“MOSE PUZZAVA DI MARCIO GIA’ NEL 2006”: INTERVISTA ALL’EX RESPONSABILE SALVAGUARDIA LAGUNA
ARMANDO DANELLA: “PRODI IMPOSE L’INIZIO DEI LAVORI, NONOSTANTE FOSSERO EMERSE TROPPE CRITICITA'”
È un fiume in piena Armando Danella, ex dirigente del Comune di Venezia e per vent’anni responsabile della Legge Speciale regionale del Veneto per la salvaguardia della laguna di Venezia.
La valanga che ha travolto gli appalti del Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia, lui la stava aspettando da anni, almeno dal 2006.
E non perchè sia un ‘gufo’, per utilizzare il linguaggio renziano, ma perchè a lui il Mose puzzava di tangenti da allora, quando il governo Prodi interruppe la discussione del comitato per la tutela della laguna e decise unilateralmente di autorizzare l’avanzamento dell’opera, malgrado la valutazione di impatto ambientale negativa e il parere sfavorevole degli allora ministri dell’Ambiente e della Ricerca Scientifica, rispettivamente Alfonso Pecoraro Scanio e Fabio Mussi.
“Il punto — spiega Danella all’HuffPost — è molto semplice: nel corso delle riunioni del Comitatone, nel 2006, emersero chiaramente i punti deboli di un progetto già vecchio e vennero presentate delle alternative. Ma il governo Prodi scelse di non ascoltare, convocò un Cdm e impose l’autorizzazione a procedere con i lavori. Per me e altri esperti presenti, fu subito chiaro che c’era qualcosa sotto. Per questo presentammo anche un esposto alla Corte dei Conti, in cui affermavamo che la verità sul Mose andava cercata in quel periodo. Suggerimmo anche di imporre il sequestro preventivo sui conti bancari delle persone, sia tecnici che politici, che erano presenti a quelle riunioni. Perchè era irragionevole, di fronte alle evidenze presentate da professori come Luigi D’Alpaos, ordinario di Idraulica all’Università di Padova, non optare per soluzioni alternative”.
Danella ricorda che nel 2003, quando il Mose ricevette il primo via libera, non esistevano progetti alternativi.
“Allora l’approvazione fu comprensibile: non c’erano ancora molti studi, nè tantomeno un piano B. Ma nel 2006 il quadro era radicalmente cambiato: avevamo ricevuto delle segnalazioni sulla tenuta delle paratie e sull’effetto deleterio dell’ingessatura, prevista dal Mose, delle tre bocche da cui l’acqua marina entra in laguna. Alcuni studi hanno dimostrato che queste bocche non possono essere ingessate senza compromettere l’equilibrio lagunare. Dimostrammo che diminuendo la sezione della bocca del Lido (che ora è a 12 metri di profondità ) e facendola arrivare a 7, avremmo beneficiato la laguna”
Idraulici illustri si confrontarono: da una parte il professor D’Alpaos e altri esperti, dall’altra i tecnici del Consorzio Venezia Nuova.
“D’Alpaos dimostrò, prove alla mano, che il Mose non salvaguardava affatto la laguna di Venezia, e che la soluzione migliore prevedeva una riduzione di quelle sezioni. Ma a un certo punto il governo Prodi interruppe i lavori, convocò un Cdm e diede l’autorizzazione all’avanzamento dell’opera”.
All’epoca Danella collaborava direttamente con il sindaco Massimo Cacciari, che difatti votò contro l’apertura dei cantieri nel 2006.
Oggi l’ex dirigente ricorda le sensazioni di quei giorni: un mix di rabbia e stupore. “Le persone di scienza, di fronte a delle critiche argomentate, si fermano e le affrontano. Dovrebbe essere questo il modus operandi di un tecnico. Eppure in quel caso si scelse di non ascoltare. Si preferì non discutere e andare avanti a spada tratta. Ci vennero subito dei sospetti, poi rafforzati dai primi arresti due anni fa. Di qui la decisione di presentare la denuncia alla Corte dei Conti. Di solito non dispiace aver ragione, ma quando la verità inizia a emergere solo dopo 8 anni è tutta un’altra storia”.
(da “Huffingtonpost“)
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