Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
LUCA CAPRINI E’ CONSIGLIERE COMUNALE DELLA LEGA A FERRARA… PUO’ UN SOGGETTO DEL GENERE INDOSSARE ANCORA UNA DIVISA?
Il like risale al giugno scorso. Luca Caprini, consigliere comunale della Lega a Ferrara, mise “mi piace” a un post che inneggiava ad Adolf Hitler e ai forni crematori.
Ora, a tre mesi di distanza, risulta indagato per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, al pari dell’autore del post, l’imprenditore Marco Faccini.
I due sono stati perquisiti dalla Digos, nell’ambito di un’inchiesta del pm Andrea Maggioni. Il testo su cui Caprini, che è anche poliziotto e sindacalista del Sap (Sindacato autonomo di polizia), aveva messo il ‘mi piace’ era stato scritto per attaccare il cantante Sergio Sylvestre: «Ma quel signore con i baffi che adoperava i forni non c’è più?».
Caprini, classe 1963, è fondatore della segreteria provinciale di Ferrara del Sap. Segretario aggiunto regionale del sindacato e membro esecutivo nazionale dal 2015, lavora per la Polizia stradale dal 1994 e nel 2008 è stato anche proclamato Cavaliere della Repubblica dal Presidente della Repubblica.
A sollevare il caso del suo “like” era stata su Facebook Ilaria Cucchi, la sorella del geometra romano arrestato 10 anni anni fa e morto dopo una settimana in ospedale. Cucchi, sui social, si era rivolta direttamente al capo della Polizia Franco Gabrielli.
Mi è stato segnalato della consigliera comunale di Ferrara, Anna Ferraresi, questo sconcertante post su Facebook dove si inneggia a Hitler ed ai forni crematori. Ciò che mi allarma come cittadina è l’apprezzamento e la condivisione di tale pensiero, tramite un “like”, di tale Luca Caprini, agente della polizia di Stato, sindacalista del Sap, e consigliere comunale ferrarese della Lega di Salvini, noto per aver difeso ed applaudito coloro che hanno ucciso Federico Aldrovandi. Mi chiedo se questi comportamenti siano consoni ad un appartenente all’Istituzione che lei rappresenta
Ilaria Cucchi
Caprini, da parte sua, aveva spiegato di avere messo il ‘like’ senza aver letto il contenuto del post. Il politico poliziotto, in servizio alla Stradale, aveva ammesso di aver fatto «un errore madornale»: ovviamente solo dopo essere stato beccato.
Puo’ un soggetto del genere indossare ancora una divisa?
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
LA LEGA INVESTE UNA MAREA DI QUATTRINI PER RICOPRIRE I MEZZI PUBBLICI, MA I NAPOLETANI APPENDONO UN FINTO CARTELLO AL COLLO DI SALVINI CON L’AGGIUNTA
Da qualche giorno gli autobus di Napoli sono sponsorizzati da un cliente che ha creato molte polemiche in città : il faccione di Salvini con lo slogan “Zero Chiacchere, più Campania” ricopre completamente i mezzi pubblici.
La sponsorizzazione non era piaciuta a molti. Ad esempio Adolfo Vallini, sindacalista Usb aveva scritto:
«Napoli non si lega, i bus dell’Anm sì: sono stati rivestiti da un grosso manifesto elettorale della Lega con in bella mostra Matteo Salvini. Personalmente resto basito nel constatare che a Napoli, in cambio di soldi si possa autorizzare l’utilizzo di mezzi Anm per la campagna elettorale di un partito improntato sul razzismo e sulla xenofobia. Auspico che il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, e il vice sindaco Enrico Panini chiedano di rimuovere, senza indugio alcuno, i manifesti. È impossibile dimenticare le frasi pronunciate in passato da Salvini contro i napoletani e, più in generale, contro i meridionali. Altro che “Prima i Campani».
Ma l’Anm, l’azienda che gestisce gli autobus aveva spiegato che non ci poteva fare niente: «Si ricorda che gli spazi pubblicitari vengono venduti da una ditta esterna che ne ha la gestione e che comunque non vengono assegnati o negati in base a ideologie politiche. In particolare in occasione di periodi elettorali viene applicata la par condicio e gli spazi sono offerti a tutte le liste alle medesime condizioni».
A Napoli qualcuno alllora ha pensato di personalizzare i bus disegnando un finto cartello appeso al collo di Salvini con la scritta “Io sono una lota”.
