LE DODICI ORE CHE CAMBIARONO TUTTO: COME SI E’ ARRIVATI ALLA MEDIAZIONE SU CASELLATI E FICO ATTRAVERSO LA BRUCIATURA CONCORDATA DI FRACCARO
BERLUSCONI ALLA FINE NE ESCE CON UNA FEDELISSIMA DI GHEDINI AL SENATO MA INCAPACE DI UN COLPO DI RENI CHE CHIUDA UNA FASE E NE APRA UNA NUOVA… E ALLA FINE I CANDIDATI DI GARANZIA GARANTISCONO SOLO I VINCITORI
Ore nove del mattino di sabato 24 marzo, palazzo Grazioli. Silvio Berlusconi ha sul tavolo un comunicato, pronto per essere diffuso. Nero su bianco vi ha fatto scrivere il nome del candidato del centrodestra per la presidenza del Senato. È quello di Anna Maria Bernini. Un’accoppiata che, stando alle comunicazioni ufficiali, dovrebbe comprendere Riccardo Fraccaro alla Camera. La partita è chiusa.
Di lì a qualche minuto la storia cambia il suo corso. E prende tutt’altra direzione.
Riavvolgiamo il nastro, perchè per raccontare le dodici ore che hanno messo in fibrillazione i partiti fino alla soglia del sostenibile, che hanno portato a una soluzione stravolta nel giro di qualche decina di minuti occorre partire dall’inizio.
Da quando, venerdì sera, Matteo Salvini spacca la coalizione, e vota la forzista Bernini a Palazzo Madama bruciando di fatto il candidato ufficiale degli azzurri, Paolo Romani.
La riunione del vertice di Forza Italia e il comunicato glaciale in cui si denuncia una “rottura a freddo” dei patti è storia.
Ma è proprio subito dopo, nel cuore della notte, che la diplomazia del Carroccio si rimette in moto. Salvini chiama a Grazioli, inizia a tessere la tela per riannodare i fili del dialogo.
Spiega che non avrebbe mai mandato uno dei suoi a votazioni al buio a Montecitorio (Giorgetti, nella fattispecie, chiesto a gran voce da Gianni Letta e dal vertice azzurro) che la presidenza ai 5 stelle è un modo per tenere aperte tutte le strade in vista di un futuro esecutivo.
E che la sua forzatura sul Senato aveva come unico fine quello di superare il nome di Romani, su cui i grillini si erano impuntati, e non di cambiare schema e giocare di sponda con loro per eleggere un nome del Carroccio.
Berlusconi è furioso, ma ancora più furiosi sono i suoi. Ma con il passare dei minuti capisce che l’alleato fa sul serio: se non cede, apre definitivamente la porta all’asse gialloverde, con il risultato di vedersi tagliato fuori dai giochi. Con tutte le ricadute del caso sul partito e sulle aziende.
È a quel punto che chiama Salvini. Gli chiede un segnale: “I 5 stelle non possono imporci un candidato mentre noi accettiamo passivamente il loro – è il ragionamento – Se vogliono l’accordo deve essere alla pari, anche noi dobbiamo poter dire la nostra sui nomi”.
Appena il segretario della Lega attacca il telefono, apre la lista delle ultime chiamate. In cima c’è il numero di Di Maio, perchè “non si contano più le volte che si sono sentiti, è un filo diretto praticamente”, spiegano dalla Lega. Lo pigia.
“Dovete dare un nome da sacrificare come gesto per convincere Berlusconi”, spiega. Deve insistere, la diffidenza della war room stellata è tanta. L’offerta è di quelle difficili da accettare: ufficializzare una candidatura per farsela bocciare. Senza garanzie su nulla.
Sono momenti di tensione, alla fine arriva un sofferto ok.
Di Maio spiega che per il Movimento Fraccaro e Fico sono sullo stesso piano, hanno lo stesso valore. Salvini non pone veti su nessuno dei due nomi, ma esprime una preferenza per il secondo.
