RAFFAELE FITTO HA VOLUTO FARE UN ULTIMO REGALO AD ALESSANDRO GIULI: UNA BELLA SFORBICIATA AI FONDI DI COESIONE DESTINATI AL MINISTERO DELLA CULTURA
È STATO TAGLIATO IL 90% DEI FONDI RISPETTO ALLA VECCHIA PROGRAMMAZIONE… IL MINISTRO BASETTONI È ANDATO SU TUTTE LE FURIE, E SI È LAGNATO CON GIORGIA MELONI, MINACCIANDO VELATAMENTE (DI NUOVO) LE DIMISSIONI. MA I SOLDI SONO RIMASTI QUELLI
«Ma come pensano che si possa mandare avanti un ministero così?». Alessandro Giuli ieri pomeriggio era inviperito. L’umore del ministro della Cultura, in carica da meno di tre mesi, cambia d’un tratto intorno all’ora di pranzo. Quando nel suo ufficio entra la nuova capo di gabinetto, Valentina Gemignani, dirigente in prestito dal Tesoro, dunque pratica di conti: «Ministro, è allarme rosso», esordisce.
In mano, Gemignani ha le tabelle spedite poco prima dal dipartimento per le politiche di coesione e del Sud, il ministero che stasera lascerà Raffaele Fitto per insediarsi come commissario Ue. Quest’ultimo atto serve a ripartire il fondo sviluppo e coesione (Fsc) 2021-2027. E il Mic, dal prospetto, si ritrova con appena 171,8 milioni. In sostanza, sintetizza Gemignani all’ex direttore di Tempi , «ci hanno tagliato il 90% dei fondi» rispetto alla vecchia programmazione.
È qui che il ministro comincia a sbattere i pugni sulla scrivania. «Ma come pensano che si possa andare avanti col 10% delle risorse?». E ancora: «Il ministero con queste cifre non regge».
Di tempo per correggere le tabelle, però, ce n’è pochissimo. Il Cipess, il comitato interministeriale per la programmazione economica, si riunisce da lì a poche ore, alle quattro di pomeriggio, presieduto da Giorgia Meloni.
Giuli sa che non ha altre opportunità per farsi sentire, dunque decide di riportare ai colleghi di governo tutto il suo disappunto (e qualcuno condivide, perché toccato dalla stessa scure).
Già a margine del cdm, il ministro comincia a sfogarsi: quel taglio «non è accettabile». Ripete che sarebbe difficile per lui continuare a governare il dicastero. A qualcuno, questi ragionamenti sembrano addirittura una minaccia di dimissioni (sarebbe la seconda volta, dopo la querelle per il suo precedente capo di gabinetto, che ha spaccato FdI).
Ma fonti vicine al ministro smentiscono totalmente: Giuli non ha mai, nemmeno accennato, alla possibilità di un passo indietro. Il titolare della Cultura chiede conto del taglio direttamente a Fitto. Il ministro uscente replica così: non c’è. Semplicemente, spiega, l’ammontare totale delle risorse è nettamente inferiore rispetto a quello della precedente programmazione: 5,7 miliardi invece di 31,3. E poi, aggiunge Fitto, questa volta c’è il Pnrr a compensare: «Hai anche 4,2 miliardi del piano e altre risorse europee».
Giuli non è convinto. Oltre al cattivo umore, resta un problema politico gestionale serio, per un dicastero che ha già dovuto smaltire le scorie del post-Sangiuliano. A sera il ministro, che come si è visto in altre occasioni è poco incline a recitare la parte del signor-sì, decide di porre la questione direttamente alla presidente del Consiglio. Sfrutta un incontro «già fissato», trapela, per parlare del decreto Cultura alle viste. Lo scambio è cordiale. Ma i soldi in cassa, alla fine, restano quelli.
(da Repubblica)
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