LA TRAMA DI DENIS VERDINI, TRA CONDANNE E POTERE: QUANDO LA PASCALE GLI MISE LE MANI ADDOSSO PER CACCIARLO
DALLA CORTE DI BERLUSCONI AI “GIOCHI” PER RENZI
«Ma tu chi ca…oooo sei? Come ca…oooo ti permetti a parlarci così?». La crudezza del linguaggio ingiustamente associata dall’immaginario collettivo alla figura del macellaio, che tra l’altro era stato il suo primo lavoro, esplose in Denis Verdini nell’ottobre del 2013, in una delle nottate più tragicomiche dell’epopea berlusconiana.
Comica perché al Senato, con una giravolta rimasta nella storia parlamentare, il Cavaliere aveva accordato, dopo averlo negato in mille salse, l’ultimo voto di fiducia al governo guidato da Enrico Letta; e tragica perché qualche ora dopo, a Palazzo Grazioli, lo stato maggiore di Forza Italia si leccava le ferite, col «capo» appena azzoppato da una condanna passata in giudicato e un partito senza leadership o prospettive. Francesca Pascale, all’epoca compagna di Berlusconi, trovandoli riuniti a tarda notte dopo essere tornata da una pizzata in centro, era impazzita: «Fuori da casa mia, subito!». Gli altri erano rimasti ammutoliti, compresi molti pezzi da novanta. Verdini no: «Ma tu chi ca…oooo sei?».
Raccontano che a dividerli quasi fisicamente (per alcuni senza «quasi») era dovuto intervenire Silvio Berlusconi in persona.
L’uomo per il quale nella seconda metà degli anni Novanta Verdini — che alla scalata alla guida operativa del ramo «partito» del vastissimo impero berlusconiano era arrivato dopo essere stato socialista, repubblicano, candidato del Patto Segni — aveva maturato una fascinazione tale da richiedere una spiegazione a margine, come sempre ripulita da giri di parole improntati al politicamente corretto: «Fascinazione, sì. Anche se non vorrei che, oltre che sono massone, di me si dicesse che sono gay».
Ora che il numero di procedimenti giudiziari ha abbondantemente superato quello delle dita di due mani (alcuni conclusi anche con un’assoluzione «perché il fatto non sussiste», come per l’accusa di violenza sessuale rivoltagli da una cliente del Credito cooperativo nel 2001), ora che alla maledizione delle condanne in via definitiva s’è aggiunta la storia che vede lui indagatoe il figlio Tommaso agli arresti domiciliari, qualcuno ricorda il sorriso maligno che alcuni colleghi parlamentari avevano rivolto a Verdini il giorno del 2012 in cui era passata la legge sul traffico d’influenze. «Denis, mi sa che ce l’hanno con te…».
Traffici e influenze, d’altronde, sono orgogliosamente parte del suo Dna, un cocktail impazzito in cui Verdini ha fuso quarti di bue e libri di ingegneria costituzionale, regolamenti parlamentari e trame ultrapartisan, lezioni di Giovanni Sartori e obbedienza (mai cieca) a Silvio Berlusconi, il Partito repubblicano e il Popolo delle libertà. Quasi sempre, almeno fino a un certo punto, accompagnato dalla convinzione che se fosse rimasto vivo uno, in qualsiasi battaglia, quello sarebbe stato lui. Tipo Christopher Lambert in Highlander.
Quando scoppiò lo scandalo della P3, nel 2010, uscì dall’interrogatorio con i magistrati e fece l’unica cosa che gli avevano consigliato di non fare: convocare una conferenza stampa. Alla domanda su come mai ben tre Procure lo indagassero, rispose caustico: «Perché è la 3P!». Qualche minuto prima, aveva riscritto parte della storia degli anni più bui della Repubblica, quando lui era ancora a Firenze a fare il consigliere di quartiere per il Psi e a qualche centinaio di chilometri di distanza la Finanza metteva sottosopra gli uffici di Licio Gelli: «Ricordate la P2? Era panna montata, l’inchiesta si è conclusa con l’assoluzione di molte persone…».
A ragione o a torto, viene considerato non tanto un grande vecchio, quanto il diabolico inventore di piccoli congegni che hanno scritto in parte la storia contemporanea. A destra, certo, come nella ricerca dei «responsabili» che consentirono al governo Berlusconi IV di salvarsi dall’opa ostile di Gianfranco Fini. Ma anche a sinistra. Renzi vince a sorpresa le primarie per il sindaco di Firenze nel 2009? «C’è l’aiutino di Verdini». Lo sfidante di Renzi per Palazzo Vecchio è un peso leggero come Giovanni Galli? «C’è la manina di Verdini». Renzi va in gran segreto ad Arcore nel 2010? «Ha organizzato tutto Verdini».
Sul patto del Nazareno, quello appunto tra Renzi e Berlusconi, le sue impronte Verdini le aveva lasciate ben visibili. La brama di potere, le accuse di essere da sempre (e pericolosamente) troppo vicino al denaro, quelle non l’avrebbero abbandonato mai. I due cavalli su cui aveva scommesso a un certo punto li ha persi: con Berlusconi rompe per rimanere dentro la maggioranza di Renzi e Renzi non lo riporta in Parlamento alle elezioni del 2018, lasciandolo senza immunità. Si è ritrovato, per un giro incredibile, un Salvini in famiglia. La propensione a non rimanere lontano dai guai, quella, a quanto pare, sopravvive.
Tommaso Labate
(da il corriere.it)
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