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IL SINDACO DELLA DESTRA SOCIALE DI NARDO’ APPOGGIA EMILIANO E SI GRIDA ALLA SCANDALO: SAREBBE VERGOGNOSO APPOGGIARE FITTO

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

PIPPI MELLONE E’ DIVENTATO SINDACO CONTRO TUTTO E TUTTI, BATTENDO CON UNA LISTA CIVICA SIA LA SINISTRA CHE   LA DESTRA CONSERVATRICE… IL RAPPORTO CON EMILIANO BASATO SU RECIPROCA STIMA

La destra (ma anche la sinistra) che non ti aspetti è in Puglia, a Nardò, provincia di Lecce: una destra che sostiene apertamente il governatore uscente Michele Emiliano nonostante i legami storici con l’altra metà  della politica e specialmente con la filiera di Fratelli d’Italia.
Non è un caso di trasformismo, non ha nulla a che vedere con i giri di valzer della destra campana per Vincenzo De Luca: Pippi Mellone, sindaco di Nardò e capofila della destra sociale pugliese, è piuttosto un teorico dell’Andare Oltre (il suo movimento si chiama così, l’Oltre è riferito ai partiti) e di una politica pragmatica che se ne frega delle identità , dei pedigree ideologici, delle casematte di riferimento.
Mellone è da anni una spina nel fianco della destra (ma anche della sinistra) pugliese, nonchè la controprova di come il frullatore dei tempi nuovi abbia mischiato le appartenenze fino a renderle irriconoscibili.
Viene dalla militanza giovanile in Alleanza nazionale ma nel 2016 diventò sindaco battendo il candidato di Forza Italia e FdI al primo turno. Quelli se la presero, al ballottaggio tifarono per l’uomo del centrosinistra. Mellone superò pure lui per 80 voti, in una marcia inarrestabile.
Emiliano, all’epoca, andò a Nardò per sostenere il Pd ed evitare che “l’amico di Casa Pound” — come ancora lo chiama qualcuno — si prendesse il Comune, e tuttavia appena pochi mesi dopo Mellone stupì tutti con una serie di iniziative in favore dei braccianti africani che neanche la Cgil aveva mai immaginato, a cominciare dal divieto di lavoro nei campi nelle ore torride dall’una alle tre.
Poi arrivò un manifesto politico vero e proprio.
Esaltava la Patria, ma anche “la sovranità  della comunità  sul territorio, esercitata da tutti i cittadini senza distinzione di colore della pelle, orientamento sessuale, religione”.
Mellone si fece sponsor dello Ius Soli, in aperto conflitto con la sua vecchia amica Giorgia Meloni e ovviamente con Matteo Salvini.
Estese i suoi interessi a Lecce, patrocinando l’elezione coi progressisti e contro le destre di Alessandro Delle Noci. Aprì il link con il governatore Emiliano, fino al punto di invitare i suoi elettori, nel 2017, a partecipare alle primarie del Pd e a votarlo. Successe un putiferio. Il Pd, per protesta, decise di non partecipare alla sua stessa consultazione, monopolizzata dai sostenitori del sindaco post-missino. Emiliano vinse a Nardò col 97 per cento dei voti.
Adesso lo stesso tipo di scompiglio si abbatte sulla destra di Giorgia Meloni, che con Raffaele Fitto si gioca una delle sue più importanti partite nella prossima tornata elettorale.
Non potevamo fare altre scelte, spiega Pippi Mellone. Fitto, dice, «rappresenta il vecchio della politica, mondi già  superati e sconfitti dal tempo».
Mellone non crede ai sondaggi, che prevedono un testa a testa tra gli sfidanti, e giudica sbagliato ogni calcolo costruito sull’approccio identitario al voto. «La destra — ricorda — ci cascò già  quindici anni fa, quando mandò i suoi a votare alle primarie Pd per Nichi Vendola. Stapparono champagne quando prevalse su Francesco Boccia: pensavano che un gay dichiarato, capo di un partito di estrema sinistra,
fosse l’avversario ideale, un sicuro perdente in una regione tradizionalista come la Puglia. Si sa come è finita».
Lo strano caso del sindaco Pippi Mellone e della sua destra che appoggia il candidato delle sinistre, insomma, è solo l’ultima puntata
«Qui il concetto di destra e sinistra è molto difficile da individuare» ha commentato nei giorni scorsi Ivan Scalfarotto, il terzo incomodo della competizione, e di sicuro è vero.
Resta da capire se questo attraversamento dei confini sia l’anticipazione, l’assaggio di un generale desiderio di libertà  post-ideologica, oltre le ossessioni identitarie dell’ultimo decennio, o solo una storia locale

