NON SOLO IL BLOCCO NAVALE E’ IRREALIZZABILE, ANCHE LE CIFRE CITATE DALLA MELONI SULL’IMMIGRAZIONE SONO TOTALMENTE SBALLATE
E QUESTA SAREBBE UNA CHE SI DOCUMENTA… ALTRO CHE L’8% DI DOMANDE DI PROTEZIONE ACCOLTE, SIAMO INTORNO AL 50% DI AVENTI DIRITTO
Giorgia Meloni ancora una volta ha rilanciato la proposta del ‘blocco navale’, una strategia di gestione dei flussi migratori che fa parte da anni dei piani di Fratelli d’Italia.
La dicitura ‘blocco navale’ nell’accordo quadro siglato dal Centrodestra non c’è, perché, ha spiegato la stessa Meloni, si tratta di un “concetto sempre frutto di una mistificazione. La proposta di Fratelli d’Italia da sempre dice che noi dobbiamo chiedere all’Europa una missione europea, in accordo con le autorità libiche, per difendere i confini europei”.
Ma è davvero possibile realizzarlo?
Le ultime dichiarazioni della presidente di Fdi del resto non lasciano spazio a dubbi: “Fratelli d’Italia vuole il blocco navale: una missione europea, in accordo con gli Stati del nord Africa, , con anche l’istituzione in territorio africano di hotspot gestiti insieme all’Unione europea dove vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto alla protezione internazionale da chi non ce l’ha”.
Perché non ha alcun senso parlare di blocco navale
Questa proposta presenta diverse falle. “Una proposta in questi termini rischia di essere così generica al punto da non significare nulla. L’idea di accordi dell’Unione europea con i Paesi africani per la gestione del flusso migratorio non è nuova, se ne parla almeno da 15 anni, non si capisce in cosa consisterebbe la novità. Meloni non dice che tipo di accordi si potrebbero fare. È una questione geopolitica complessa, che non si può ridurre a uno slogan da bar”, ha spiegato a Fanpage.it Luca Masera, professore di diritto penale presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Brescia e membro del consiglio direttivo di ASGI.
“Tra l’altro le missioni europee per controllare i confini dell’Ue nel Mediterraneo (come l’operazione Themis, ex Triton, gestita da Frontex ndr) ci sono già, cosa dovrebbero fare di diverso da quello che fanno? Dire ‘vogliamo una missione europea’ è dire il nulla”.
“Se lo scopo è invece quello di non permettere più alle persone di partire, bloccando le frontiere dei Paesi africani, questo non ha nulla a che vedere con quello che può fare il governo italiano, perché sarebbe un problema di gestione della sicurezza nei Paesi di provenienza, in particolare la Libia. Ma la Libia non è in grado di gestire le partenze, perché non ha nemmeno un governo centrale capace di controllare le bande criminali che operano nel territorio”.
“L’unica parte del discorso di Meloni che mi sembra minimamente concreta – ha aggiunto Masera – è l’esternalizzazione della valutazione delle richieste, con la creazione degli hotspot. Una proposta che sembra un po’ scimmiottare l’idea portata avanti da Boris Johnson, e che è stata già bocciata, cioè quella di trasferire in Ruanda la valutazione delle richieste di protezione.
Ma la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza importante di dieci anni fa, ci dice che se qualcuno è in mare e scappa da un Paese come la Libia non può essere riportato in Africa, in un Paese che non è un Paese sicuro. Questo è il primo ostacolo giuridico”.
