OLTRE I DAZI, I CANNONI, CHIAMATE LA NEURO: TRUMP NON HA ESCLUSO IL RICORSO ALLA FORZA MILITARE PER CONVINCERE PANAMA A DARE AGLI USA IL CONTROLLO DEL CANALE E LA DANIMARCA A CEDERE LA GROENLANDIA
L’AMBASCIATORE STEFANINI: “DA 125 ANNI WASHINGTON NON CONQUISTA TERRITORI, PREFERISCE IL SOFT POWER. TRUMP VUOLE RIBALTARE IL PRINCIPIO. PER IL NUOVO PRESIDENTE NON È INCONCEPIBILE INVADERE IL TERRITORIO DI UN ALLEATO NATO”
L’uomo che si vanta di aver guidato l’America per quattro anni senza coinvolgimenti in guerre, minaccia di ricorrere alla forza, militare ed economica, per convincere Panama a dare agli Usa il controllo del Canale e la Danimarca a cedere la Groenlandia a Washington mandando in soffitta decenni di dottrina politica Usa che predilige l’autodeterminazione all’espansione territoriale.
A tredici giorni dall’insediamento alla Casa Bianca e all’indomani della certificazione del Congresso della vittoria elettorale, Donald Trump convoca i reporter a Mar-a-Lago.
Il presidente-eletto è un fiume in piena e fra citazioni errate, imprecisioni e annunci, sembra delineare quella che sarà la sua politica – estera e interna – quando tornerà allo Studio Ovale in un mondo che dice «è già cambiato», e tutti i leader lo hanno riconosciuto. Cita, ad esempio, il recente blitz di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago: «È venuta perché voleva vedermi».
Quella che dipinge Trump è un’America muscolare, minacciosa, e pronta a mettere a soqquadro il mondo per garantire quella che il tycoon chiama la “Golden Age del business e del buon senso”, l’era che nelle sue aspettative si aprirà dal 20 gennaio.
Tremano i vicini, osservano gli europei, sobbalzano i danesi che non solo vedono atterrare a Nuuk Donald jr a bordo dell’Air Trump One («sono qui da turista» dice nel suo podcast Triggered), ma sentono dalla viva voce del padre che la Groenlandia è questione di sicurezza nazionale e quindi in un modo o nell’altro deve finire sotto guida Usa. Se Copenaghen si oppone, avverte Trump, ci sono sempre le tariffe da imporre. La premier Mette Frederiksen replica: «Non riesco a immaginare che si arrivi a questo» dice riferendosi alle minacce economiche e militari. Il futuro della Groenlandia deve essere deciso dai 57 mila abitanti dell’isola, la linea danese.
Il destino di Nuuk è accomunato da quello di Panama. Trump affonda il coltello, dice cose che aveva già pronunciato, ma annuncia che le «discussioni sul Canale sono già in corso». Trump lo rivuole sotto bandiera americana, gli Usa lo lasciarono a Panama per 1 dollaro, è il riferimento all’accordo che fu stipulato da Jimmy Carter (ieri il suo feretro è arrivato ai Navy Archives di Washington). Ma ora, dice il presidente-eletto, ci «sono le mani della Cina, la sua Marina paga meno di noi».
Ai vicini di casa – Messico e Canada – Donald Trump consegna parole al vetriolo, sprezzanti. Trudeau, dimissionario premier canadese, resta il «governatore» di uno Stato «da cui non prendiamo nulla, ma che ci costa miliardi di dollari in protezione». Ora Ottawa, «deve pagarci per la sicurezza».
Il Messico è «veramente in crisi». E qui Trump annuncia che cambierà il nome del Golfo del Messico in Golfo dell’America. Sulla sicurezza e le spese arriva anche l’affondo contro gli alleati della Nato, struttura che lui ha salvato – parole sue – perché, dopo le sue minacce di non difendere gli alleati morosi, «tutti hanno cominciato a versare più contributi».
Il 2% però – la quota di spese militari in relazione al Pil negoziata nel 2014 – è ora insufficiente e Trump ripete che «dovrebbe essere al 5%». «Tutti possono permettersi questa spesa» e quindi «se non paghi noi non ti proteggiamo».
Quello che entro il 20 gennaio Trump vuole è la liberazione degli ostaggi. Il suo inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha preso brevemente la parola nella conferenza stampa.
Ha annunciato la missione a Doha per oggi e detto che «speriamo di avere qualcosa di annunciare». Non è sceso in dettagli ma ha detto che «siamo vicini a qualcosa che può realizzarsi prima dell’inaugurazione».
E qui Trump è nuovamente intervenuto traducendo nel suo linguaggio quanto detto da Witkoff. «Se gli ostaggi non saranno liberi prima della inaugurazione, si scatenerà l’inferno in Medio Oriente». Quindi ha puntato il dito contro Hamas, avvertendo che l’inferno in pratica si rovescerà sui loro miliziani.
(da agenzie)
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