LE LAMENTELE DI LUPI SUI VESTITI GRATIS: “QUESTO SARTO FA SCHIFO”
LE TELEFONATE CON GLI INDAGATI RIVELANO UNO SQUALLORE TOTALE
Per comprendere fino a dove, nelle ultime 72 ore, si era spinta la disperata menzogna del ministro Maurizio Lupi («Non ho mai raccomandato mio figlio, nè ho bisogno che qualcuno mi compri degli abiti») e perchè era diventata insostenibile, è utile scorrere le migliaia di pagine della monumentale informativa del Ros dei carabinieri depositata dalla Procura di Firenze quale allegato agli atti della pubblica accusa.
In quelle carte sono infatti documentate due nuove circostanze.
La prima: il ministro (da oggi ex) non solo sollecita Ercole Incalza a prendersi cura del neolaureato Luca con parole chiare, ma è anche al corrente della “doppia possibilità ” offerta al ragazzo.
E dunque della disponibilità del costruttore Claudio De Eccher di prenderselo in carico (ipotesi che sarà poi scartata a beneficio di un’assunzione da parte di Stefano Perotti).
La seconda: il sarto Vincenzo Barbato “serve” Lupi senior e junior (oltre che l’intero staff di collaboratori del ministro) in un affannoso crescendo di umiliazioni e senza che i due mettano mai mano al portafoglio (ci pensava “zio Frank”, Cavallo).
Per ordine di Maurizio, deve andare a prendere le misure di Luca nella sede del Ncd a Roma, perchè il ragazzo non può scomodarsi.
E dopo una scenata del ministro, deve rimettere rapidamente mano all’abito che gli ha confezionato, perchè il nostro lo trova «schifoso».
IL RACCOMANDATO E DE ECCHER
Torniamo dunque al gennaio 2014. Alle 13,55 di mercoledì 8, Lupi alza il telefono e ordina a Incalza di ricevere suo figlio Luca.
«Ercole, ma stai sempre a mangiare, cazzo? Stai al ministero? Se ti mando tra un quarto d’ora questo che è venuto da Milano a Roma per fare due chiacchiere? Nel senso di avere consulenze e suggerimenti, eccetera».
E Incalza: «Questo chi?». «Viene mio figlio Luca».
Il Mandarino si scioglie: «Quando vuoi… Ma figurati… Nessun problema».
A sera, come sappiamo, la pratica è bella che istruita. Incalza attiva Perotti. Perotti attiva “zio Frank”Cavallo.
Il ragazzo viene rassicurato telefonicamente da Perotti e, il giorno successivo, il 9, vede a pranzo Cavallo. Che ha un’idea.
La soluzione più semplice è caricare il giovanotto sul groppone di Claudio De Eccher, costruttore che si dà del tu con il ministro e per il quale Lupi busserà mesi dopo alla porta del ministro dell’Interno Alfano per risolvere il fastidioso problema di un’interdittiva antimafia piovuta sull’impresa friulana.
E tuttavia c’è dell’altro. Proprio quell’8 gennaio, alle 22.21, zio Frank, che in quel momento è in compagnia del ministro, chiama De Eccher.
«Quand’è che ti vedo? – dice – Perchè devo dirti una roba da fare». La “roba” è la faccenda di Luca, il figlio di Maurizio, cui Cavallo passa il cellulare. «Ti avevo cercato per farti gli auguri – abbozza Lupi con il costruttore – Dobbiamo vederci quando vuoi, eh?»
Il giorno successivo, il 9, alle 13.41, Cavallo chiama De Eccher: «Ti devo presentare il figlio di Maurizio», dice.
E, tre settimane dopo, il 31 gennaio, la “roba” di Luca sembra essere avviata ad andare in porto.
Con la piena consapevolezza del padre. Alle 11.20 di quel 31 gennaio, Cavallo prende infatti la telefonata del ministro. «Senti rompi palle, rompi i coglioni a mia moglie che facciamo la cena così festeggiamo il suo compleanno». Cavallo promette di esserci. Anche perchè l’occasione serve anche a chiudere qualcosa che sta a cuore a Lupi: «Si, assolutamente. Anche perchè domani sera voglio venire a casa tua. Sperando di trovare Luca perchè voglio parlare e definire le sue cose».
VESTITI GRATIS E INSULTI AL SARTO
Anche sui vestiti di famiglia, l’informativa del Ros annichilisce le sciocchezze che l’ex ministro è andato ripetendo.
Il sarto Vincenzo Barbato, solerte e preoccupato di compiacere il ministro e il figlio, “misura” il ragazzo nella sede del Ncd a Roma, perchè così ha chiesto il padre Maurizio.
Ed è preoccupato di provvedere rapidamente a correggere i difetti dell’abito che ha tagliato per il ministro, ma di cui il ministro si lamenta.
Abito che Cavallo ha pagato e che Cavallo si preoccupa di far modificare, sollecitando la segreteria di Lupi: «Dite a Maurizio qual è il problema. Se è troppo stretto il pantalone, la giacca. Che cosa deve fare…».
Anche se poi, sembra che il problema del ministro sia alla radice: «Oh! Guarda che ‘sto sarto fa schifo cazzo!!», si sfoga Maurizio con Cavallo, mentre in macchina sta raggiungendo Montepulciano dove si sposa la figlia di Stefano Perotti e dove, appunto, dovrà indossare un vestito che non ha pagato e che detesta.
IL DILEMMA SULL’INGRESSO NEL GOVERNO
E tuttavia, non è evidentemente solo per un figlio raccomandato e abiti sartoriali che viene giù l’arrocco in cui si era chiuso Maurizio Lupi.
Nelle carte del Ros è anche il rapporto incongruo, capovolto, che l’ex ministro aveva stretto con Ercole Incalza.
E di cui è prova una conversazione della sera del 17 febbraio 2014, nei giorni che precedono la formazione del governo Renzi.
È Lupi infatti a chiedere al Grande Mandarino se l’Ncd (di cui Incalza ha incredibilmente scritto peraltro il programma) debba o meno stare a Palazzo Chigi. Dice Lupi: «Ercole, ma mi hai abbandonato? ».
E quello se la ride: «Io sto qua. Ma ti hanno dato il programma?». E Lupi: «Ma mi han dato il programma. .. ti ho detto cazzo!. .. prendi ‘sto Cipe… rivoluzioniamolo… ribaltiamolo… Ora, tu, siccome ti considero prima ancora che un validissimo funzionario del ministero delle Infrastrutture, un amico, non ho capito cosa pensi tu. Hai capito?».
Incalza dice la sua: «Io penso che fin quando non c’è certezza converrebbe non salire su questo governo». Lupi farà il contrario.
Il prezzo, evidentemente, vale la candela. E un po’ di voti.
Come quelli che, da ministro, chiederà per le Europee a monsignor Francesco Gioia, beneficiato con l’assunzione del nipote.
Un prelato svelto. Anche di lingua. Si mette a disposizione per raccattare preferenze alle Europee e ne parla con il tono dell’allibratore: «Andrei sulla “secca” (la preferenza) e non sulla tripla».
Carlo Bonini
(da “La Repubblica“)
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