirlo negli archivi.
“Diciamo che aveva servito la patria poco e male…”, sussurrano nel palazzone di via XX settembre.
Un documento top secret, in cui lo si vede recluta nella scuola di Ascoli, dove gli istruttori faticano a metterlo in riga: “Sono entrato un po’ disordinato ma mano mano ho acquisito una consapevolezza nuova”.
Quindi lo mandano a Genova e di corsa lo avvicinano a Milano, dislocandolo a Bergamo.
Ma nella caserma Montelungo lo vedono poco, tra permessi a casa e un addio alle armi molto rapido.
La voce sul servizio militare “agevolato” del ministro della Difesa viene raccolta anche da uno che lo aveva conosciuto e frequentato parecchio, Tomaso Staiti di Cuddia, missino della prima ora, consigliere comunale a Milano nei caldi anni Settanta, deputato per tre legislature, oggi aderente a Futuro e Libertà : “Quando l’ho visto in televisione parlare dei Tornado mi è venuto in mente del suo congedo anticipato, ho chiesto a un amico e me lo ha confermato”.
Forse è nel suo plotone missilistico che La Russa ha imparato a spararle grosse perchè – come rivela un cablo di WikiLeaks che “l’Espresso” pubblica in esclusiva – nel 2008 agli emissari del governo americano ha detto “di avere svolto il breve servizio militare nei paracadutisti della Folgore e che per questo aveva cercato l’incarico di ministro della Difesa”.
Quel file riservato del 23 maggio 2008 descrive il primo incontro tra un rappresentante di Washington e il politico prossimo alla nomina nel governo Berlusconi.
Le sue priorità ? Tutte rimaste sulla carta, tranne un capriccio che gli sta particolarmente a cuore: la mini-naja “per diffondere un senso di orgoglio civico”.
Come? “D’estate le caserme devono aprire le porte ai giovani per trenta giorni. Lui spera che questo spinga alcuni verso la carriera militare ma diffonda anche un senso di identità nazionale e di servizio al Paese. Ha detto che il programma può indirettamente contribuire per combattere la microdelinquenza e il consumo di droga tra i ragazzi”.
La sua biografia trasmessa a Washington recita: “E’ un gran chiacchierone (talkative), energetico e ama fare battute per illustrare il suo punto di vista. E’ una personalità teatrale (flamboyant) e ammette apertamente che gli piace stare sotto i riflettori”.
La Russa racconta che già nel 2001 Berlusconi gli aveva offerto una poltrona ma lui aveva preferito restare alla guida del gruppo parlamentare di An: “Io sono innamorato della politica. Mi sono divertito all’opposizione ed è stato estremamente gratificante mettere in luce le debolezze del governo”.
Agli americani Ignazio promette che sui piani per l’espansione delle loro basi “non ci sarà da preoccuparsi” e si “descrive letteralmente come filostatunitense. Fa risalire il suo coinvolgimento nel movimento giovanile dell’Msi negli anni ’60 come un esempio dei suoi sentimenti filoamericani. Dice che il movimento era diviso in due: chi stava con i palestinesi e chi stava con gli Usa (e con Israele). Lui sostiene di essere stato un esponente di punta dei secondi”.
La carriera politica di La Russa, all’apice tra la responsabilità di un ministero e la cogestione della segreteria Pdl, in questi giorni ha raccolto frutti abbondanti anche con le nomine pubbliche.
Se alla Terna resta Flavio Cattaneo, da sempre considerato in buoni rapporti con lui (quando l’Inter gioca in trasferta loro due vanno a vedere la partita da Ligresti), due nuovi ingressi sono nel segno del ministro: Giovanni Catanzaro, già manager del gruppo Ligresti e presidente della Consip è entrato nel consiglio Finmeccanica, mentre Roberto Petri debutta all’Eni.
Peccato che martedì il ministro abbia dovuto prendersi una censura dalla Camera per il “vaffa” al presidente Fini (che gli rispose “deve essere curato”, con un’allusione a un vizietto del quale si chiacchiera molto a Roma e Milano).