Soprattutto perchè il primo ha origini del Nordest. La terra verde più lontana dal milanese Matteo, sulla quale è meno facile mantenere il controllo. Mette in conto anche il voto in Friuli, ed ecco che è meglio non dare adito a sponde per criticare la leadership su quel versante. “Anche perchè Fico ha tenuto un profilo più istituzionale – spiegano dalla Lega – Fraccaro ci ha insultato per anni”.
Di Maio chiede al suo uomo fidatissimo la disponibilità , lui gliela concede senza esitare. Così matura un comunicato stampa del tutto irrituale, trasmesso intorno alla mezzanotte alle agenzie di stampa.
Irrituale perchè offerto in pasto alle lunghe trattative della notte, e di fatto bruciando l’assemblea delle 9 del mattino degli eletti 5 stelle. Il messaggio arriva a Grazioli. Dove la situazione, invece di sbloccarsi, si incarta nuovamente.
Berlusconi ha avuto il riconoscimento politico che cercava. E spariglia: “Ora si può tornare su Anna Maria”.
Convoca un vertice da tenersi in contemporanea con l’assemblea 5 stelle, e nella notte fa preparare il comunicato. C’è la bocciatura di Fraccaro, con i termini morbidi della “figura non pienamente idonea”. E c’è il nome della Bernini, la candidata ritenuta più idonea per ricoprire l’incarico.
Quando la notizia arriva a Romani e Renato Brunetta, scoppia la bufera.
Alle nove, puntualissimi i due capigruppo si infilano a Grazioli con l’umore nero. “Non ci possiamo far imporre il nome da Salvini, non esiste”.
La discussione è accesa a tal punto che a un certo punto minacciano le dimissioni, escono dalla stanza del vertice, e si chiudono in una attigua. Sono i primi a sfilarsi e ad abbandonare il vertice.
Niccolò Ghedini tiene il punto insieme a loro. Anche Letta e Giorgia Meloni, al lavoro tutta la notte perlimare le distanze.
Alla fine Berlusconi cede. Si va sul terzo nome. È quello di Elisabetta Alberti Casellati. Un rapporto stretto con lo storico avvocato e consigliere del leader azzurro. Dal 2008 al 2011 sottosegretaria di Angelino Alfano al ministero della Giustizia, i tempi di Ruby rubacuori “nipote di Mubarak” e della guerra santa alle procure, memorabili i suoi duelli televisivi con Marco Travaglio.
Gianni Letta è l’ultimo a insistere sulla necessità di non cedere sulla Camera ai 5 stelle. Bloccato da Salvini: “Su quello non si discute”.
A qualche centinaio di metri lo stato maggiore stellato è con il fiato sospeso fin dalle prime luci dell’alba. Dopo le crepe degli ultimi giorni, la fiducia nel Carroccio non è completa. Da Grazioli parte una telefonata: “È fatta”. Sono circa le 10.20 quando il centrodestra fa partire il comunicato: Casellati al Senato, no a Fraccaro. Nemmeno il tempo di domandare la reazione alla bocciatura del candidato annunciato dalla notte, che tre minuti dopo Di Maio scioglie le riserve. Scende in assemblea insieme al compagno di tante battaglie, lo abbraccia, lo indica come candidato del Movimento a Montecitorio.
I volti si distendono, la maggioranza è schiacciante, al netto dei franchi tiratori la partita è chiusa nelle votazioni del mattino.
È a quel punto che da uno dei massimi vertici della diplomazia leghista parte un messaggio al proprio omologo: “Ti fidi ora?”. La risposta arriva a stretto giro. Solo un’emoticon: è quella di un bacio.
Ed è così che si ritorna alla casella di partenza. A ieri mattina, quando un ignaro passante ha scoperto un murales, giusto a metà strada tra Montecitorio e Palazzo Madama. E ha visto su un muro, il bacio che trentasei ore dopo si sarebbe trasferito sullo schermo di uno smartphone.
(da “Huffingtonpost”)
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