Flavia Perina
(da L’Inkiesta)

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FONDI LEGA, AI PM DI MILANO ARRIVATE ALTRE SEGNALAZIONI DI OPERAZIONI SOSPETTE DAL MONDO BANCARIO E DALL’ANTIRICICLAGGIO

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

DUE IMPUTATI SI SONO DIFESI, ALTRI DUE HANNO SCELTO IL SILENZIO DAVANTI AL GIP

L’inchiesta sui commercialisti sembra riservare l’apertura di altri fronti.
L’esplosione in estate del caso, con il fermo di Luca Sostegni il 15 luglio scorso nell’ambito della compravendita di un capannone rifilato a prezzo doppio alla Lombardia Film Commission, ha risvegliato la memoria di molti.
Stanno arrivando in questi giorni in Procura a Milano diverse segnalazioni dal mondo bancario di operazioni sospette da parte di imprenditori con controparte o la Lega o società  riconducibili ai contabili finiti ai domiciliari giovedì scorso.
Alcune segnalazioni, sono arrivate alla Guardia di Finanza attraverso l’Uif di Bankitalia e sono recenti (dello scorso agosto), in altri casi, invece, dal mondo bancario sono arrivate direttamente agli inquirenti.
Questo perchè probabilmente è emersa la figura di un ex direttore di banca rimasto senza lavoro per una serie di favore, a suo dire a costo zero, al gruppetto di professionisti legati al Carroccio.
Ghilardi non segnalava all’antiriciclaggio le operazioni anomale, e che a suo dire, non avevano nessuna ragione economica, ma l’ex direttore della filiale Ubi di Seriate (Bergamo) finito nei guai per queste sue “disattenzioni”, lo faceva per un amico, Alberto Di Rubba, direttore amministrativo per la Lega al Senato ed ex presidente della Lombardia Film Commission, che oggi al giudice per le indagini preliminari Giulio Fanalese, si è detto estraneo alle accuse.
“La banca non ha perso un centesimo, io non ho preso un soldo, l’ho fatto solo per amicizia e in buona fede” diceva, intercettato il 21 maggio scorso, proprio mentre parla con Di Rubba, arrestato assieme ad altri due commercialisti di fiducia della Lega, Andrea Manzoni e Michele Scillieri, e al cognato di quest’ultimo Fabio Barbarossa. Ghilardi, prova a esporre le sue giustificazioni per le mancate segnalazioni di una serie di operazioni sospette sui conti di società  di Di Rubba e dell’altro revisore del Carroccio Andrea Manzoni.
Mancate segnalazioni per le quali in quel periodo il bancario doveva difendersi da contestazioni disciplinari che porteranno poi al suo licenziamento.
L’ex bancario preoccupato: “Chi caz… mi assume?” — Ghilardi è molto preoccupato per il suo futuro, mentre legge a Di Rubba tutte le contestazioni che l’istituto gli ha fatto: “perchè a 50 anni dove caz.. vado? (…) chi caz.. mi assume (…) allora lì dovrò contare ancora su di te o su qualcuno“. E Manzoni il giorno successivo, parlando con un avvocato che assiste Ghilardi, gli dice: “Hanno fatto adesso una contestazione disciplinare di (…) non so quante pagine (…) tutto legato a noi per il discorso Lega”. Ghilardi, che è stato sentito dai pm di Milano come teste, ha poi raccontato le “anomalie” delle movimentazioni su quei conti: “Sono operazioni prive di valide ragioni economiche che, aldilà  degli importi, non mi è capitato di vedere in tutta la mia carriera. E ho lavorato in banca quasi trent’anni”.
Il teste nel verbale del 22 luglio ha parlato anche dei “giri di soldi tramite ‘Più voci’”, l’associazione di cui era legale rappresentante il tesoriere della Lega Giulio Centemero, e del fatto che “Di Rubba mi aveva chiesto di aprire il conto di Radio Padania e delle associazioni regionali della Lega”.
Ghilardi ha raccontato agli inquirenti che l’operazione di apertura di quei conti, però, non andò in portò perchè non era ben vista ai piani alti dell’istituto di credito, poichè si trattava di conti intestati ad associazioni politiche.
Di Rubba, tra l’altro, in passato aveva lavorato in banca e proprio alle dipendenze di Ghilardi, suo amico. E per questo motivo che, stando alla procura di Milano, si organizza un incontro con i vertici della Lega a Roma.
Ghilardi a verbale aveva parlato, tra l’altro, dei “movimenti registrati sui conti” di due società  dei contabili del Carroccio, la Sdc e lo Studio Cld, e di “numerosi accrediti da Lega Nord sempre con la medesima causale ‘saldo fattura’”.
Anche “il conto personale” di Manzoni “beneficiava” di questi accrediti con la stessa causale. I due gli dicevano che erano per “attività  di consulenza” ma “mi sembrava strano poichè nello stesso periodo capitava che fatturassero al partito con più ragioni sociali“. Dopo che Ghilardi è stato licenziato dall’istituto lo scorso maggio, i due contabili hanno chiuso i conti e li hanno spostati. Al centro delle indagini per aver ricevuto soldi dalla Lega c’è l’imprenditore Francesco Barachetti e gli inquirenti stanno cercando di capire se ci siano altre ‘figure’ dello stesso tipo nell’ipotesi di una raccolta di ‘fondi neri’ e di passaggi di denaro da società  a società .
Intanto, l’inchiesta che parte dalla vicenda del capannone di Cormano sta cercando di appurare anche se i contabili abbiano o meno raccolto ‘fondi neri’ per il partito. Indagine che si muove in parallelo a quella genovese sul riciclaggio dei 49 milioni di euro di cui non si trova più traccia.
Dalle carte dell’indagine, ossia da migliaia di atti depositati in questi giorni, sono emerse una serie di movimentazioni finanziarie sospette tra la Lega, i contabili finiti ai domiciliari e anche l’imprenditore Francesco Barachetti, titolare della Barachetti service srl che incassò più di 200mila euro per la ristrutturazione del capannone e che negli ultimi anni avrebbe ottenuto anche pagamenti per oltre 2 milioni di euro dal Carroccio.
In un’informativa della Guardia di finanza del novembre 2019 c’è anche una segnalazione di operazione sospetta in relazione a circa 18,7 milioni di euro arrivati sul conto “dello studio notarile Mauro Grandi di Milano” il 5 luglio 2018 e provenienti dallo “studio notarile associato Busani-Ridella-Mannella” sempre di Milano.
E lo stesso giorno quei soldi, si legge, sarebbero stati trasferiti con due bonifici “verso Basilea (Svizzera) in favore di Bailican Ltd”, società  con sede legale a Cipro, e di ‘Merchant Trust’.
Sul riciclaggio dei famosi 49 milioni, invece, la competenza è della Procura di Genova

