NEL PD TUTTI ATTENDONO LA SCISSIONE: “SUL GOVERNO SI DECIDE CHI RESTA E CHI SE NE ANDRA'”
RENZI E D’ALEMA LO SOSTERRANNO, SINISTRA VERSO LO STRAPPO
«La scissione è scontata. Inevitabile». Lo dicono tutti nel Partito democratico: Letta, Bindi, Franceschini, Veltroni, Fioroni, Marini, Orfini, Gentiloni, Civati, Renzi.
Nemmeno un franco tiratore stavolta.
Il Pd non esiste più. Nasceranno nuovi soggetti, si romperanno sodalizi e alleanze che non hanno mai funzionato.
Correnti e parlamentari ora sono liberi di fare scelte autonome.
Bersani, da Piacenza, si limita ad osservare.
Ieri lo hanno chiamato per chiedergli di restare al suo posto. Almeno qualche giorno, il tempo di decidere il futuro della legislatura.
«Per favore, abbiamo chiesto un sacrificio anche a Napolitano ». Ha risposto «ci penso una notte» con sottile perfidia.
Stamattina infatti confermerà le dimissioni e il passo indietro.
Il “segretario” del Pd diventa, temporaneamente, il presidente della Repubblica.
Quando oggi pronuncerà il discorso d’insediamento e disegnerà il profilo di governo, determinerà , in maniera indiretta è ovvio, il crollo definitivo della “ditta”.
La fuoriuscita di alcuni, la resistenza di altri, gli equilibri dei prossimi mesi.
Ma quale congresso. Ma quale reggenza, gestione collegiale e altre liturgie.
Il Pd consumerà il primo tempo della sua fine oggi pomeriggio ascoltando il capo dello Stato a Montecitorio.
E il secondo tempo al momento della fiducia al nuovo esecutivo. «Chi ci sta rimane dentro al Pd. Chi non ci sta, esce», è la constatazione lapidaria che Enrico Letta ha affidato ai suoi interlocutori nelle ultime ore.
«Il nodo politico, un signor nodo, resta quello del “governo o elezioni”», spiega Dario Franceschini ai suoi fedelissimi. «
Lo è fin dall’inizio, dal 25 febbraio.
Adesso diventerà una questione di vita o di morte per il Pd».
Si sfascerà tutto, si consumeranno vendette e si cercheranno strade diverse.
Per dirne una, i renziani propongono di far saltare il banco a Roma, dove si vota il 26 maggio cancellando il risultato delle primarie.
Rilanciano la candidatura di Paolo Gentiloni. «Marino è troppo schiacciato su Vendola e noi con Sel non dobbiamo prendere nemmeno un caffè. I giochi vanno riaperti», dice il deputato Michele Anzaldi.
Una scissione nella scissione. Una rottura chiara, netta.
Al momento, le macroaree (o micro?) in cui si dividerà il Partito democratico sono due.
Quella più simile all’attuale girerà intorno al centro gravitazionale di Matteo Renzi.
Ci starà anche Massimo D’Alema, che sostiene il sindaco mantenendo il suo profilo e la sua leadership.
I Giovani turchi di Stefano Fassina, Matteo Orfini e Andrea Orlando oggi dicono no a un governo di larghe intese e sembrano sul piede di guerra.
Ma si piegheranno al diktat del capo dello Stato.
Orfini da tempo ha aperto un canale con Palazzo Vecchio attraverso l’ex vicesindaco Dario Nardella.
Orlando, dopo lo schiaffo nella vicenda del capigruppo alla Camera, è rientrato nell’alveo dei dalemiani.
Fassina, il più bersaniano, non romperà il sodalizio. «Loro voteranno la fiducia a qualsiasi tipo di esecutivo », dice un dirigente vicino a Letta.
Orfini non ha dato retta a Bersani, non ha spento Facebook.
«Ho passato la domenica a rispondere agli insulti dei miei elettori per la scelta di Napolitano. Ho scritto un post e i toni si sono calmati, si è potuto discutere».
Presto tornerà a dialogare sul social, quando si voterà la fiducia alle larghe intese o all’esecutivo del presidente.
L’altra area è quella della Nuova sinistra.
Laura Puppato e Pippo Civati sono considerati in uscita verso questo soggetto. Assieme a loro Sergio Cofferati e Ignazio Marino.
Fabrizio Barca sembra al centro di questa partita.
Toccherà a lui dire da che parte vuole schierarsi, se in una battaglia interna al Pd o nell’apertura di un cantiere della sinistra più tradizionale.
Ma questa scissione di fatto potrebbe fare “vittime” anche in un territorio di mezzo.
Come Rosy Bindi che si mette di traverso all’ipotesi di Enrico Letta premier delle larghe intese e sembra dire di no a tutte le soluzioni di governo col Pdl.
Il limbo non aiuta la collocazione dell’ex presidente del Pd nel momento in cui i pezzi del partito cercano velocemente sponde.
Il voto di fiducia dunque farà chiarezza nel corpo sovradimensionato dei gruppi parlamentari. Intanto domani primo round in direzione.
Gli ex popolari chiedono una reggenza di Enrico Letta fino al congresso, affiancato da un comitato di gestione che rappresenti le anime interne.
Ma il renziano Gentiloni fa capire che questa strada non è percorribile. «Ci vuole un caminetto unitario, con pari peso per le correnti.
Renzi ovviamente ne starà fuori, parteciperà indirettamente».
Una cosa è certa: questo comitato accompagnerà e sosterrà il governo di Napolitano passo passo.
Perchè le elezioni sono impossibili, non le può volere neanche Renzi dopo la settimana del disastro.
«Prendiamo il 3 per cento e il centrosinistra italiano scompare per sempre», dice Antonello Giacomelli.
Una scommessa facile facile.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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