L’AQUILA DIMENTICATA, IL PARROCO DI TEMPERA: “NON CI DICONO LA VERITA'”
SUL “CORRIERE DELLA SERA” ON LINE UN VIDEO E UN REPORTAGE SU L’AQUILA PER CAPIRE A CHE PUNTO SIAMO…MACERIE MAI RIMOSSE, RICOSTRUZIONE FERMA, EFFETTI DEVASTANTI SULLA PSICHE, UN DRAMMA UMANO CHE SI VUOLE NASCONDERE PER INTERESSI POLITICI
Domenico ti fulmina con lo sguardo mentre cammina sul cumulo di macerie in cui un tempo c’era Tempera, il suo paese.
Non si è ancora rassegnato, ma l’esperienza di questi ultimi diciotto mesi gli ha fatto perdere ogni fiducia nello stato italiano.
Don Giovanni Gatto, parroco di Tempera, mentre racconta come sia riuscito a salvarsi per miracolo, indica con tristezza la montagna di pietre ed erbacce che ha presso il posto della sua chiesa.
Lungo le statali che avvolgono l’Aquila, i cartelli con i nomi di paesi e borghi fantasmi sono tanti.
Basta abbandonare l’asfalto e inoltrarsi lungo strade sterrate per assistere ad uno spettacolo agghiacciante, diventato ormai normale.
Poltrone, televisori, resti di bagni e cucine, spuntano tra i detriti per raccontare come un tempo in questi luoghi c’era la vita.
Il signor Maurizi, orgoglioso proprietario del albergo ristorante “La cabina” di Castelnuovo, si è dovuto costruire a spese sue una baracca di legno sul bordo della strada.
Il nuovo e precario bar si chiama «La cabina 2» e dista pochi passi dai resti della struttura precedente. Ora Maurizi tira a campare immerso nei debiti: il sisma ha raso al suolo i sacrifici di tre generazioni d’emigranti in America e in Germania.
Benvenuti ad un Aquila di cui tanto si è parlato e poco si è visto, diventata drammatico bottino della politica.
Nel centro storico della città abruzzese, ci si aspetta di vedere o sentire l’assordante rumore di ruspe o il movimento di camion e gru.
Invece niente, un silenzio innaturale ti accompagna mentre cammini nei vicoli di quello che rimane del bellissimo centro storico.
Le new town, piccoli quartieri di case nuove, costruite a peso d’oro, stonano con il paesaggio circostante.
Chi ha avuto la fortuna di finire in questi quartieri inizia a intuire che ci dovrà rimanere, se tutto va bene, almeno 30 anni.
Le case consegnate personalmente dal premier Berlusconi, appena ci si entra, appaiono molto diverse da come le abbiamo viste in televisione.
Sono piccole e di mura sottili.
Come spiega un terremotato «dopo mesi in tenda pure una baracca ti sarebbe sembrata una regia».
L’Aquila appare molto diversa da quella mostrata fin ora.
Le macerie non sono state rimosse, la gente vive in un clima d’angoscia crescente.
Il numero dei morti, dei suicidi, dei divorzi e dell’uso di psicofarmaci è aumentato nel silenzio generale.
Il dottor Alessandro Sirolli, direttore del centro psichiatrico diurno dell’Asl 1 dell’Aquila non ha dubbi: «Ci nascondono le cifre del disastro umano» racconta.
Gli effetti distruttivi sulla psiche umana, dopo il sisma e lo stato di crisi, sono stati devastanti.
Di ricostruzione non se ne parla più nè in consiglio regionale nè tra la gente. La speranza è ridotta al lumicino mentre un secondo inverno è alle porte.
Un dramma umano che si svolge lontano anni luce dalle aule parlamentari e dalle sedi dei partiti.
La sensazione è che l’Aquila, questo pezzo d’Italia, sia stata rimossa dall’immaginario collettivo e che il cartello posto all’ingresso di una delle centinaia di baracche di legno in cui trascorrere quel poco di vita sociale che ancora rimane – dove si legge «questa è l’Italia del si salvi chi può» – non sia frutto del qualunquismo quanto piuttosto la fotografia di una realtà con cui dovremmo fare i conti per molti decenni.
(da “il Corriere della Sera“)
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