Che la sua sia una condotta spesso sopra le righe lo dimostra anche da giovane militante, quando la sua scalata nel Msi si interrompe bruscamente nell’aprile 1973.
Lui ha 25 anni, barba e capelli lunghi, è il leader cittadino del Fronte della Gioventù e organizza un corteo non autorizzato che finisce con l’uccisione dell’agente Marino colpito da una bomba a mano: è la scena con cui si apre “Sbatti il mostro in prima pagina”, film girato in quei giorni da Marco Bellocchio.
Giorgio Almirante, che già ama poco quel leaderino troppo esagitato, scioglie la federazione di Milano e La Russa sparisce per una decina d’anni.
Riappare alle elezioni regionali del 1985.
Con una curiosa coincidenza temporale, ricorda Staiti di Cuddia, 79 anni, che all’epoca aveva pessimi rapporti con Fini e oggi sostiene alle amministrative milanesi la futurista Barbara Ciabò: “Raffaella Stramandinoli, già coniugata De Medici e poi diventata donna Assunta Almirante, aveva un figlio reduce da qualche difficoltà economica e in quel periodo riuscì a trovargli un’agenzia della Sai a Roma. Il merito fu naturalmente di Antonino La Russa, grande amico (direi quasi padrone) di Salvatore Ligresti”.
Da quel momento tutto si rappacificò e Ignazio fu messo capolista scavalcando l’uscente Benito Bollati “obbedendo al principio della famiglia”, aggiunge Staiti, “che non è importante partecipare, ma vincere. Ancora prima che il Comitato centrale del partito avesse formalizzato la candidatura, Milano era tappezzata di 100 mila manifesti con scritto Ignazio La Russa. E la campagna la diresse il padre”.
L’asse storico La Russa-Ligresti nasce dalla parentela con Michelangelo Virgillito, cognato del vecchio La Russa.
Tutti sono di Paternò, nel catanese. Virgillito arriva a Milano nel 1921. Si dà molto da fare anche se con alterne fortune tra immobili, cinema e finanza. Con l’aiuto di La Russa conquista la Lanerossi e poi la Liquigas che gira al suo delfino Raffaele Ursini, ma dopo qualche anno entra in gioco alla grande Salvatore Ligresti.
Ben tre generazioni di La Russa si sono intrecciate con gli affari dell’Ingegnere.
Capostipite a parte, è coinvolto in primo luogo il figlio Vincenzo, fratello maggiore di Ignazio, già deputato e senatore democristiano e autore di tre biografie da Almirante a Scelba e Fanfani, avvocato civilista, consigliere di amministrazione della Fondiaria Sai e da un anno della Metropolitana milanese.
Ora c’è in pista anche Geronimo, uno dei tre figli di Ignazio, consigliere Premafin, di alcune collegate e della Gilli, l’azienda del lusso di Giulia Ligresti. Da poco è anche vicepresidente dell’Aci di Milano.
Il terzo fratello, Romano, è assessore lombardo alla Protezione civile.
Ma l’allargamento a macchia d’olio del clan familiare va oltre.
Marco Osnato ha sposato Maria Cristina “Cri Cri” La Russa, figlia di Romano, ed è il coordinatore vicario del Pdl milanese, nonchè consigliere comunale e dirigente dell’Aler, l’ex istituto delle case popolari.
Osnato è tra i soci fondatori, assieme al suocero, di “Fare Occidente”, associazione culturale di ex aennini che ha conquistato un po’ di notorietà quando in gennaio alcuni militanti hanno oscurato un cartellone in difesa del made in Italy sul quale è raffigurato Gesù in croce.
Altri due larussiani doc sono il vicesindaco De Corato e l’emergente Marco Clemente.
Il primo, veterano del consiglio comunale, fu reclutato da Ignazio in Regione Lombardia (“Faceva anche il baby sitter di suo figlio Geronimo” ironizza Staiti) e si ricandida alle amministrative del 15 maggio, numero due dietro Berlusconi.
Il “clan di Paternò” cresce. Negli affari nazionali e locali.
E non sarà certo una censura alla Camera a fermare la lunga marcia su Roma.
Gianluca Di Feo e Claudio Lindner
(da “L’Espresso“)
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