Ma cosa significa “lota”? “In senso figurato la lota in napoletano è l’essere immondo, che fa scelte amorali e meschine, in senso letterale con il termine lota in genere si indica la melma, il fango.
Si usa spesso anche per indicare una persona il cui comportamento e’ discutibile a tal punto da considerarlo una “lota”, cioe’ un qualcosa di schifoso, di melmoso come lo sono gli antipatici e gli insopportabili.
L’origine della parola e’ latina. Infatti con “lutum” si indicava la stessa cosa”. Tra qualche giorno Salvini tornerà a Napoli per la campagna elettorale.
Chissà se vedrà i bus modificati.
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
QUARANTENA FORZATA, RITARDI, CENTRALINI FANTASMA: COME SI METTE LA VITA IN STAND BAY PER INEFFICIENZA
I tamponi sono una cosa seria. I contagi da Covid-19 ancora di più.
È per questo che chiunque metta piede a Malpensa di ritorno da un viaggio in alcuni dei Paesi con picchi preoccupanti di casi positivi, deve effettuare il test immediatamente.
I tamponi sono una cosa talmente seria che chiunque torni da Grecia, Spagna, Malta o Croazia deve fare una lunga fila negli otto stand adibiti proprio all’interno dell’aeroporto da Ats Insubria, l’incaricata dalla Regione Lombardia, per la somministrazione dei test.
Seria, a tal punto che i tempi standard da garantire per i risultati sono generalmente di 48 ore. Massimo 72, in casi di emergenza.
È per questo che i numerosi viaggiatori di ritorno in Italia nelle giornate di fine agosto, continuano a gridare allo scandalo per via di risultati che ad arrivare non solo hanno impiegato più di 72 ore, ma hanno raggiunto nei casi più estremi i 9 giorni.
Quarantena forzata, giorni e giorni di ritardi, centralini e indirizzi mail fantasmi a cui doversi rivolgere, l’ansia di un risultato che si aspetta e che di fatto mette in stand by la vita
Le voci nel limbo, Andrea: «Una settimana d’inferno»
«Il 30 di agosto tornavo dalla Grecia con un gruppo di altre 7 persone», racconta Andrea Moro, una delle vittime del disservizio che da giorni continua a segnalare alla Regione e ai media, «una situazione scandalosa». «Prima di arrivare in Italia avevamo letto di un possibile ritardo nel servizio tamponi, non più 48 ma 72 ore, questo il riferimento che avevamo raccolto sul sito dell’Ats Insubria», continua.
Andrea racconta di aver assistito ad una macchina organizzativa che all’arrivo a Malpensa lo aveva fatto ben sperare: «Sono stati molto veloci, ci siamo avvicinati agli stand e in 20 minuti noi otto avevamo fatto tutti il tampone».
Quella che il viaggiatore definisce «settimana infernale» comincia però subito dopo. Andrea chiede anche di persona dei possibili ritardi di cui aveva letto, «stiamo monitorando, ma comunque non più di 72 ore», gli rispondono.
Arrivato a mercoledì, del risultato del tampone nessuna notizia e Andrea inizia a preoccuparsi. Cominciano così una serie di tentativi, per la maggior parte vani, di entrare in contatto con Ats Insubria.
«Alcuni del gruppo cominciavano a chiamare ininterrottamente dalle 9 del mattino, il numero verde non ha mai risposto», denuncia Andrea, ricordando come per un’intera settimana ha lasciato messaggi su messaggi in segreteria e mandato mail a cui non è seguita risposta. «Uno di noi è stato ricontattato il giovedì, esortato ad avere pazienza perchè il laboratorio stava processando i dati del 28 e del 29 agosto».
«Mi ero illuso che quelli del 30 potessero arrivare almeno il giorno dopo, ho dovuto aspettare il lunedì successivo per avere il mio referto». Del suo gruppo Andrea è stato uno dei più fortunati, degli 8 viaggiatori, 6 hanno ricevuto il risultato lunedì. Le ultime due hanno dovuto invece attendere la mezzanotte del martedì, arrivando a quota 9 giorni di attesa.
Particolare del referto arrivato alle ultime due persone del gruppo vacanziero di Andrea, è la provenienza del laboratorio. Il centro da cui arriva il certificato risulta infatti provenire da Modena, a differenza degli altri sei risultati che invece arrivano dall’azienda Synlab della Lombardia.
