L’IPOTESI AMATO E LA TENTAZIONE DEL RIMPASTO
IN CRESCITA LE AZIONI DI PADOAN: SE LIBERASSE L’ECONOMIA SI APRIREBBE UN GIRO DI VALZER NELLE POLTRONE DI GOVERNO
Nella lista di Berlusconi c’è (anche) il nome di Amato.
Nella lista di Alfano – che è la stessa di Berlusconi – c’è (anche) il nome di Amato.
Nella lista di Bersani c’è (anche) il nome di Amato.
Napolitano spinge per Amato. D’Alema dice Amato.
Ma Amato sta nella lista di Renzi? È questo il punto, perchè in passato, con un candidato così sponsorizzato, la corsa al Colle sarebbe finita al primo giro.
Invece il premier – che prima del varo dell’Italicum al Senato non scioglierà la riserva – sta trasformando la corsa al Colle in un thriller.
Renzi vive il nome di Amato come un assedio ed è evidente il tentativo di trovare una via di fuga.
Da settimane gli interlocutori provano a interpretarne i segnali, azzardando pronostici sul quirinabile di suo gradimento.
«Il fatto è – ha raccontato Bersani dopo averlo visto – che Matteo si comporta come un pokerista. Sta lì, inizia a sciorinare una lunga lista di nomi, e intanto ti scruta per vedere quali sono le tue reazioni».
L’unica volta in cui tracciò un identikit appena articolato sul candidato ideale, Napolitano era ancora al Quirinale.
«Serve una figura saggia e preparata», disse Renzi: «Perchè nei prossimi anni potrebbe essere chiamato ad affrontare situazioni difficili». Sembrava una preferenza per una personalità politica. Ma non è facile decrittare un oracolo, tantomeno il leader del Pd, capace – come solo lui sa fare – di muoversi su molti fronti contemporaneamente. E infatti, mentre è atteso alla partita della vita, Renzi medita sul restyling da fare al suo governo.
In più di un’occasione si è lamentato dell’operato «a dir poco insoddisfacente» di alcuni sottosegretari che vorrebbe cambiare. Intanto ha chiuso un negoziato con il governatore della Calabria, al quale farà arrivare come «forte sostegno» per la giunta il ministro Lanzetta, che lascerebbe quindi l’esecutivo.
Vorrebbe poi mettere le mani sull’Istruzione – da affidare a un ministro del Pd – prima di presentare la riforma della scuola, e intanto non fa passare riunione di governo senza leggere alla Giannini i sondaggi che danno Scelta civica allo zero virgola.
C’è il sindaco di Milano, Pisapia, che gli ha rappresentato la «personale disponibilità » al ruolo di Guardasigilli, anche se Orlando non intende candidarsi in Campania.
Si tiene pronto nel caso il rapporto con Poletti – che si è logorato – dovesse liberargli il dicastero del Lavoro…
Più che un restyling sarebbe un rimpasto, un vero e proprio Renzi bis, una mossa inopportuna in questa fase, dato che in primavera si tengono le Regionali.
A meno che il premier non intenda incrociare la partita del Quirinale con quella del governo. Perchè se riuscisse a piazzare Padoan sul Colle, sfrutterebbe l’occasione – la sedia vuota dell’Economia – per avviare il giro di valzer.
E Padoan – nonostante le polemiche sulla norma «salva Berlusconi» nel decreto fiscale – ci crede e ci spera nella promozione.
Lo hanno intuito a via XX settembre, visto come il ministro ha ridotto all’osso le trasferte: «Fatemi restare a Roma in questi giorni…», sorride. E gli altri gli sorridono.
Sorridono un po’ meno nel Pd, dove – per il Quirinale – non solo la minoranza ha messo una croce sul suo nome, come su quelli di Bassanini e dell’ex presidente della Consulta De Siervo, ormai ribattezzato «il capo dello Stato del giglio magico».
A differenza di due anni fa, però, l’opposizione interna non compirebbe il gesto sacrificale nel segreto dell’urna. Quando Bersani spiega che «non sarò certo un franco tiratore», è perchè ai suoi ha detto: «Se Renzi ci presentasse un candidato di secondo rango, dovremmo dire pubblicamente che non l’accettiamo».
Ormai il leader del Pd e il suo predecessore sono sull’orlo di un divorzio, perciò non è alle viste un nuovo incontro: una separazione nel voto per il Colle equivarrebbe a una scissione.
«Amato» dice Bersani. Per evitare la rottura ci sarebbe anche Mattarella. E la Finocchiaro.
Ma è Renzi che manca all’appello, e nel Palazzo basta niente per scatenare la psicosi collettiva. Ieri un accenno su Visco, durante una riunione, ha innescato una reazione a catena. E poco importa se il governatore di Bankitalia si è schermito, il punto è che il suo nome è stato pronunciato da Renzi all’incontro con Berlusconi.
Rientrato a palazzo Grazioli, il Cavaliere si è sfogato con i suoi: «Ci manca solo il ministro delle tasse». «Ma no dottore, non è Vincenzo. È Ignazio Visco. L’ha nominato lei a Bankitalia». «Ah sì e non mi ha nemmeno chiamato per dirmi grazie».
E tutti a fissarlo: il «dottore» sta dicendo il vero o sta bluffando?
Perchè di pokeristi al tavolo d’azzardo per il Colle non c’è seduto solo Renzi…
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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