MANDATI ALLO SBARAGLIO: QUANDO IL GOVERNO SI INFURIO’ CON LA BONATTI PER NON AVER PROTETTO I SUOI OPERAI
“INCREDIBILE LEGGEREZZA CON CUI CERTE AZIENDE ITALIANE NON TUTELANO I DIPENDENTI, PUR OPERANDO IN AREE A RISCHIO”
Il sequestro dei dipendenti della ditta Bonatti , avvenuto nel luglio scorso, scatenò a profonda irritazione di Palazzo Chigi, “semplicemente incredulo per le modalità con cui il sequestro è avvenuto”. E facendo riferimento ad Eni e Bonatti, “per l’incredibile leggerezza con cui aziende italiane strategiche impegnate in un quadrante di mondo dove l’Italia non ha più un’ambasciata e dove i protocolli di sicurezza devono essere stringenti, non hanno evidentemente saputo proteggere i propri dipendenti integrando le proprie procedure”.
In questa storia, infatti, quel che è certo è che Filippo Calcagno, Salvatore Failla, Fausto Piano e Gino Pollicardo sono stati sequestrati in circostanze sorprendenti.
Rientrati da un periodo di vacanza in Italia, erano volati a Tunisi e da lì, su mini-van con autista libico, come si trattasse di un banale servizio navetta, avevano percorso la lunga autostrada costiera che, attraversato il confine meridionale della Tunisia, punta a est verso Zuwara e il complesso di Mellitah. Dove lavoravano alla manutenzione e dove non sono mai arrivati.
Perchè fermati intorno alle 21 a un posto di blocco da miliziani che li hanno caricati su altri mezzi dopo aver immobilizzato e lasciato sul van che li trasportava l’autista libico.
Nessuna scorta, dunque. essuna particolare precauzione o protocollo, come se la Bonatti ritenesse di potersi muovere in quell’area in forza di una speciale immunità . Che evidentemente non si acquista una volta per tutte. E, soprattutto, non con tutte le milizie che insistono in quel conteso quadrante libico e pretendono regolarmente denaro in cambio di protezione.
Un’immunità , va aggiunto, che evidentemente non si acquista neppure sotto l’ombrello Eni, i cui protocolli di sicurezza, per altro, la Bonatti non rispettava o, a quanto pare, non era tenuta a rispettare (dal febbraio scorso, tutto il personale Eni ancora in Libia, una ventina di tecnici, è sulle piattaforme off-shore e i trasferimenti a terra, se necessari, avvengono solo via mare dopo trasferimento in elicottero a Malta).
Per quali motivi Bonatti ed Eni non condividessero un protocollo di sicurezza comune (essendo per altro Eni il gestore di fatto dell’impianto) non è dato sapere, nè, raggiunto telefonicamente, il portavoce della società di Parma ha ritenuto di poterlo o doverlo spiegare.
Al di là del dato puramente formale che la Bonatti operava come contractor della “Mellitah Oil and Gas”, la società libica “proxy” con cui Eni, attraverso la holding mista Noc, gestisce l’estrazione di 300 mila barili di petrolio al giorno e il flusso di gas di Greenstream.
Il conducente libico dell’automezzo su cui i tecnici italiani viaggiavano senza alcuna scorta fu lasciato libero di andarsene e riferì che i sequestratori non avevano ostentato “posizioni radicali o politiche”. Stando al racconto reso dal “tassista” alla Bonatti e alle autorità di Tripoli, il sequestro era avvenuto poco dopo le 20 del 19 luglio. “Per alcune ore tutto tranquillo poi, quando eravamo a un centinaio di chilometri dalla nostra destinazione, siamo stati bloccati da un pick-up con quattro uomini armati di mitra. Ci hanno fatti scendere dal nostro pulmino e ci hanno perquisito. Hanno controllato i nostri documenti e uno di loro si è poi messo alla guida del nostro automezzo mentre il pick-up ci ‘scortava’ fino al villaggio di Al Jmal”.
A quel punto, stando sempre al suo racconto, i rapitori lo avevano lasciato libero consegnandogli anche l’automezzo e poi si sarebbero allontanati con i quattro italiani verso un altro villaggio non lontano da Al Jmal.
Sulla base di questa testimonianza, si ritenne che i tecnici italiani fossero stati sequestrati da una piccola milizia, composta da un centinaio di uomini bene armati, che all’epoca controllava il territorio tra Zuara e Tripoli e faceva capo alla “Jaysh A Kabael”, l’Esercito delle tribù libiche dedito al traffico di armi, al contrabbando di petrolio ma con interessi anche nella custodia dei migranti diretti in Italia.
Un gruppo interessato soprattutto ai soldi. Che successivamente potrebbe avrebbe venduto o semplicemente ceduto gli ostaggi alla cellula Is attaccata a Sabrata.
Trattare il rilascio con gruppi islamisti, interessati anche a un riconoscimento politico, può rendere molto più complicate trattative che spesso passano per mediatori dall’attendibilità tutta da testare. Potrebbe essere stato questo il caso degli italiani.
Il sindaco di Sabrata ha riferito alla Bbc che i sequestratori avevano fissato in 12 milioni di euro il prezzo del riscatto dei tecnici italiani.
(da agenzie)
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