«Perchè quando ho chiesto dei ritardi mi hanno rassicurato con la storia delle 72 ore?», si chiede Andrea, risentito per quello che ha vissuto non solo come disagio ma anche «come una ingiusta presa in giro». «Se avessi saputo la verità mi sarei preoccupato di effettuare il test privatamente e di assicurarmi così una tranquillità anche dal punto di vista lavorativo», continua Moro, raccontando come il proprio datore di lavoro ha scelto di tenerlo a casa, nonostante il Dpr Lombardia consenta in questi casi di svolgere le attività lavorative normalmente.
«Tra di noi ci sono persone che hanno parenti e genitori anziani, per scelta hanno deciso di non avere più contatti, di non uscire tranne che per andare a lavoro, nel caso di chi è dovuto rientrare ugualmente».
In un limbo per otto giorni, l’odissea sembra essere finita con un esito del tampone negativo. «Ho i miei genitori in in Spagna e dovrei andare prossimamente per far loro visita. Non ho più il coraggio» spiega, «se per 3 giorni di viaggio, devo sacrificare un’altra settimana di attesa, credo che anche a lavoro non la prenderebbero affatto bene».
Laura: «Perchè non dirmelo subito?»
Anche il referto di Laura Castellon Duque, dal 30 agosto, data del tampone, è arrivato lunedì 7 settembre. Infermiera a Milano, originaria della Spagna e madre di due bambine, è tornata da un viaggio nella terra natìa con le sue figlie.
«Avevo prenotato per loro un tampone già prima di partire per la Spagna all’ospedale di Rozzano e per me nella struttura dove lavoro, ma atterrando a Malpensa, avendo visto gli stand a disposizione ho chiesto di poter accedere anch’io al servizio e mi hanno risposto di sì», racconta. Stesso iter. Otto giorni di preoccupazione, chiamate senza risposta mentre l’agitazione per un tampone che a quel punto Laura teme sia andato perso aumenta.
«Ho aspettato 72 ore, che si sono trasformate in 96, poi in 120, fino a che il venerdì ho cominciato ad agitarmi non poco», racconta la donna, sottolineando come nessuno le avesse rilasciato al momento del tampone nessun riferimento cartaceo o mail a cui poter fare fede. «Le pochissime volte che qualcuno mi ha risposto al numero di Ats Insubria, mi diceva di non potermi dire nulla, che stavano elaborando ancora i dati del 28 di agosto e che sarebbero andati avanti con lo smistamento», tempo di riferimento ignoto.
Laura, ancora per fortuna in ferie, è potuta restare a casa senza troppi problemi. La sua bambina ha perso il primo giorno di inserimento a scuola, «è la cosa che più mi ha fatto arrabbiare. Perchè quando ho chiesto di poter fare a Malpensa i tamponi anche per le mie bambine mi hanno detto di sì nonostante avessi specificato che avevo già prenotato altrove i test? Perchè non dire chiaramente dei ritardi?».
Stesse domande anche per Laura dunque, che ora legge il referto datato 7 settembre e apprende che anche la data di richiesta di analisi al laboratorio è datata lo stesso giorno. Data del referto: 7 settembre alle 8.48 di sera. Data di richiesta: lo stesso giorno alle due di pomeriggio. Una tempistica piuttosto strana soprattutto quella riferita alla data di richiesta, che invece dovrebbe avere come riferimento la domenica del 30 agosto, giorno di arrivo di Laura e le sue bambine a Malpensa. Per di più, proprio come i due referti del gruppo vacanziero di Andrea, anche il referto dell’infermiera sembra provenire non dal laboratorio lombardo ma da quello modenese.
Mattia: «Le date che non corrispondono»
Stessa questione sulla data anche sul certificato di Mattia Maroni, tornato da Minorca sabato 29 agosto e sottoposto a tampone negli stand di Malpensa il giorno stesso. Da lì ha dovuto aspettare ben 8 giorni prima di avere l’esito, con una data di richiesta registrata sul referto risalente al 3 di settembre, ben 4 giorni dopo la data effettiva del tampone. «Già in coda allo stand quel giorno dell’arrivo, l’informazione che tutti chiedevano era quanto tempo ci sarebbe voluto per l’esito e la risposta che davano parlava di 72 ore», racconta. Una versione che comprendeva già l’elemento del ritardo rispetto alle 48 ore canoniche ma che non forniva alcun sentore di una problematica di gestione ben più grande.
