MARINO ATTACCA: “NON SARÃ’ ALLE PRIMARIE A ROMA, IL PD NON DOVREBBE PRESENTARSI”
“SENZA ALCUN VALORE, SE POI ALLA FINE DECIDE IL CAPO”
Ignazio Marino non si presenterà alle primarie del Pd a Roma.
Malgrado l’invito di uno dei candidati, Roberto Giachetti, a un confronto nel merito in vista delle elezioni per il prossimo inquilino del Campidoglio, l’ex sindaco spiega in una lettera alla Repubblica le ragioni della sua scelta di non partecipare.
“Molti in queste settimane mi hanno chiesto cosa farò io. Posso solo dire cosa non farò, e cioè: non parteciperò alle primarie del Partito Democratico”.
“Le primarie hanno un senso a patto che chi le propone e chi vi partecipa ne rispetti il valore e poi l’esito. Se si calpesta la scelta dei cittadini, com’è successo a Roma, si svuota il significato stesso di quelle consultazioni. Per questo ho trovato sconcertante la decisione del segretario del Pd, Matteo Renzi, di indire nonostante tutto le primarie per la candidatura a sindaco di Roma. Mi chiedo come possa Renzi non vedere il danno arrecato al Pd e all’istituto stesso delle primarie dalle sue decisioni e pensare di andare avanti come se niente fosse. Non capisco come ritenga credibile chiedere alle elettrici e agli elettori romani di sacrificare una domenica mattina, mettersi in coda, versare i due euro e indicare il nome del proprio candidato sindaco, dopo che egli ha eliminato con un atto di forza chi quelle primarie aveva vinto l’ultima volta.”
Marino torna così ad attaccare Matteo Renzi per l’intervento deciso con cui ha favorito la caduta della sua amministrazione, attraverso le dimissioni in blocco dei consiglieri comunali.
“Il Presidente del Consiglio non si rende conto che con la sua interferenza sull’Amministrazione cittadina, interferenza che in altri casi egli stesso ha definito inaccettabile perchè “il sindaco lo eleggono i cittadini”, ha reso le primarie, almeno a Roma, un rottame inutilizzabile. Convocando gli assessori della Giunta nella sede del Partito Democratico per imporgli di dimettersi e costringendo tutti i consiglieri comunali del Partito Democratico ad allearsi con la destra e a rimettere in blocco il mandato da un notaio, con il solo scopo di provocare la caduta del sindaco, Renzi e chi lo rappresenta a Roma hanno violato l’etica di una sana politica e il rapporto di fiducia fra il Pd e i suoi sostenitori, che il 7 aprile 2013 affidarono a me l’onore di candidarmi alle elezioni che poi vinsi con il 64% dei voti.”
Per questo, secondo Ignazio Marino, non ha senso parlare di primarie per Roma.
“Rotto quel patto, le primarie non hanno più alcun valore, perchè il loro esito può essere capovolto per ordine del vertice del partito. Dirò di più: il Pd a Roma non dovrebbe nemmeno partecipare con il proprio simbolo alle elezioni amministrative del 2016. Troppo lacerante è stata l’eliminazione del sindaco scelto dagli elettori, troppo contraddittori i comportamenti e le dichiarazioni dei vertici del Pd, troppo pretestuose e in malafede le giustificazioni. Troppo evidente l’inganno perpetrato ai danni delle cittadine e dei cittadini di Roma, troppo lampanti i benefici delle lobby e dei potentati. Eliminando il sindaco, i consiglieri del Pd hanno eseguito un ordine del capo, e forse qualcuno ne beneficerà personalmente, ma hanno destinato il Pd alla dannazione politica. Almeno a Roma, almeno per questa tornata elettorale, oggi il Pd è ormai diventato il problema e non la soluzione.”
Anche così l’ex sindaco motiva i molti rifiuti piovuti sul Partito Democratico per la partecipazione alle primarie romane. E Marino ne ha anche per Roberto Giachetti.
“Il vicepresidente della Camera dei Deputati, con le spalle coperte dal suo ruolo di garanzia istituzionale, ha alla fine ceduto ed ha dato, seppur malvolentieri, la propria disponibilità . Ma non lascerà il suo incarico parlamentare, a riprova che non ci crede nemmeno lui fino in fondo, perchè è facile candidarsi quando si ha un paracadute d’oro sulle spalle.[…] Candidarsi per ordine di Renzi significherebbe accettare una logica secondo cui, in caso di vittoria, a governare Roma sarà il capo del partito e del governo, mentre il sindaco sarà ridotto a una sorta di commissario esecutore. Con la sua sciagurata gestione, la credibilità del Pd romano ha subito e inferto un grave danno: la pretesa di giocare un ruolo da protagonista in questa fase non è oggettivamente credibile.”
(da “Huffingtonpost”)
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