La proposta di Meloni non si può mettere in pratica anche perché presenta anche un’altra criticità: “Trasferire gli hotspot in Africa non è solo una scelta meramente geografica, vuol dire far venir meno la stessa natura del diritto di asilo, garantito dal diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, perché la valutazione delle domande non sarebbe più sottoposta a tutte le garanzie che ci sono nel vaglio delle domande in Italia. In sostanza, se ci fossero davvero degli hotspot in Africa non ci sarebbe alcuna certezza di avere un’autorità giudiziaria in grado di verificare la correttezza della valutazione di queste domande. Quindi il diritto di asilo da un diritto fondamentale si trasformerebbe in una mera concessione benevola dello Stato, che a questo punto potrebbe decidere di riconoscere la protezione, sulla base di criteri totalmente discrezionali e senza alcun controllo dell’autorità giudiziaria, come è attualmente. Non è una differenza da poco. È la differenza che c’è tra un diritto, che posso far riconoscere davanti alla pubblica amministrazione e in seconda battuta, se me lo nega, davanti a un giudice, e una mera concessione. In pratica la morte e lo svuotamento del diritto d’asilo che nella nostra struttura costituzionale è uno dei diritti fondamentali”.
Le percentuali (sbagliate) di Meloni sulle domande d’asilo
Giorgia Meloni, probabilmente per dare forza al suo discorso e portare avanti la proposta del blocco navale, dice anche un’altra cosa: “Da quando la sinistra è al governo 800mila migranti sono sbarcati illegalmente: solo l’8% di questi ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione, gli altri, quasi tutti maschi in età adulta, sono immigrati clandestini”.
La percentuale dell’8% è totalmente infondata. Basta consultare i dati della Commissione nazionale del diritto d’asilo del Viminale, relativi al 2021.
Come si può vedere da questa tabella, su 53.609 richieste d’asilo nel 2021, il 14% si sono concluse con il riconoscimento dello Status di rifugiato, mentre il 14% dei richiedenti ha avuto la Protezione sussidiaria, cioè le due forme della Protezione internazionale. Sommandole si ottiene il 28%, non certo l’8% che cita Meloni.
“Meloni può anche dire che la Terra è piatta, ma deve anche dimostrarlo – ha commentato a Fanpage.it Gianfranco Schiavone (ASGI) – Dire che solo l’8% dei richiedenti ha ottenuto il diritto ad asilo o protezione non è una forzatura, è un completo rovesciamento della realtà. Come si vede dalla tabella, solo in fase amministrativa – perché questi dati non tengono conto degli esiti dei ricorsi – vediamo che nel 2021 il 14% di chi ha fatto domanda ha ottenuto lo Status di rifugiato e il 14% la Protezione sussidiaria. Si arriva quindi al 28%”.
Ma c’è di più. Per calcolare questa percentuale dovremmo considerare anche gli esiti dei ricorsi contro i dinieghi. La percentuale di diniego è rilevante (intorno al 70%) ma uno studio, pubblicato nella rivista giuridica ‘Questione Giustizia’, evidenzia una percentuale tra il 35 e il 40% di accoglimento di ricorsi (bisogna considerare anche che non tutti fanno ricorso, perché magari si disperdono e scappano per paura).
“Visto un tasso così alto di successo dei ricorsi, dalla percentuale del 28% della Protezione internazionale potremmo, rimanendo bassi, arrivare almeno al 35%, una percentuale molto lontana da quella dichiarata da Meloni. Significa che tra le persone che fanno domanda almeno una su tre ha diritto alla protezione”, ha sottolineato Schiavone.
Infine si dovrebbe considerare anche che in Italia abbiamo un’altra forma di protezione, cioè la Protezione speciale, che oggi esiste e che era stata di abrogata di fatto da Salvini, che viene data a quelle persone che pur non essendo titolari di una forma di protezione internazionale, sono comunque considerate a rischio di persecuzione e tortura in caso di ritorno nel Paese di origine.
“La Protezione speciale riguarda quelle persone che non possono essere riconosciute titolari di una protezione internazionale, ma che si sono comunque costruite una vita in Italia e si sono integrate, hanno una casa e un lavoro, non hanno commesso reati significativi. Secondo la tabella del ministero dell’Interno quindi a quel 35% dobbiamo sommare un altro 14%. Aggiungendo anche in questo caso qualche punto in più per i ricorsi, vediamo che non più una su tre, ma almeno una persona su due ha un esito positivo di protezione”, ha concluso Schiavone.
(da Fanpage)
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