PARLA ALDO, OPERAIO ILVA: “CONDIZIONI DI LAVORO SEMPRE PIU’ DURE E IN FABBRICA POCA SOLIDARIETA’â€
“GLI STESSI OPERAI SONO SEMPRE PIU’ INDIVIDUALISTI E IGNORANTI, VIVONO SU UNA NUVOLA”… “TRENT’ANNI FA QUANDO SONO STATO ASSUNTO PENSAVO FOSSE IL GIORNO PIU’ BELLO DELLA MIA VITA, ORA TI CONSIDERANO MENO DI NULLA”
«Il Jobs act non riesco neanche a pronunciarlo, mi si allappa la lingua solo a provarci. E io dovrei affidargli tutto, accettare di venire licenziato per poi venire riassunto con un colpo di spugna che cancelli l’anzianità di 30 anni di lavoro, a stipendio ridotto, senza il minimo riconoscimento di quanto fatto fino ad oggi?».
L’unica concessione alla retorica di una vita intera con i piedi ben saldati per terra, passata tra battaglie sindacali e «i lavori più massacranti della fabbrica», l’operaio Aldo Sechi se la lascia scappare nel cuore di un corteo che negli ultimi anni pare diventato «un appuntamento fisso».
Quasi 55 anni, genovese di Sestri, entrato in Ilva nel 1989 come terzo livello operaio e ora «posteggiato» nella squadra adibita alla manutenzione e la pulizia degli impianti, a chi lo incontra nella protesta si presenta come uno dei potenziali esuberi del piano industriale dei nuovi padroni della sua fabbrica («sarà automatico, sono pure sindacalizzato», insiste), ma soprattutto come testimone prezioso dei tempi che cambiano. Ovviamente, «in peggio».
In peggio, senza appello?
«In peggio perchè il giorno in cui mi hanno assunto lo ricordo come un momento di pura felicità , pensavo sarebbe stato il giorno più bello della mia vita. E invece ho scoperto che possono cambiarti le regole del gioco mentre stai ancora giocando».
Dal 1989 ad oggi sono passati anni, governi, gruppi aziendali, rivoluzioni.
«Io ho vissuto la fine dell’acciaio statale, arrivai nell’Ilva dei Riva e già si iniziava a perdere alcune delle conquiste della categoria. Li si chiamava privilegi, ma per chi sul lavoro perdeva la salute, in ambienti in cui ancora adesso vivi un’ora e ne muori due, dovrebbero essere solo un diritto».
E gli operai? sono gli stessi di sempre?
«No, sono pochi, più individualisti, per certi versi pure più ignoranti. In tanti vivono su una nuvola, e lo pagano. Senza accorgersene, perdono soldi, vita, diritti».
C’entra anche la crisi della politica? Pare contare sempre meno, persino in fabbrica.
«Certo. La gran parte di noi non si sente più rappresentato, non è una novità . Sono vent’anni che non voto, e non capisco perchè un operaio debba votare il Pd con le sue larghe intese o un qualsiasi partito di sinistra. Ma lo stesso vale per i Cinque stelle, o le Lega, sia chiaro».
Vi rimane solo il sindacato…
«Paradossalmente sì. È logoro, scassato, fuori moda e spesso sconfitto, eppure è l’unico strumento capace ancora di dare risposte. E anche in una società sempre più classista, dove il ricatto sul lavoro è diventato l’abitudine, può succedere ancora che in svantaggio contro l’azienda di 7 gol riesca a fare quell’unica rete che vale 8. È raro, ma succede».
(da “il Corriere della Sera”)
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