(da “il Fatto Quotidiano”)

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DALLA SCISSIONE ALLA QUERELA: IL M5S CONTRO DAVIDE CASALEGGIO

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

CHAT INTERNE INCANDESCENTI CON GRILLO CHE PROVA A MEDIARE FINO ALLE REGIONALI

È un divorzio storico. Le nozze tra il Movimento 5 Stelle e la Casaleggio associati non hanno resistito al tempo. Ora le chat sono incandescenti.
C’è chi parla di scissione, chi di querela, fino ad arrivare a chi invoca una class action contro il figlio del co-fondatore.
Questa volta si sono arrabbiati tutti, anche chi non è moroso. “La sua è una ripicca perchè si sente estromesso dal governo”, si legge nelle chat. E poi ancora: “A lui l’alleanza con il Pd non è mai piaciuta. Dobbiamo denunciarlo — scrivono i più inferociti — ha utilizzato la mail del Movimento 5 Stelle e tutti i contatti per minacciarci. A che titolo?”.
Al centro della questione c’è la mail che Davide Casaleggio ha inviato a tutti gli iscritti del Movimento 5 Stelle, avvertendoli senza giri di parole che è pronto a tagliare i servizi di Rousseau. Ciò segna un punto di non ritorno. Casaleggio jr accusa per iscritto tutti coloro che non hanno rendicontato le spese, quindi non hanno restituito i soldi, e neanche hanno versato i 300 euro a testa in favore della piattaforma. Insomma è sui soldi che si sta consumando la disfida e la disfatta.
“Da martedì 22 può succedere di tutto”, aggiunge un altro deputato grillino. Si tratta del giorno successivo al referendum e alle elezioni regionali.
Ed è in vista dell’appuntamento elettorale imminente che Beppe Grillo, collegato in streaming con il Senato, nel corso di una conferenza stampa organizzata dai 5 Stelle, prova a mediare ricordando agli esponenti grillini l’importanza dello strumento di cui il Movimento si è dotato: “I cittadini devono poter dire la loro con sistemi tecnologici che noi per primi al mondo abbiamo fatto. Non è una difesa di Rousseau ma di una tecnologia che abbiamo fatto noi e dobbiamo ringraziare le persone che l’hanno fatta, Casaleggio padre e figlio”.
Alle orecchie di tanti le parole del Garante o meglio dell’Elevato suonano come un modo per mettere pace in un Movimento in frantumi nella settimana cruciale di campagna referendaria, durante la quale il partito sta dando un pessimo spettacolo di sè.
Un assaggio del divorzio storico tra la dinastia dei Casaleggio e il Movimento 5 Stelle lo si ha avuto nell’ultimo tour a Roma di Davide, l’erede di Gianroberto. Ha chiamato tutti, ma nessuno lo ha ricevuto, perchè tutti i big da Di Maio a Fico sono affaccendati con questioni di governo o istituzionali.
Lo vede Vito Crimi, il capo politico senza potere, ma perfino lui, riferiscono a Montecitorio, lo riceve brevemente e quasi di malavoglia.
Oggi Grillo si è presentato molto diplomatico tra mozione degli affetti (Casaleggio jr) e tatticismo da politico puro per provare a tenere ancora insieme il Movimento. Ma “il rapporto di fiducia con Casaleggio si è rotto”, dice chi sarebbe pronto a lasciare il partito per fondarne un altro sempre a sostegno del governo ma lontano dalla piattaforma Rousseau.
La tensione interna è alta. L’intervento di Casaleggio contro gli inadempienti ha mandato su tutte le furie molti eletti, che da tempo provano a ridisegnare i confini del rapporto tra Movimento e Rousseau e a ‘depotenziare’ il ruolo del guru.
C’è anche chi accusa i gestori del sito ‘Tirendiconto’ di aver cambiato le carte in tavola per quanto riguarda le scadenze delle restituzioni.