Anche per Mattia l’attesa è stata lunga quanto i giorni passati lontano dal lavoro, «nonostante l’Ats mi ripetesse che tanto le mie attività avrei potuto continuare a farle anche se i risultati non arrivavano, il mio datore di lavoro ha preferito non mettere a rischio l’azienda», spiega Mattia, dipendente di una piccola impresa che non ha voluto rischiare la chiusura totale in caso di positività al virus.
«Avevo già comunicato il mio rientro il lunedì successivo dopo la vacanza, considerando le 72 ore massimo che Ats aveva garantito. Ho dovuto prendere tempo per un’intera settimana», racconta il ragazzo secondo cui le decine di chiamate e segnalazioni ad Ats Insubria, Ats Milano, Regione Lombardia e Ministero della Salute «non sono state minimamente ascoltate».
Dopo cinque giorni in cui Mattia racconta di essere «impazzito nel tentativo di rintracciare qualcuno», è arrivato a scrivere il proprio disagio su Facebook raccogliendo altre decine di casi simili al suo. Tutti testimoni di spiegazioni blande, quando presenti, e di un’attesa che, vista la serietà della questione, sembrava essere assurda.
Le poche spiegazioni fornite da Ats Insubria a Mattia sono quelle delle uniche due telefonate a cui è riuscito ad avere risposta dopo decine di tentativi.
«Mi dicevano cose random per telefono tra cui di un problema in laboratorio non meglio identificato, poi anche di date difficili e di numeri di arrivi molto difficili da gestire». Spiegazioni «tappa buchi» in cui la frase «puoi uscire lo stesso di casa» sembrava essere, per gli addetti al centralino, la possibile panacea consolatoria.
Dopo le numerose segnalazioni, commenti social e telefonate arrivate nelle ultime ore, Ats Insubria ribadisce la responsabilità del ritardo al macchinario del Laboratorio a cui si sono affidati. «Il Laboratorio in questione, che voglio precisare è noto per gli ottimi standard qualitativi», dice ad Open il Direttore Sanitario di Ats Insubria, Giuseppe Catanoso, «ha avuto un guasto ad uno dei loro strumenti, probabilmente dovuto al carico di lavoro notevolmente aumentato».
Dal 19 al 7 agosto sono stati eseguiti più di 23mila tamponi, i referti in ritardo, eccedenti le 48 ore, sono risultati in tutto 3.262. «Con l’ultimo monitoraggio di ieri pomeriggio siamo arrivati a 1170» fa sapere Catanoso, che risponde anche alla questione date.
La mancata corrispondenza della data di richiesta di analisi con la data effettiva della somministrazione del test sarebbe secondo Ats Insubria responsabilità unica del laboratorio incaricato. «La consegna dei tamponi da parte della ATS Insubria avviene almeno una volta al giorno. Ogni giorno è lo stesso laboratorio che effettua l’analisi ad inviare a Malpensa un suo mezzo per il ritiro dei tamponi», precisa Catanoso, facendo capire che i ritardi anche nella richiesta non dipenderebbero da una mancata consegna tempestiva dei test da parte di Ats.
Sui tempi di segnalazione del ritardo i riferimenti dati da Catanoso sembrano non riuscire a togliere i dubbi di una malagestione. «La prima segnalazione di guasto è arrivata in ATS giovedì 27 agosto» fa sapere il Direttore Sanitario. «Monitorando l’accumulo dei ritardi, abbiamo provveduto ad indicare sul nostro sito che i tempi di risposta sarebbero stati superiori a 72 ore» continua Catanoso, indicando poi il successivo riferimento alle 96 ore come ulteriore avvertimento. Secondo le testimonianze dei malcapitati però le tempistiche si sarebbero protratte ulteriormente e inoltre, atterrando a Malpensa, nessuno degli addetti, a domanda esplicita, avrebbe segnalato le condizioni di difficoltà che avrebbero portato attese fino a ben 9 giorni.
Al momento la situazione, secondo quanto informa il dott. Catanoso, «è in via di risoluzione». I ritardi non sono ancora stati recuperati del tutto e molte persone sono ancora in attesa dei risultati ma nel frattempo Ats Insubria informa di aver coinvolto un secondo laboratorio «ad elevatissima produttività (20.000 test/die)».
