LA SVOLTA DI ANGELA MERKEL
L’INTUIZIONE CHE ARRIVA SOLO DAI VERI LEADER
Epocale. L’uso e, soprattutto, lo sfrenato abuso di questo aggettivo-passepartout sono finalmente sotto il tiro della critica.
È difficile contestare, però, che la storica svolta di Angela Merkel sia il frutto dell’intuizione lucida non tanto dell’emergenza, quanto piuttosto dell’inevitabile e non indolore passaggio d’epoca che l’ondata dei rifugiati e dei migranti segnala per la Germania e per l’Europa.
La condividano o meno, i sostenitori della politica ridotta a ordinaria amministrazione che ci hanno asfissiato nell’ultimo ventennio dovrebbero prenderne atto.
Di simili intuizioni, con tutto l’inaudito carico di responsabilità e di rischi che comporta il tentativo di tradurle in azione di governo, sono capaci soltanto leader politici veri: non i tecnocrati, non i comunicatori, non la cosiddetta società civile, non i capipopolo.
E nel desolato panorama europeo la signora Merkel è, nel bene e nel male, l’unico leader politico vero.
La cancelliera viene «dal freddo», non dal nulla.
In fondo, era cristiano-democratica, come si poteva esserlo nella Germania dell’Est, fin dai tempi lontani dell’appartenenza alla Fdj, l’organizzazione giovanile della Sed.
E si è guadagnata sul campo la leadership della Cdu: non la principale forza della destra europea, come pure si legge, ma (fino al 1992 assieme alla Dc italiana) il più grande partito popolare d’Europa.
È anche questa storia – una storia che ha consentito in passato alla Cdu di essere protagonista della costruzione del capitalismo sociale di mercato tedesco e del modello europeo di Welfare – che Angela Merkel cerca di re-inverare (o di re-inventare), liberandola dagli orpelli del passato ma mantenendone l’ispirazione di fondo, in condizioni inedite, sconvolgenti, imprevedibili per i suoi predecessori.
Se è proprio di destra, o di centrodestra, o di moderati, che bisogna parlare, ebbene questo campo, in Europa, la Merkel lo ridisegna, mettendo in conto rotture, divisioni, resistenze. Non può giurare sul buon esito della sua svolta, e nemmeno sulla possibilità di governarla fino in fondo.
Pensa però, e a ragione, che alzando muri non soltanto si perde la faccia, ma si sbatte la testa.
Si ironizza su un’Italia politicamente capovolta, in cui la destra che sino a ieri inneggiava alla Merkel ora la dipinge come un’egoista mascherata da benefattrice che si preoccupa solo di procurarsi forza lavoro qualificata a buon mercato e di contrastare il calo demografico tedesco, e la sinistra che, dopo averla rappresentata come la reincarnazione della volontà di potenza (per non dire di sopraffazione) tedesca, adesso ne esalta commossa la sollecitudine materna verso i dannati della terra.
Ne ha detto benissimo Pierluigi Battista: chi scrive ha da aggiungere solo due considerazioni a margine.
La prima. È vero, con la pallidissima eccezione di Parigi, e quella, tutta da verificare, di Atene, la sinistra non è al governo in nessuna capitale importante.
Ma ci deve essere qualche motivo se, mentre i partiti socialdemocratici annacquano ogni giorno il loro vino, è una cristiano-democratica (una democristiana?) che guida il Paese incommensurabilmente più forte dell’Unione a giocare la carta dell’inclusione, prendendosi il plauso di Yoshka Fisher per la sua capacità di «socialdemocratizzare» la Cdu.
Urge riflessione identitaria, e probabilmente molto di più.
La seconda. In Europa cambia, o può cambiare, il passo della storia, si ridislocano le grandi forze in campo.
Da noi, dopo vent’anni consumati nella contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo (che è cosa diversa da quella tra destra e sinistra), al centro del confronto e dello scontro, intemerate di Matteo Salvini e Beppe Grillo a parte, c’è l’articolo 2 della riforma del Senato.
Non sarà che di grande politica avremmo molto bisogno anche noi?
Paolo Franchi
(da “il Corriere della Sera“)
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