L’OPPOSIZIONE A PUTIN E’ MORTA, E LO SARA’ PER ANNI
SAPEVAMO TUTTI CHE SAREBBE FINITA COSI’… E ADESSO LA VIOLENZA E IL SOPRUSO HANNO PREVALSO DEFINITIVAMENTE SULLA SPERANZA… SISTEMI SPERIMENTATI ANCHE DI RECENTE CON PRIGOZHIN
Non sapremo mai cosa è successo veramente, ma la morte di Aleksej Navalny a un mese dalle elezioni presidenziali russe non è casuale.
Sulla carta, come molti hanno scritto per anni, Navalny non era un oppositore realmente in grado di sconfiggere Vladimir Putin, e questo anche prima di essere rinchiuso in carcere dopo un processo farsa in stile staliniano nel 2021.
Al di là della repressione subìta – dal tentativo fallito di avvelenarlo nel 2020 all’esclusione arbitraria dalle ultime elezioni presidenziali del 2018 – è vero che i russi non erano affascinati dalla figura del politico come in Occidente.
Naval’nyi era carismatico, brillante, ma andava avanti da solo, con le sue battaglie e convinzioni, e non era molto popolare. Come altri (tutti?) i politici di vera opposizione in Russia negli ultimi trent’anni, ha dimostrato in più occasioni che non era fatto per guidare un partito tradizionale, né per crearlo.
Laureato in giurisprudenza a Mosca, Navalny aveva iniziato a fare politica nei primi anni 2000 nel partito socioliberale Yabloko, una delle più importanti formazioni d’opposizione (che comunque alle presidenziali non ha mai superato il 7% dei suffragi, nemmeno sotto Eltsin) nata nel 1993 e guidata, tra gli altri, da Grigory Yavlinsky.
Nel giro di tre anni, Navalny era fuori da Yabloko e fondava il suo partito, “Popolo”: un misto di idee confuse nazionalpopuliste promosse, come lui stesso si era definito, da “un ordinario nazionalista russo”.
È nel 2008, però, che Navalny apre il suo blog LiveJournal e inizia a fare quello che ha fatto meglio di chiunque altro: l’attivista. È tramite le sue investigazioni sulla corruzione nel paese e poi la sua Fondazione, creata nel 2017, che Navalny fa politica e attacca Putin.
È il leader carismatico delle proteste a Mosca del 2011 e 2012 – le più importanti degli ultimi venticinque anni – contro l’avvio del terzo mandato putiniano e si candida alle elezioni a sindaco della Capitale, ottenendo il 27% dei consensi e il suo maggiore successo politico.
A quel punto, però, la Russia era cambiata, o forse, semplicemente, tornava ad essere quello che era sempre stata, a parte una breve parentesi di transizione storica dopo il crollo dell’Urss: un paese autoritario, in cui nessuna forma di opposizione era più ammessa.
È da quell’anno, e ancora di più dopo il 2014 con l’annessione della Crimea, che rimarcare, limitandosi a guardare dei sondaggi d’opinione, che Navalny non aveva e non avrebbe mai avuto alcuna chance di vincere, non ha alcun senso.
La prima ragione è che in un regime autoritario l’opinione pubblica è estremamente volatile. Più il controllo (e quindi la pressione) sulla popolazione aumenta, più cresce la paranoia del centro politico, ma soprattutto diventa imprevedibile conoscere le reazioni che un minimo margine di autonomia o forme di protesta anche locali possono scatenare. Ancora pochi mesi prima dell’arrivo di Mikhail Gorbachev al governo del Partito Comunista, causa un misto di inerzia e repressione, nessun cittadino sovietico avrebbe detto che sosteneva l’indipendenza della sua repubblica, o che non era comunista.
Nel giro di due anni, si fondavano centinaia di nuovi giornali e le tessere del Partito venivano bruciate. Ciò non significa che la rivoluzione fosse alle porte, ma semplicemente che il dato statico sulla popolarità di Navalny da quando è entrato in politica non ci ha detto, né ci dirà mai, cosa sarebbe successo se avesse potuto partecipare liberamente a future elezioni mentre il regime invecchiava.
La seconda ragione per cui non serve considerare la performance politica di Navalny per escludere che il Cremlino avesse un interesse a eliminarlo è che Putin è diventato in maniera crescente un boss, sganciandosi da ogni logica della competizione elettorale tradizionale e ignorando in maniera crescente anche la popolazione, in cui nei primi anni aveva cercato una legittimazione dal basso.
Per capire perché Navalny è stato ucciso, ed è stato ucciso adesso, pubblicamente, a poche settimane dalle elezioni e senza nemmeno più la finzione che sia stato un caso, è nella logica mafiosa che bisogna entrare. La stessa che ci ha fatto assistere all’esecuzione di Yevgeny Prigozhin con l’esplosione del suo aereo quest’estate: elezioni o non elezioni, nessuno può osare sfidare il grande capo.
Tutti sapevamo che sarebbe andata a finire così; che Navalny, nel momento in cui tornava in Russia, non sarebbe sopravvissuto. Ma tutti abbiamo continuato a sperare – e quindi questa notizia ci colpisce, e ferisce – perché Navalny era l’ultima speranza, certo romantica, che la Russia potesse cambiare; che alla fine, forse, il coraggio avrebbe trionfato sulla violenza e il sopruso; che alla fine, forse, Navalny avrebbe avuto il tempo di vedere la fine di Putin e partecipare ad elezioni libere, e questo senza necessariamente sperare che sarebbe poi stato lui a vincerle. Con la morte di Navalny, si spegne e finisce l’Opposizione in Russia per gli anni a venire.
(da Huffingtonpost)
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