L’UE GUARDA A ROMA: MEGLIO DRAGHI AL GOVERNO DELL’INSTABILITA’
SI TEME CHE SI VADA A VOTARE CON UN PNRR DA FARE
Meglio un Draghi al governo, anche se solo per un altro anno fino a elezioni nel 2023, che un Draghi al Colle, che ‘garantirebbe’ per il paese per i prossimi sette anni, ma nell’immediato potrebbe portare il paese a elezioni anticipate l’anno prossimo, aprendo scenari di pericolosa instabilità.
In questo periodo, nei consessi europei, l’argomento ‘cosa succederà in Italia l’anno prossimo’ in concomitanza con l’elezione del nuovo capo dello Stato, è gettonatissimo.
Tra i partner stranieri, tutti chiedono lumi agli esponenti del governo italiano, man mano che si avvicina la data dell’elezione del successore di Sergio Mattarella. Prevale la preoccupazione che un vuoto al governo, in caso l’ex governatore della Bce fosse eletto presidente della Repubblica, causi ritardi all’Italia nella gestione dei fondi del Next Generation Eu.
Non è un rischio da niente. Oltre che paese fondatore dell’Ue, l’Italia è uno dei paesi più popolati dell’Unione, rappresenta una delle maggiori economie del continente e dell’area euro. Ed è destinataria della fetta maggiore dei fondi del Next Generation Eu, oltre 191 miliardi, proprio a causa della situazione di crisi creata dal Covid ma anche per via del debito pubblico fuori norma che il paese si ritrova sulle spalle da prima della pandemia.
Se si ferma l’Italia nell’uso dei fondi del piano di ripresa e resilienza, le conseguenze arrivano anche in Europa. È per questo che le altre cancellerie dell’Unione sono particolarmente interessate alla riuscita del piano italiano e sperano che possa rimettere in moto e in fretta una crescita tale da assorbire il debito pubblico.
Finora, agli occhi degli interlocutori europei, la nomina di Mario Draghi presidente del Consiglio ha garantito il buon funzionamento della macchina, nonostante ‘intoppi’ quali le decisioni ancora attese a Bruxelles in materia di concorrenza e le ultime riforme da fare per prendere la prima tranche dei finanziamenti del Next Generation Eu entro fine anno, dopo l’anticipo della scorsa estate.
Ma, si ragiona in ambienti europei, se Draghi fosse eletto al Colle, chi garantirebbe per il governo che l’anno prossimo?
Entro giugno, l’Italia dovrà completare i progetti necessari per accedere alla seconda tranche dei finanziamenti del piano di ripresa e resilienza: eventuali elezioni anticipate farebbero perdere al minimo 4 mesi sulla tabella di marcia. Terremotare l’architettura politica di governo esporrebbe il paese a un rischio altissimo.
Le fonti europee sentite da Huffpost considerano il fatto che se l’attuale presidente del Consiglio diventasse capo dello Stato, l’incarico durerebbe 7 anni, coprendo un arco temporale ben oltre la scadenza del 2026, entro la quale vanno spesi i fondi del Next Generation Eu. Non è cosa da poco avere Draghi al comando, seppure al Quirinale e non al Governo, considerato il prestigio di cui gode a livello internazionale. Ma negli ambienti Ue, spesso sensibili agli umori dei mercati, si ragiona secondo scenari più immediati, anche per via delle incertezze legate alla pandemia.
E, nell’immediato, il timore che si staglia all’orizzonte, insieme a un’eventuale elezione di Draghi al Colle, è l’instabilità del paese.
Un timore che prevale sulla pur presente consapevolezza che avere l’ex governatore della Bce al Quirinale significherebbe avere una qualche ‘garanzia’ sull’Italia e la sua performance economica per sette lunghi anni: non è roba da poco, appunto, ma il problema è cosa succede nell’immediato, troppo urgente la necessità di rimettere in sesto le economie europee, a cominciare dall’Italia, per riagganciare la ripresa post-pandemia.
Il tutto, fatta salva la sovranità nazionale, ci mancherebbe. Ma in una Unione di 27 paesi legati a doppio filo, ancor più con la pandemia e i fondi comuni anti-crisi del Next Generation Eu, il destino di uno Stato membro è parte del destino degli altri. Normale che, a margine dei vertici europei e nelle chiacchierate tra colleghi di diversi governi nazionali, scatti il confronto sul prossimo futuro e l’interesse sui destini politici dei vari Stati membri.
Il prossimo presidente della Repubblica non è deciso da Emmanuel Macron, come recrimina Giorgia Meloni usando una scorciatoia verbale che porta fuori strada. Ma certamente non è argomento che resti fuori dalle riflessioni dei partner con cui l’Italia condivide molto del suo presente e futuro, nonché del passato.
(da Huffingtonpost)
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