LA SVIZZERA DICE STOP ALLE CENTRALI NUCLEARI: FERMATA GRADUALE CON TERMINE 2034
PER LE SCORIE L’IPOTESI DI UN DEPOSITO A 180 KM DA MILANO….LO SMANTELLAMENTO DELLE CENTRALI SVIZZERE SARA’ RIPAGATO VENDENDO ELETTRICITA’ ALL’ITALIA
Se c’è qualcuno che di referendum se ne intende va cercato in Svizzera.
Con l’ultima consultazione di metà maggio, ad esempio, Zurigo ha bocciato la proposta di negare agli stranieri l’eutanasia.
Assolutamente pacifico, dunque, che negli ultimi anni i cittadini elvetici di ogni ordine e grado si siano espressi a più riprese anche sull’energia nucleare, confermando invariabilmente la loro vocazione «atomica».
Solo il 14 febbraio scorso, nel cantone di Berna, i residenti dicevano «sì» alla costruzione di un nuovo impianto nucleare a Mà¼hleberg, che avrebbe dovuto rimpiazzare quello esistente, uno dei cinque rossocrociati, in funzione dal 1971.
Una vittoria risicata, con un margine di soli novemila voti su 367 mila.
Un segnale che, al di là delle Alpi, la fede nucleare stava iniziando a vacillare anche prima di Fukushima.
Nel 1990, sotto l’effetto Chernobyl, il 54,6% degli svizzeri aveva optato per una moratoria nucleare di dieci anni.
Moratoria, si badi bene, non chiusura.
Nel 2003 due proposte anti-nucleari furono rigettate in un colpo solo, con il 66 e il 58% dei votanti.
E non più tardi del mese di novembre dello scorso anno l’Ispettorato federale per la sicurezza nucleare ha dato il via libera a una rosa di tre siti (Niederamt, Beznau e, appunto, Mà¼hleberg) dove ubicare due nuove centrali.
Curioso, per di più, che proprio nella «verde» Svizzera si sia verificato nel 1969 l’unico episodio europeo di fusione del nocciolo: avvenne in una caverna a Lucens, vicino a Losanna, e interessò un reattore pilota da 6 megawatt.
Colpisce, dunque, che proprio qualche giorno prima della decisione ufficiale della Merkel, la settimana scorsa anche la nostra nuclearista vicina settentrionale abbia invertito rotta, scegliendo di abbandonare l’energia da fissione.
Questa volta non per referendum, ma per decisione governativa.
Un addio «graduale», che farà sì che il distacco degli impianti si scaglioni tra il 2019 e il 2034. Un periodo durante il quale, vendendo l’elettricità anche all’Italia, i previdentissimi svizzeri si garantiranno l’alimentazione del fondo che dovrà ripagare lo smantellamento.
Ed è proprio il capitolo smantellamento, e trattamento delle scorie, che accomuna in parte Roma e Berna.
Entrambe hanno il problema di trovare un luogo, nel sottosuolo profondo, dove stoccare definitivamente le loro scorie ad alta, media e bassa intensità .
In Svizzera però, a differenza che in Italia, sono già state individuate sei aree papabili: cinque a nord, tra Sciaffusa, Zurigo e il Giura.
Una a Wellenberg, nel Nidwalden. Per intendersi, a 240 chilometri di autostrada da Milano, poco più di 180 in linea d’aria.
Lo scorso febbraio, nel Nidwalden, l’80% dei votanti ha detto «no» in un referendum al deposito delle scorie.
Lì, forse, la Svizzera assomiglia di più all’Italia.
Leave a Reply