In una lettera aperta a Casaleggio postata sui social il senatore Mattia Crucioli definisce “scorretta e fuorviante” la email inviata agli attivisti dal dominus di Rousseau, perchè, sottolinea il parlamentare ligure, “omette che le date delle restituzioni sono sfalsate rispetto a quelle per il sostentamento di Rousseau: le prime sono trimestrali e vanno pagate entro le date di volta in volta indicateci, le seconde sono mensili e vanno pagate il 10 di ogni mese”.
Molti guardano agli Stati Generali del M5S – appuntamento congressuale invocato a gran voce dagli eletti grillini e più volte rimandato a data da destinarsi – come sede per regolare i conti con la creatura di Casaleggio. Il Movimento si presenta spaccato. Intanto non non si sa ancora se si andrà  verso una gestione collegiale, come vorrebbe Luigi Di Maio, è verso un capo politico, come prevede l’assetto attuale.

(da “Huffingtonpost”)

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LA FRONDA DEI CINQUESTELLE DESTABILIZZA VIRGINIA RAGGI

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

CINQUE PRESIDENTI DI COMMISSIONE PUBBLICANO UNA NOTA ANTI-SINDACA

Virginia Raggi contro tutti. Anche contro i suoi.
Dopo aver annunciato la sua ricandidatura alle prossime elezioni comunali, che si terranno fra nove mesi, la sindaca di Roma si trova alle prese anche con un fronte interno ostile. Cinque esponenti M5S con un peso non indifferente nella giunta comunale hanno emanato tutta la loro voglia di cambiamento.
Sono presidenti di commissione chiave (tra cui Mobilità  e Lavori Pubblici), come riporta La Repubblica, che risponderebbero ai nomi di Enrico Stefano, Donatella Iorio, Marco Terranova, Alessandra Agnello e Angela Sturni. Il malcontento sembrerebbe essere scoppiato attraverso una nota pubblicata in una chat interna. I cinque avevano anche disertato il ritiro di Ostia.
Nella nota si legge come ci sia voglia di cambiamento e maggior pragmatismo: ”Roma è una città  complessa, che vive da anni un declino che solo pochi hanno provato a contrastare. Nelle ultime settimane il dibattito politico cittadino sta scadendo sempre di più. Vuoti slogan che lanciano soluzioni semplicistiche per problematiche complesse, estrema personalizzazione della contesa elettorale alla spasmodica ricerca del candidato “ideale”, tutto a discapito della costruzione di un progetto serio che si fondi su proposte concrete, portato avanti da una squadra di persone, dotate di capacità  e visione”.
“Se si vuole invertire questa tendenza”, continuano i cinque nella nota, ”è necessario coinvolgere uomini e donne che abbiano voglia di mettersi in gioco al di là  degli schieramenti e delle appartenenze politiche”.
Poi, delineano le linee guida per il futuro: “L’ambiente e i cambiamenti climatici, la mobilità , il lavoro e l’economia, le infrastrutture fisiche e digitali, le nuove tecnologie, la cultura e la ricerca, sono questi i temi principali su cui fondare l’azione politica futura puntando sulla riduzione delle disuguaglianze sociali e ripensando il concetto stesso di città , e degli spazi pubblici in particolare, in un’ottica di sostenibilità , trovando un punto di equilibrio tra azioni di sviluppo per un rilancio economico e qualità  della vita dell’intera comunità  cittadina”.
Per realizzare questo piano, “Si rende necessario dunque un salto di qualità , come MoVimento 5 Stelle, da realizzare con il coinvolgimento di tutte le persone volenterose e capaci, animate dal nostro stesso spirito di rinnovamento”.
Anche se il nome di Virginia Raggi non viene mai esplicitamente dichiarato, è chiaro il riferimento al suo lavoro. Così, la sindaca si dice “destabilizzata”, anche se accetta la volontà  del cambiamento. “Quello che trovo più difficile da accettare e capire è l’ingiustizia di alcune affermazioni. Finchè avrò forza e voglia continuerò a guidare questa nave consentendovi di fare i vostri percorsi politici e di sparare anche contro di me”.

