QUANDO LE PRIME FILE DEL CENTRODESTRA HANNO PAURA DI METTERCI LA FACCIA
SALVINI E MELONI NON HANNO NE’ L’ENERGIA RAMPANTE DEL RENZI CHE TRASFORMO’ LE COMUNALI DI FIRENZE IN TRAMPOLINO DI LANCIO NE’ LA PROPENSIONE ALL’AZZARDO DI FINI CHE NEL ’93 DIEDE LA SVOLTA CANDIDANDOSI A ROMA
Rita Dalla Chiesa e Alfredo Mantovano: alla fine frullano questi due nomi nel cilindro del centrodestra per la candidatura a sindaco di Roma. E il solo fatto che siano in ballo l’anchor-woman di Forum e un magistrato pugliese da tempo tornato alla professione, rivela il mood di questa campagna elettorale.
La prima fila della politica non vuole metterci la faccia. Ma non vuole nemmeno dare un’opportunità alla seconda fila, che potrebbe montarsi la testa e scavalcarla.
Così, si va a cercare altrove, tra gli ex di pregio, quelli che hanno già scalato tutti i gradini del cursus honorum e un domani — persino se premiati dal risultato elettorale — non daranno fastidio nella vera partita della successione a Berlusconi e dell’attribuzione della leadership nazionale.
Ovviamente, tutti negano tutto. «Il nome vero uscirà tra pochi giorni», così come l’ufficializzazione della candidatura del city manager Stefano Parisi a Milano.
Ma già questa difficoltà , questo continuo rinviare, questo tentennamento, è indice del problemone che si deve rimuovere.
C’erano belle e pronte due candidature “naturali”: Salvini a Milano e la Meloni a Roma. I due leader, i due volti emergenti, quelli che stando a ogni sondaggio avrebbero garantito il risultato migliore.
I due che, anche televisivamente, hanno “messo la faccia” sul nuovo centrodestra post-berlusconiano, incarnandone la svolta dall’efficientismo manageriale alle pulsioni identitarie, dal “meno tasse” al “meno immigrati”, dal milione di posti di lavoro al milione di presepi nelle scuole.
E però i due sembra non se la sentano.
Non hanno ne’ l’energia rampante del Matteo Renzi prima maniera, quello che trasformò la campagna per Firenze nel trampolino di conquista del potere nazionale, ne’ la matta propensione all’azzardo di Gianfranco Fini, che nel ’93, persa per persa, si candidò a sindaco di Roma con le conseguenze che sappiamo.
I nuovi leader giocano in difesa, e già questa è una cosa bizzarra visto il loro temperamento apparentemente ardimentoso.
Ancor più strana se si considera che, a Milano come a Roma, lo spazio per trasformare le amministrative in evento rifondativo c’era, non tanto per i casini del Pd quanto per la scelta antipolitica dei Cinque Stelle e la loro decisione di scartare a priori le candidature che avrebbero potuto fare faville.
Che cosa succede a questa destra che si fa timida, ritrosa, che parte sbandierando i nomi popolarissimi di Sallusti, Del Debbio, Meloni, icone del suo elettorato, e ripiega su un’opinionista dei sentimenti, su un funzionario piuttosto oscuro, su un ex-sottosegretario da tempo dimenticato?
Nel background delle decisioni, oltre ai ragionamenti pratici di cui si diceva prima, c’è anche un evidente tema identitario. Potremmo ribattezzarlo operazione nostalgia.
La Dalla Chiesa, con quel cognome importante e il legame ancestrale con Mediaset, è un equo compromesso tra il vecchio corso berlusconiano e pulsioni securitarie della destra.
Parisi dovrebbe essere l’Alter-Sala di chi rimpiange vittoriosa era Albertini. Mantovano, di cui pure si è discusso, ha il profilo dei cattolici-cattolici, che ben corrisponde alla nicchia politica del Family Day.
Insomma, dopo aver rinunciato alla competizione con Renzi nell’area larga dei moderati liberali e a quella con i grillini nelle fasce estreme della contestazione di sistema, si punta sul ricordo dei tempi belli.
Tv, ordine, famiglia, e il dolce sapore degli anni Novanta, così gradito soprattutto nelle fasce over-60 che restano il principale bacino di riferimento.
È un’operazione ad alto rischio, soprattutto a Roma, dove la destra non è mai stata televisiva e vipparola ma popolare, persino proletaria, la destra dei Buontempo e degli Augello senjor, e vinse — quando vinse — intestandosi la riscossa delle periferie (Alemanno) o la liquidazione delle lobby democristiane (Fini), non certo rincorrendo le suggestioni del mondo Mediaset ne’ le parrocchie, che tra l’altro hanno sempre votato a sinistra.
Ma forse altro non si poteva fare. Perchè i sondaggi garriscono, ma la realtà è che a Roma, quando si votò nel 2013, Fratelli d’Italia prese solo il 5,9 per cento pur arrivando da posizioni di potere e avendo un candidato sindaco-bandiera come Gianni Alemanno.
E a Milano, nel voto del 2011, anche la Lega del capolista Matteo Salvini si fermò al 9,6 per cento.
Allora forse è meglio essere prudenti, non lasciare il certo per il possibile, mandare avanti questi strani nomi e prepararsi a dire — in caso di figuracce — che sono stati loro a non funzionare, rinviando la sfida vera alla tornata delle politiche, quando la faccia bisognerà mettercela per forza (sperando di arrivarci non troppo acciaccati).
Flavia Perina
(da “Huffingtonpost”)
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