NARDELLA NON SI CANDIDA E TIRA LA VOLATA A BONACCINI PER LE PRIMARIE DEL PD: IL RITORNO DEL TANDEM IL VECCHIO ESCAMOTAGE PER SPEGNERE LA COMPETIZIONE
IL TANDEM LASCIA INTRAVEDERE UNA COMPIUTA RIELABORAZIONE DEL RENZISMO SOTTO MENTITE SPOGLIE. NATURALMENTE CONVIENE ADESSO AI DUE PROMESSI ALLEATI NEGARE L’INGOMBRANTE EREDITÀ
Dario Nardella e Stefano Bonaccini, ecco il «tandem dell’Appennino» che inaugura ufficialmente la sua corsa al congresso dem. Lo fa con una conferenza stampa al teatro del Sale, a Firenze, dove il sindaco, da padrone di casa, annuncia che non si presenterà al congresso, ma appoggerà la candidatura di Bonaccini alla segreteria del Pd. Sarà Nardella a coordinare la sua campagna e sempre lui a presiedere la mozione congressuale.
«Bonaccini è il capitano, ma tutti ci battiamo perché il partito cresca», dice Nardella
Così inizia la corsa del tandem dell’Appennino. Restano in campo Paola De Micheli ed Elly Schlein
Se il passato prossimo, o quel poco di cui resta memoria, ha ancora un senso, ecco che il tandem Bonaccini-Nardella evoca subito la figura di Matteo Renzi; così come, con un filo di malizia, lascia intravedere una compiuta rielaborazione del renzismo sotto mentite spoglie.
Naturalmente conviene adesso ai due promessi alleati negare l’ingombrante eredità e anzi diffondersi su pretese litigate con l’uomo che li ha scoperti e valorizzati. Sennonché il mese scorso, con la chiarezza che certo non gli fa difetto, lo stesso Renzi si è mosso per tempo: «Bonaccini è un amico e Nardella è un amico – ha spiegato – Ma per essere credibili nel Pd, in vista del congresso devono parlare male di me».
Con l’attuale sindaco di Firenze, al quale il leader di Italia viva aveva qualcosa da reclamare, le cose devono aver preso una piega non sai se più paradossale o sfacciata: «Quando è venuto a casa mia, mi ha detto chiaramente che aveva bisogno di litigare con me perché così nel Pd come minimo lo fanno segretario».
Ora Matteo sarà anche parecchio auto-centrato e ego-riferito, ma l’impressione è che di questo genere di fiction viva la fase costituente dem, con le sue eterne chiacchiere, le comode ipocrisie, le vane dispute valoriali, i generici luoghi comuni sul riformismo e, da qualche tempo con una sintomatica insistenza, l’inesorabile retorica dei “territori” in nome dei quali il governatore Bonaccini e il sindaco Nardella muovono alla conquista del Nazareno.
Nel 2013, con qualche sorpresa, da uomo-macchina della ditta di Bersani, Bonaccini cambiò cavallo diventando il campaign-manager della corsa del giovane rottamatore al vertice del partito. Di lì puntò alla Regione.
Per quanto ancora lontano dalla trasfigurazione per opera dello strategist Daniel Fishman e che oggi nel look lo fa somigliare a un tronista over, Bonaccini concluse la campagna su un palco ricalcato sul più tipico scenario da Leopolda: addio alle belle bandiere, una fiammante moto Ducati e una macchina da gelati Carpigiani, poi una quantità di prodotti d’eccellenza, prosciutti, mortadelle, piadine, vini e aceto balsamico, una specie di supermercato. Brani soul di Alice Keys e video emozionali. L’astensionismo fu terribile, però pazienza, lui fu eletto e anche nel 2020 rieletto.
Creatura del Giglio magico ante-marcia, più o meno negli stessi anni Nardella ereditò Palazzo Vecchio. Posto che è difficile definire cosa sia oggi la sinistra e ancor più quale debba essere il suo mestiere, è altrettanto arduo pensare che in quella direzione siano andati gli attacchi mossi dal sindaco alla Cgil, la guerra iper-securitaria contro l’accattonaggio, le ruspe nei campi rom. Dopo aver dichiarato la morte della socialdemocrazia e prima del referendum con cui Renzi volle scavarsi la fossa, proclamò Nardella: «Con la stessa maggioranza silenziosa che ha fatto vincere Trump in America, vincerà il Sì in Italia». Ma il ricordo è sfumato e la girandola di posizioni nel Pd sconsiglia qualsiasi controllo di coerenza.
(da La Stampa)
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