(da “Huffingtonpost”)

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LA LEGA CANDIDA A LAVIS LA PORTAVOCE DEL GERARCA FILO-RUSSO DI SLOVYANSK

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

SI E’ DISTINTA PER DICHIARAZIONI OMOFOBE CONTRO GLI OMOSESSUALI

Nella costellazione della Lega adesso c’è una Stella del Donbas. Dalla guerra nell’est dell’Ucraina alle urne della destra italiana in nord d’Italia: la parabola della nuova candidata del Carroccio Stella Khorosheva si dipana a Lavis, provincia di Trento, quasi 9mila abitanti e urne comunali alle porte, ma è iniziata molto tempo fa quando, nel 2014, cominciarono a piovere bombe su Slovyansk.
Ne zabudem, ne prostim.“Non dimentichiamo, non perdoniamo”. Era la frase che si leggeva tra sacchi di sabbia e bandiere che sventolavano sul municipio occupato di Slovyansk, città  simbolo di quella Repubblica popolare di Donetzk autoproclamata nel 2014 dopo la battaglia di piazza Maidan.
Alle telecamere dei giornalisti spiegava le decisioni delle nuove autorità  filo-russe nei giorni tesi del conflitto, – fluente in più lingue, capelli biondi ed occhiali -, Stella Khorosheva: era la portavoce del sindaco Vyacheslav Ponomarev, l’uomo che girava in divisa, denti d’oro e quattro dita, durante l’assedio della città  contesa dall’esercito ucraino e quelli che la stampa cominciava a chiamare “separatisti” all’inizio del conflitto.
Dalla battaglia di trincea a quella elettorale trascorrono sei anni. In mezzo, – nel passaggio dalla bandiera rossa, nera e blu di Donetzk a quella verde della Lega -, per Stella ci sono gli acquerelli: quelli che espone in provincia di Trento, a Mezzocorona. Il sito del municipio informa che l’artista “è nata a Slovyansk nel 1966, territorio sconvolto dalla guerra che ha segnato profondamente la sua vita. È laureata in chimica, da sempre è appassionata di arte”.
Nel 2014 la citano le maggiori agenzie di notizie internazionali durante il conflitto, nel 2020 tornano a farlo le testate del settentrione italiano per la “profezia di Marx e la fine della razza umana”.
Alle sue prove d’elezione si accompagna la perplessità  dei giornalisti trentini: nella sua seconda vita, lontana da cingolati e granate, la Khorosheva svetta in altri articoli per le sue posizioni definitivamente omofobe.
È il quotidiano ilDolomiti che la nota prima di tutti gli altri quando, senza ambiguità , esprime le sue posizioni: “il matrimonio tra gay porta all’estinzione della razza, l’obiettivo è distruggere il cristianesimo”. Frasi esplicitamente anti-gay in campagna elettorale che fanno indignare le testate della provincia trentina in cui si candida nella lista della leghista Monica Ceccato, – aspirante sindaco di Lavis -, dichiarazioni a cui non seguono spiegazioni della Khorosheva, ma solo cancellazioni di quei post che però sono ancora visibili sul sito del giornale.
Il cerchio di Stella non si chiude a Trento, ma torna ad allargarsi a Kiev.
“Le autorità  italiane non hanno fornito agli investigatori ucraini una risposta sull’interrogatorio a Stella Korosheva, all’epoca dei fatti portavoce del cosiddetto sindaco di Slovyansk”.
Della candidata sono tornati a parlare anche i media patrii quando a pronunciare il suo nome, a fine agosto scorso, è stato il ministro degli Interni ucraino Arsen Avakov, per supportare la tesi di innocenza a favore di Vitaly Markiv, l’ex soldato italo-ucraino già  condannato in primo grado per il concorso in omicidio di Andy Rocchelli e Andrey Mironov, i due giornalisti che hanno perso la vita a Slovyansk il 24 maggio 2014
Nei vestiti di Andrey Mironov, deceduto insieme al fotoreporter italiano ai piedi della collina di Kharachun a Slovyasnk, è stato trovato, dicono gli inquirenti di Kiev, un foglio firmato dalla portavoce Khorosheva, un avviso che riguardava una fotografia da scattare a Stelkov, pseudonimo di Igor Girkin, ex ufficiale delle forze armate russe a capo delle offensive in Donbas in quei mesi.
Del suo coinvolgimento nel dibattimento in tribunale che inizierà  il 29 settembre a Milano non si hanno informazioni. Nessun triste, solitario finale della storia: vittorie e sconfitte delle battaglie di Stella non sono ancora note. Ma se delle elezioni italiane alle porte si consoceranno presto i risultati, della guerra ormai fredda e dimenticata al confine ucraino nessuno immagina l’esito.

