L’EX PORTAVOCE DI MEDVEDEV, ALEXANDER GABUEV: “GLI OLIGARCHI RUSSI SI SENTONO IN TRAPPOLA MA NON HANNO POTERE. SANZIONI A MOSCA? BLOCCARE LE VENDITE DI SEMICONDUTTORI PUO’ CREARE DIFFICOLTÀ. COLPIRE LE BANCHE, ANCHE”
“I MEMBRI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA, NEL DIRE SÌ ALLA GUERRA, ERANO TERRORIZZATI. PUTIN HA CHIESTO LORO DI ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA DI UNA DECISIONE CHE LUI AVEVA GIÀ PRESO. È STATO UNA SPECIE DI RITO MAFIOSO. COSÌ NESSUNO POTRÀ PIÙ TIRARSI INDIETRO”
Alexander Gabuev, 36 anni, già fra i portavoce di Dimitri Medvedev quando era al Cremlino al posto di Vladimir Putin, oggi è senior fellow alla sede di Mosca del Carnegie Endowment for International Peace.
Da lì Gabuev vede lo sconcerto degli oligarchi che hanno prosperato nel regime putiniano, ma ora temono di perdere ricchezze con la guerra.
Sente il nervosismo nei quartieri residenziali di Mosca, dove in tanti stanno correndo in banca per cambiare rubli in euro o dollari prima che le sanzioni affondino del tutto la valuta russa.
Gabuev, lei pensa che le ritorsioni occidentali infliggeranno molti danni all’economia russa?
«Ne dovremo vedere la portata e la sequenza, dopo le misure di questi giorni. Credo però che l’embargo sul petrolio e sul gas sia fuori discussione. La tensione degli ultimi mesi sul mercato dell’energia è stata utile a Putin, fa capire perché questa crisi arrivi proprio ora. Gli aumenti della benzina negli Stati Uniti, quelli dell’elettricità e del gas in Europa mettono sotto pressione i governi occidentali di fronte alle loro opinioni pubbliche».
Ma le sanzioni possono funzionare?
«Alcune sono poderose. E il problema non è che qualcuno degli uomini del Consiglio di sicurezza russo perda l’accesso alla sua villa sul Lago di Como. Invece un blocco alle vendite di semiconduttori può creare grandi difficoltà. A Mosca c’è chi spera che la Cina possa supplire con i suoi chip, ma non è affatto scontato. E colpire le banche farà dei danni. I pagamenti interni funzioneranno ancora, mentre alcune banche perderanno accesso alle operazioni in dollari e in euro. Ciò svaluterà il rublo, innescando ancora più inflazione».
E lo stop a NordStream2?
«Spiacevole, non significativo. In fondo quel gasdotto non aveva mai funzionato e comunque gli amici di Putin hanno già fatto i loro miliardi costruendolo. Nel complesso ho l’impressione che nel breve e medio periodo le sanzioni siano dure, ma non tanto da far saltare il regime. Ci si può sopravvivere. Anche perché le banche russe non possono essere tagliate fuori dai mercati esteri del tutto, perché gli occidentali vogliono continuare a comprare gas e petrolio russi».
Che effetti avrà questa dinamica sugli equilibri interni?
«Accresce l’importanza degli insider vicini a Putin, perché aumenta l’autarchia e dunque il loro affarismo nel procacciare i prodotti che l’Occidente non vende più. Invece gli outsider sono terrorizzati, depressi. Gli oligarchi temono la svalutazione del rublo, si sentono in trappola e magari possono anche andare dall’analista, ma non hanno potere».
Lunedì anche i membri del Consiglio di sicurezza, nel dire sì alla fuga in avanti sul Donbass in mondovisione, sembravano terrorizzati
«Lo erano. Putin ha chiesto loro di assumersi la responsabilità collettiva di una decisione che lui aveva già preso. È stato una specie di rito mafioso, come i primi omicidi degli affiliati. Così nessuno potrà più tirarsi indietro, hanno dovuto mettere tutti la loro firma».
Ma come la pensa la gente comune?
«Non c’è euforia, come nel 2014 quando fu annessa la Crimea. Nei quartieri residenziali vedo la gente che va in banca a liquidare i rubli. Non pensano affatto che andrà tutto bene, ma non hanno scelta. Quanto ai ceti popolari, sopravvivono a fatica. L’inflazione in arrivo renderà la gente ancora più povera, ma Putin distribuirà dei sussidi grazie alle entrate in moneta forte dalla vendita del petrolio e del gas».
Non è tipico di un regime ultra-nazionalista?
«Già. Per fortuna siamo lontani da uno scenario di Terza guerra mondiale, ma sta assumendo dei rischi enormi».
Che personalità ha, Putin?
«Non sono uno psicologo, ma l’ora di lezione di storia dell’altro giorno per annunciare il riconoscimento del Donbass non era normale. È chiaro che passa molto tempo sui documenti d’archivio, anche mentre dovrebbe combattere la pandemia. Poi il Covid ha approfondito il suo isolamento: chi vuole vederlo, prima deve stare in quarantena per due settimane. E non molti ne hanno voglia».
(da il “Corriere della Sera”)
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