L’UE STRINGE IL CERCHIO INTORNO A ORBAN: CAMBIA LA STRATEGIA, NEL MIRINO RECOVERY E LEGGE ANTI-LGBT
I SOLDI DEL RECOVERY SONO VINCOLATI AL RISPETTO DELLO STATO DI DIRITTO: A ORBAN CALCI IN CULO, ALTRO CHE I NOSTRI SOLDI
La immaginate Ursula von der Leyen a Budapest a consegnare la pagella di promozione del piano di resilienza e ripresa ungherese a Viktor Orban, così come sta facendo con gli altri leader europei?
Soprattutto in questi giorni, non è proprio aria. “È evidente che il clima europeo è cambiato intorno al premier dell’Ungheria”, ammettono fonti europee.
È cambiato dal Consiglio Europeo di maggio, oggi argomento di dibattito a Strasburgo. Il 24 e 25 maggio scorsi i capi di Stato e di governo dei paesi Ue sono rimasti per ore a criticare la legge anti-Lgbtqi di Orban, costruendo l’impianto di accusa che in questi giorni sembra si stia trasformando in vie di fatto, sia sulla legge in sé che sul Pnrr ungherese.
Due questioni separate, accomunate dalle violazioni sullo stato di diritto in Ungheria. L’Ue stringe il cerchio, provando a fermare Orban in vista delle elezioni dell’anno prossimo.
Da una parte, il piano di ripresa e resilienza presentato dall’Ungheria, una spesa totale di 7,2 miliardi su cui la Commissione “non ha ancora aperto il processo di approvazione”, sottolineano fonti europee con Huffpost.
Al contrario, “ha chiesto chiarimenti” per verificare che stavolta siano rispettate le raccomandazioni ribadite ogni anno sul buon uso dei fondi di Bruxelles, non con finalità di corruzione, né di discriminazione sociale, che sia rispettata l’indipendenza dei giudici, la concorrenza. In altre parole: lo stato di diritto.
Dall’altro lato, c’è la legge anti-Lgbtqi ungherese, che oggi ha tenuto banco nel dibattito in plenaria al Parlamento Europeo.
“Parata da circo, un buon livello di imperialismo coloniale e morale, un attacco all’Ungheria e Orbanofobia!”, reagisce il portavoce di Orban. Il testo, non se ne parla, non sarà ritirato.
In aula lo difendono i polacchi del Pis, che parlano a nome di tutto il gruppo dei Conservatori e Riformisti, dove siedono anche gli eurodeputati di Fratelli d’Italia.
La linea è: il dibattito di oggi dimostra quanto sia necessario il manifesto firmato da Orban, Salvini, Meloni, Kaczynski e gli altri nazionalisti del continente (tranne i tedeschi dell’Afd e gli sloveni di Janez Jansa).
A spada tratta pro-Orban anche la Lega.
La Commissione minaccia la procedura di infrazione sulla legge anti-Lgbtqi. Particolarmente dura Ursula von der Leyen oggi in aula a Strasburgo. La legge ungherese, che tra le altre cose vieta di mostrare ai minorenni film, informazioni, pubblicazioni Lgbtqi, “è vergognosa – attacca la presidente della Commissione Ue – e avrà conseguenze sullo sviluppo fisico e morale dei minorenni. Praticamente omosessualità e transessualità vengono poste allo stesso livello della pornografia. Non serve alla protezione dei bambini, viene utilizzata per pretesto per discriminare l’orientamento sessuale delle persone”.
“Se l’Ungheria non aggiusterà il tiro, la Commissione utilizzerà i suoi poteri in qualità di garante dei trattati. Se necessario apriremo altre procedure” d’infrazione.
Sulle deviazioni dell’Ungheria a Bruxelles la misura è colma,
“La decisione sull’approvazione dei piani dei singoli Stati membri va presa dal Consiglio Ue a maggioranza qualificata e non tocca alla Commissione”, ricorda la Commissaria Vera Jourova in aula riferendosi alla riunione dei ministri delle Finanze europei (Ecofin) che il 13 luglio esaminerà i piani nazionali. La Commissione dovrà fare la sua proposta entro domenica prossima. Non è escluso che, d’accordo con il governo ungherese, l’Ecofin lasci in sospeso la scelta, riservandosi di approfondire.
Tradotto: significa che per quest’estate Orban potrebbe non ottenere il 13 per cento di anticipo dei fondi Ue che verranno dati a tutti gli Stati con i piani approvati a Bruxelles. Dunque, potrebbe non essere nelle condizioni di programmare i primi investimenti per l’autunno. La sua campagna elettorale per il voto del 2022 ne uscirebbe compromessa.
Ma da Palazzo Berlaymont, d’accordo con i maggiori Stati membri (anche Germania e Francia sono sotto elezioni) la sterzata anti-Orban è partita.
Basta con i tanti moniti per l’Ungheria e anche per la Polonia (entrambe finiscono ‘imputate’ oggi in aula a Strasburgo sullo stato di diritto) senza prendere provvedimenti.
Del resto, il tour di von der Leyen nelle capitali dell’Unione per celebrare l’approvazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza punta proprio a comunicare ciò che è stato fatto a Bruxelles per affrontare la crisi da covid. L’obiettivo, spiegano fonti vicine alla presidente, è fare in modo che gli europei sappiano che senza l’Ue il piano di 750 miliardi non sarebbe stato messo in piedi, gli stati nazionali non ce l’avrebbero fatta da soli.
Messa così, il Next Generation Eu è risposta concreta al manifesto sovranista firmato da Orban con Salvini, Meloni e gli altri nazionalisti del continente. Ma manca la parte sui diritti.
Per rimediare a questo anello debole della catena di reazione europeista nasce la stretta intorno a Orban su un argomento particolarmente sensibile nell’elettorato europeo come i diritti Lgbtq.
E anche sul Pnrr, i cui fondi sono vincolati al rispetto dello stato di diritto. Il cerchio si stringe, entro agosto von der Leyen dovrà anche rispondere alla lettera in cui il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli la invita a rispettare la condizionalità sullo stato di diritto ed eventualmente bloccare l’erogazione delle nuove risorse europee. Le parole di oggi da parte della presidente in aula a Strasburgo sembrano fornire una risposta.
(da Huffingtonpost)
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