(da agenzie)

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LIBIA, HAFTAR TIENE IN OSTAGGIO 18 PESCATORI SICILIANI E CHIEDE IN CAMBIO QUATTRO SCAFISTI LIBICI

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

DI MAIO NON PERVENUTO

Sono trascorsi ormai 14 giorni da quando i militari del generale Kalifa Haftar hanno sequestrato due pescherecci italiani di Mazara del Vallo e trattenuto 18 pescatori.
La vicenda viene monitorata dalla Farnesina, che dalla sera dell’agguato sta trattando il rilascio degli equipaggi dell’Antartide e del Medinea.
I due motopesca sono tuttora ancorati nel porto di Bengasi, mentre i marittimi sono stati prima interrogati e poi trasferiti in un’altra struttura da cui non possono uscire liberamente, di fatto sono ostaggi del generale Khailifa Haftar.
Agli armatori viene contestata la presenza dei loro pescherecci all’interno delle 72 miglia (sessanta in più delle tradizionali 12 miglia), che la Libia dal 2005 rivendica unilateralmente come acque nazionali, in virtù della convenzione di Montego Bay che dà  facoltà  di estendere la propria competenza fino a 200 miglia.
Una vicenda che non sembrerebbe avere esclusivamente a che fare con la pertinenza delle acque territoriali, dove i due pescherecci si trovavano al momento del fermo, ma che riguarderebbe anche una vera e propria rivalsa politica nei confronti dell’Italia.
A suffragare questa tesi ci sarebbe la proposta avanza negli ultimi giorni dai militari di Haftar che chiedono l’estradizione di 4 scafisti libici condannati a 30 anni di carcere dalla giustizia italiana, ma conosciuti in Libia come giovani promesse del calcio, in cambio della liberazione dei 18 pescatori trattenuti a bordo dei due pescherecci di Mazara del Vallo.
La Marina libica legata all’esercito del generale Khalifa Haftar che controlla la zona di Bengasi ha avuto ordine dal Comando generale, cioè dal generale Haftar, di non rilasciare i pescatori “fino a quando i calciatori libici imprigionati in Italia non saranno liberati”.
Tutti e 4 gli scafisti furono condannati dalla corte d’assise di Catania e poi dalla corte d’appello etnea, con l’accusa di aver fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta ‘Strage di Ferragosto’ in cui morirono 49 migranti.
Cinque anni fa i quattro libici, tutti fra i 23 e i 25 anni, Joma Tarek Laamami, Abdel-Monsef, Mohannad Jarkess e Abd Arahman Abd Al Monsiff, con quattro marocchini, anche loro condannati e reclusi in carcere, furono accusati di non avere liberato i 49 migranti rinchiusi in stiva.
Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità  di “uno scambio di ostaggi” una enormità  giuridica: “Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante”.
Tra i pescatori trattenuti attualmente dai militari di Haftar, oltre agli equipaggi dei due motopesca, vi sono il comandante del peschereccio ‘Anna Madre’ di Mazara del Vallo e il primo ufficiale del ‘Natalino’ di Pozzallo.
Questi ultimi due pescherecci la sera dell’accerchiamento erano riusciti ad invertire la rotta, ma senza i due uomini. In questi giorni in molti sono intervenuti per chiedere il rilascio dei pescatori e dei motopesca sequestrati, tra cui la sezione regionale di Agripesca che ha minacciato di “bloccare l’intera flotta peschereccia”, che a Mazara del Vallo è composta da un centinaio di imbarcazioni d’altura.
