LITI E SFOTTO’ A SINISTRA: NEL PD TORNA A CRESCERE LA SINDROME DELL’UNIONE
DIVISI SU QUASI TUTTO, COME AI TEMPI DEL GOVERNO PRODI, UNA COALIZIONE CON VENTI PARTITI E PARTITINI
Quando il 10 febbraio 2005 una piccola ed eterogenea folla di leader sorridenti presentò alla stampa e agli italiani la nuova alleanza politica detta Unione, nessuno poteva immaginare che appena pochi mesi dopo quel patto elettorale avrebbe stravinto le amministrative (conquistando 12 regioni su 14) per poi imporsi d’un soffio anche nelle elezioni politiche dell’aprile 2006.
Fu una sorpresa.
Ma una sorpresa ancor più grande fu il naufragio cui andò incontro il governo di Romano Prodi, costretto alle dimissioni dopo appena due anni a causa dell’altissimo tasso di litigiosità di quella alleanza.
Quel patto elettorale e di governo risultò così fallimentare che il «non rifaremo l’Unione» è diventato, da allora, quasi un imperativo per i leader ed i partiti dell’attuale centrosinistra.
Le estenuanti polemiche del biennio 2006-08 e l’impegno a non «rifare l’Unione» sono inevitabilmente tornati in mente l’altro pomeriggio di fronte alla confusione, ai toni aspri ed alle spaccature che hanno segnato la fine dell’Assemblea nazionale del Pd, naufragata tra ordini del giorno presentati e non votati e pesanti scambi di accuse reciproche.
Ragione della inattesa bagarre, per altro, è stato proprio un tema – il riconoscimento e la tutela delle coppie gay – che fece da detonatore (assieme a una moltitudine di altre questioni: dalle missioni militari all’estero fino alla politica economica) alla devastante crisi del governo-Prodi.
Segnalare questo dèjà vu, forse non è inutile, visto che i partiti si preparano alla lunga volata che porterà alle elezioni, discutono delle alleanze possibili e cercano nuova credibilità di fronte a cittadini delusi come mai dalla politica.
E non è inutile, in particolare, segnarlo allo schieramento che – a torto o a ragione – proprio dal giorno dell’ingloriosa fine del governo-Prodi si porta dietro la contestazione (quando non l’accusa) di essere poco credibile come alleanza di governo.
Infatti, che molte questioni (a partire dal giudizio su Monti) dividano nettamente i possibili, futuri alleati di governo – diciamo da Vendola a Casini – è sotto gli occhi di tutti: mentre meno scontato era ipotizzare che perfino all’interno del Pd, maggior partito e perno della coalizione, su alcuni problemi si è quasi fermi a quattro anni fa…
Quello della disomogeneità delle posizioni rischia di diventare la vera palla al piede di quel patto tra progressisti e moderati al quale Pier Luigi Bersani lavora ormai da tempo.
Per altro, non è difficile immaginare che – secondo uno schema noto e consolidato – sarà anche su questo che Berlusconi insisterà per cercare di coronare il suo tentativo di rivincita: sono divisi su tutto – ripeterà all’infinito – da Monti ai gay, dalle tasse alle missioni all’estero, come volete che possano governare?
E’ un argomento insidioso: non foss’altro che perchè rivelatosi reale già in passato.
A maggior ragione, dunque, ha destato una gran sorpresa il finale-bagarre dell’ultima assemblea pd.
Possibile che si sia ancora più o meno fermi a quattro anni fa?
E come è pensabile colmare quel gap (vero o presunto) di credibilità mettendo in scena divisioni tanto aspre e così poco rassicuranti per i cittadini?
C’è ancora un po’ di tempo, naturalmente, per porre rimedio ad una situazione che rischia di esser oltremodo penalizzante in una campagna elettorale che si può fin da ora immaginare come la più aspra e difficile degli ultimi decenni.
Un po’ di tempo: non tantissimo.
Pena il ritorno del fantasma dell’Unione: un pericolo che gli stessi leader del centrosinistra considerano mortale…
Federico Geremicca
(da “La Stampa”)
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