LEGA SPACCATA IN DUE SU DRAGHI: GOVERNISTI E NORD SPINGONO PER IL SI’
CENTRODESTRA IN ORDINE SPARSO… FORZA ITALIA PRONTA A DARE UNA MANO, MELONI VIRA SULL’ASTENSIONE
L’applauso “spontaneo” per l’uscita di scena di Conte rischia di essere ricordato come l’ultimo momento di unità del centrodestra.
Il vertice negli uffici di Montecitorio sull’”opzione Draghi” non scioglie i nodi, viene sospeso, si conclude senza il solito comunicato stampa congiunto.
Riunione “interlocutoria”, tutto “prematuro”, niente ultimatum, vedremo, valuteremo, sentiremo cosa ci dice. Eppure, all’interno, l’accordo non c’è.
Neppure sulla delegazione unitaria alle consultazioni, che la Lega pone come obiettivo ma non dato per scontato. “Il voto resta la via maestra, ma siamo realisti, ascolteremo le proposte” ha detto all’uscita Matteo Salvini.
Parola d’ordine: “Nessun pregiudizio”, ma ognuno la declina a modo suo.
Forza Italia è propensa a dire sì almeno sulla base dei “contenuti”: lotta alla pandemia, campagna vaccinale, ristori rapidi per uno spettro ampio di categorie, uso del Recovery Fund, gestione e tempistica del blocco dei licenziamenti.
Silvio Berlusconi ha inserito la giustizia: “No a un Guardasigilli giustizialista”. Mezza Forza Italia però — Mara Carfagna, Renato Brunetta, Andrea Cangini — ha già aperto il dialogo. Osvaldo Napoli ha gettato il cuore oltre l’ostacolo: “Voterò comunque Sì, e lo faremo in tanti”. Idem i tre senatori di Giovanni Toti.
Giorgia Meloni, fiutato il pericolo della diaspora, ha proposto un’astensione di tutto il centrodestra. Subito stoppata dai “governisti”: “Se tutto il centrodestra non vota, finisce che Draghi non avrà i numeri”.
Ecco perchè in questa partita l’ago della bilancia è la Lega, che prende tempo ma non ha (ancora) una linea unitaria.
Incerta tra l’”astensione benevola” e la road map di un “governo a tempo”: sì a Draghi con un programma di pochi punti nell’interesse nazionale e soprattutto con scioglimento delle Camere a luglio, alla vigilia del semestre bianco, per votare agli inizi di ottobre.
A quel punto, meglio se con dentro esponenti politici — i leader di partito o gente di peso, come Giorgetti che l’ex presidente della Bce lo conosce bene — per avere un miglior controllo della situazione.
Una proposta difficilmente digeribile per il tandem Draghi-Mattarella? “Certo, poi il governo può legittimamente avere l’ambizione di durare…” chiosava un big di via Bellerio. Tradotto: intanto lo facciamo partire e poi si vedrà .
La Lega è spaccata come una mela.
Da una parte c’è l’ala del “non si può dire no a Draghi” che comprende — oltre ai soliti Giancarlo Giorgetti, il numero due che da mesi predica la soluzione istituzionale e già evocava Draghi, e Massimo Garavaglia — anche il fronte dei governatori del Nord.
Da Luca Zaia — pur pubblicamente cauto: “Siamo responsabili. Progetti, durata… Dipenderà da cosa dice Draghi. Nessuno firma cambiali in bianco” — fino al “salviniano” Max Fedriga in Friuli. Ma anche buona parte dei parlamentari.
Persino, raccontano ambienti padani, i due capigruppo Massimiliano Romeo al Senato e Riccardo Molinari alla Camera, fedelissimi del Capitano.
La realtà è che la base dell’anima leghista “di governo” — si sta facendo sentire. Forte e chiara. Il mondo produttivo del Nord: artigiani, partite Iva, piccole imprese, settore alberghiero, stagionali. Anche il mondo dello sci, che non sa se tra due settimane potrà riaprire gli impianti, con quali regole, e se converrà farlo.
Nessuno, da quelle parti, vuole andare al voto: l’avviso di Mattarella sui tempi lunghi del voto ha trovato orecchie attente. Confindustria Udine si è espressa per prima: “Il vento è cambiato, con Draghi sarà un governo europeista e non populista, ci aspettiamo che sia messo in condizioni di lavorare”.
I leghisti la considerano storicamente “pendente a sinistra”, ma anche Confesercenti regionale si è fatta sentire. Poi Confindustria lombarda: “Draghi la scelta migliore per salvare l’Italia”. Poi Assolombarda. Una carrellata di avvertimenti per non sprecare quell’occasione da imprese e commercianti.
Sul fronte opposto, c’è la Lega “di lotta”: gli euroscettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai, Armando Siri. Quelli che temono la riedizione del governo Monti: la patrimoniale, la riforma delle pensioni, la Grecia… Il consiglio a Salvini gliel’hanno dato in tanti: “Matteo, un via libera ha senso soltanto se c’è una data certa per le elezioni…”.
Il cellulare del leader leghista è bollente. Tutti lo tirano per la giacca. In pressing aperto il governatore ligure Toti, spesso uomo di cerniera tra forzisti e leghisti ma ultimamente in proprio: “Da Salvini vedo prudente attenzione… Certo un premier così radicato nell’establishment può destare perplessità in un’anima della Lega. Ma io so come la pensa Giorgetti…”.
(da “Huffingtonpost”)
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