Anche i familiari dei marinai si dicono pronti a “partire per Roma assieme ad un bel gruppo di pescatori, perchè non ci si può dimenticare di cittadini italiani che si trovano bloccati in un paese in guerra”.
“à‰ facilmente comprensibile l’angoscia dei familiari, nonostante la diplomazia sia al lavoro, non ci sono garanzie che i pescatori vengano liberati”, racconta a TPI Gaspare Bilardello, ex armatore e fondatore dell’associazione Isola di Mazara del Vallo. “Certamente si capisce lo stato di amarezza per l’immobilismo della politica. Se la situazione è quella dello scambio di ostaggi, certo diventa un po’ più complicata la situazione”.
“La storia è nota: i libici considerano quell’areale di pesca come acque nazionali. La comunità  europea non interviene e la Libia fa come vuole, estendendo i limiti delle proprie acque territoriali fino a 75 miglia, quasi dentro casa nostra.
Con una interpretazione forzosa e non contestata da nessuno di una convenzione che glielo permette ma solo in parte. Il problema è: chi può essere in grado oggi di riconvocare l’organizzazione delle Nazioni unite per modificare un trattato? A oggi nessuno”, prosegue Bilardello. “L’indicazione che viene data è quella di non andare a pescare in quella zona, senza dire se si tratta di acque internazionali o territoriali. Più semplice chiedere ai pescatori di non andare lì, la politica così si mette al riparo dicendo di non andare, ma gli aerali di pesca dove poter andare sono sempre meno, quindi la necessità  ci spinge a inoltrarci. Questo dubbio aleggia e mette in difficoltà  i pescatori”.
Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si tratta di un caso particolarmente spinoso. Di Maio difficilmente accetterà  la proposta delle autorità  libiche, ma deve fare i conti con le proteste dei familiari dei pescatori trattenuti in Libia che accusano il governo di aver fatto poco per liberare gli italiani.
E sull’arresto dei pescatori pende un ulteriore dubbio: che sia stata una vera e propria ritorsione contro la visita del ministro avvenuta proprio il primo settembre a Tripoli. In quel giorno il ministro degli Esteri, accompagnato dal sottosegretario Manlio Di Stefano, è stato prima a Tripoli e poi a Tobruk, incontrando il primo ministro Fayez al Serraj, il cui governo è l’unico considerato legittimo dall’ONU, e poi Aguila Saleh, presidente del parlamento rivale nell’est del paese. Poche ore dopo la visita, è arrivato il sequestro dei due pescherecci italiani.
“È più di una coincidenza”, afferma Bilardello. “A poche ore dalla partenza di Maio c’è stato il sequestro delle navi da parte delle forze di Haftar. Le navi si trovavano a 35 miglia a nord di Bengasi che per la Libia sono acque territoriali, e che per il nodo mai risolto, per noi sono acque internazionali”.
Dal 2005 a oggi sono stati fatti tantissimi sequestri dalla Libia ma ora c’è anche il sospetto che questo sequestro sia frutto di una rivalsa per l’intensificarsi dei rapporti tra Di Maio e al Serraj.
“Stiamo parlando di italiani bloccati in un Paese in guerra. Da giorni non si hanno loro notizie e non comunicano con i familiari. La diplomazia dice di stare tranquilli, ma sono passati 14 giorni e sono troppi”, conclude Bilardello.

(da TPI)

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“SIAMO STATI NOI A CHIEDERE CHE LA SCUOLA RIAPRISSE ANCHE SENZA BANCHI”: I GENITORI DI GENOVA SPUTTANANO TOTI

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

“RIDICOLO ASSISTERE A SPECULAZIONI ELETTORALI”… E OGGI POMERIGGIO, COME PREVISTO, SONO ARRIVATI I BANCHI MONOPOSTO

Il giorno dopo, alla scuola Mazzini di Genova, c’è più incredulità  che indignazione. Il tweet di Toti con la foto dei bambini inginocchiati davanti a sedie usate come banchi, scattata da una maestra, ha fatto il giro dei social e dei giornali.
Ma, a sentire i familiari degli alunni, non si è trattato di una doccia fredda, tanto che l’apertura della scuola, pur senza i nuovi banchi, era stata richiesta dai genitori stessi. “Tutto è partito giovedì — spiegano i genitori all’uscita della scuola — quando ci hanno comunicato che l’inizio della scuola sarebbe slittato 48 ore per permettere che arrivassero i banchi e il personale ausiliario per iniziare serenamente l’anno scolastico”.
I genitori erano stati anche avvertiti che per garantire il servizio con le forze a disposizione avrebbero garantito solo due ore per i primi giorni, e in alcune sezioni i bambini sarebbero stati ancora senza banchi, con attività  didattica ovviamente garantita e personalizzata per offrire un momento di festa ai bambini per celebrare l’atteso ritorno in classe.
“La speculazione di Toti è cascata male — chiarisce Enrica Origo, maestra della scuola — la nostra è una buona scuola e rimandiamo al mittente ogni strumentalizzazione elettorale, soprattutto se fatta sulla pelle dei bambini”.
“Siamo noi ad aver chiesto alle insegnanti di ripartire lo stesso, sapendo benissimo che i banchi sarebbero arrivati solo oggi e perfettamente consapevoli che le maestre hanno le competenze e l’esperienza per gestire al meglio i bambini per due ore, due giorni, anche senza il banco” così difendono il corpo docente e la scuola i genitori dei bambini finiti sulle prime pagine di tutti i giornali.

(da agenzie)

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FOGGIA, SCOPERTI 30 MAFIOSI CHE PERCEPIVANO IL REDDITO DI CITTADINANZA

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

IN TOTALE HANNO INCASSATO 200.000 EURO

Trenta detenuti mafiosi percepivano il reddito di cittadinanza. La Guardia di Finanza di San Severo, in provincia di Foggia, ha scoperto e denunciato 30 persone che prendevano i soldi pur non avendone il diritto, o avendolo solo in misura parziale, tra di loro anche tre persone che hanno presentato la domanda per ottenere il beneficio mentre erano in stato di detenzione in carcere.
I militari hanno passato al setaccio la posizione di 169 persone che dall’entrata in vigore del provvedimento sono stati associati in una casa circondariale della Capitanata.
In dodici non hanno comunicato l’intervenuta carcerazione. Sei familiari di detenuti, non hanno indicato nelle istanze la condizione del componente del proprio nucleo familiare, e sono riusciti ad ottenere un sostegno economico senza riduzioni. Otto familiari non hanno comunicato l’intervenuta carcerazione del loro congiunto, continuando a percepire indebitamente il sussidio in forma piena. Un caso ha riguardato l’allontanamento dalla casa familiare, su ordine dell’Autorità  giudiziaria, di un componente di un nucleo destinatario del sussidio.
Tra i detenuti scoperti dalla Guardia di Finanza, i cui nuclei familiari hanno percepito il reddito di cittadinanza, figurano persone sottoposte a misura detentiva per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, rapina, evasione.
Tutte le posizioni illecite fatte emergere dai finanzieri sono state segnalate all’Inps per la revoca e il recupero del beneficio economico e denunciate alla Procura della Repubblica di Foggia. L’importo complessivo delle somme indebitamente elargite dall’Inps, e di cui si è proposto il recupero, ammonta a circa 200 mila euro.

(da agenzie)

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LA PRIMA FOTO DI NAVALNY IN OSPEDALE: “RESPIRO, MA NON RIESCO ANCORA A FARE QUASI NULLA”

Settembre 15th, 2020 Riccardo Fucile

L’OPPOSITORE ERA FINITO IN COMA DOPO L’AVVELENAMENTO

Alexei Navalny si rivolge ai follower per la prima volta dopo l’avvelenamento del 20 agosto scorso. “Mi mancate”, ha scritto Navalny pubblicando su Instagram una sua foto sul letto d’ospedale di Berlino. “Non riesco ancora a fare quasi niente ma ieri sono riuscito a respirare da solo per tutto il giorno. In generale sono me stesso. Non ho usato nessun aiuto esterno, nemmeno la più semplice valvola in gola. Mi è piaciuto molto. È processo sorprendente, sottovalutato da molti: ve lo raccomando”.
Ieri, la clinica Charitè di Berlino, dove è stato trasferito il 22 agosto dalla Siberia, aveva comunicato che Navalny era stato staccato completamente dalla respirazione artificiale. L’oppositore era finito in coma dopo quello che le autorità  tedesche hanno denunciato essere stato un avvelenamento da agente nervino Novichok.

(da agenzie)

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