L’ulteriore centro analisi ora integrato, secondo Ats, permetterebbe di processare i tamponi dei giorni scorsi «più rapidamente». Meglio tardi che mai si direbbe in casi non urgenti come quelli di una pandemia.
(da Open)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
ALBERGHI DI LUSSO A POSITANO, ALTRI IN UMBRIA, IN BARCA A PALMAROLA… E TANTI PRECEDENTI PER RISSE, LESIONI E SPACCIO
Potrebbero esserci indagini patrimoniali sui fratelli Marco e Gabriele Bianchi, tra gli arrestati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il ragazzo picchiato a morte a Colleferro. Lo riferiscono fonti investigative.
Secondo quanto si apprende, non si esclude che possano esserci accertamenti per stabilire se il tenore di vita dei due fratelli sia in linea con la loro situazione ufficiale di nullatenenti.
I due ragazzi hanno precendenti di polizia alle spalle, a vario titolo, per spaccio e lesioni. Sui loro profili social compaiono foto che li ritraggono in alberghi di lusso a Positano, in campagna in Umbria, in barca a Palmarola e spesso griffati
Si legge sul Messaggero:
Di cosa vivevamo i due fratelli? Il primo, Marco, da qualche mese aveva aperto un piccolo negozio di frutta verdura a Cori, comune della provincia di Latina. Non un grande locale su cui tra l’altro il sindaco della cittadina ha già avviato le pratiche per il ritiro della licenza.
Ci lavorava anche Gabriele ma poteva bastare ad entrambi per spassarsela in giro per locali e posti noti di villeggiatura? La famiglia Bianchi abita in una frazione di Artena, il padre ha un’impresa di pozzi artesiani, gli altri figli (in tutto sono quattro) hanno delle attività commerciali: un’enoteca a Lariano e un negozio di alimentari.
Sui social dei fratelli figurano scatti da vacanze a Positano. Tra abiti firmati, accessori alla moda, orologi ai polsi e moto veloci. Eppure risultano nullatenenti.
I due fratelli hanno accumulato negli ultimi tre anni un discreto numero di denunce. Comprese alcune per spaccio di stupefacenti.
Marco, il più piccolo dei due, ha alle spalle almeno due denunce per rissa, altrettante per lesioni personali e spaccio, oltre a una serie di contravvenzioni amministrative. Gabriele non è da meno. In passato è stato accusato di minaccia, lesioni, porto di oggetti atti a offendere e stupefacenti. Qualcosa in più dell’hashish.
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
“MIO GENERO E’ INDIFENDIBILE: NON SI STA IN GIRO DI NOTTE QUANDO UNO E’ SPOSATO E HA UNA MOGLIE INCINTA DI SEI MESI”
“Io ho una colpa, quella di non essere riuscito a far capire che forse prima di fare un figlio con una persona serve un percorso, e che forse era necessario vivere insieme un po’ di più, perchè solo la quotidianità e il confronto ti mettono nelle condizioni di fare queste valutazioni”.
Al telefono Salvatore Ladaga, coordinatore di Forza Italia a Velletri e suocero di Gabriele Bianchi, uno degli arrestati per l’omicidio di Willy Monteiro, parla del rapporto tra Gabriele e sua figlia 28enne Silvia.
Per Salvatore Ladaga Gabriele Bianchi è indifendibile. “Lui per me non doveva proprio stare in giro a quell’ora perchè è sposato e ha una moglie incinta di sei mesi. Ora bisogna piangere Willy che non c’è più, io ho anche il dovere di pensare a mia figlia che non sta bene e mio nipote che è un’altra vittima e quando sarà più grande dovrò spiegare chi era il padre, se era un attaccabrighe o se c’è qualcosa di più grave. Questo è il mio tormento”.
Bianchi è stato arrestato subito dopo l’omicidio di Willy. Secondo quanto raccontato da diversi testimoni, lui e suo fratello Marco sarebbero arrivati in piazza Oberdan a bordo di un Suv. Dopodichè sarebbero scesi e avrebbero iniziato a picchiare chiunque gli capitasse a tiro. Willy si era avvicinato per tirare via un suo amico finito a terra: ed è a quel punto che è cominciato il pestaggio che ha portato alla sua morte. Venti secondi di violenza cieca che non hanno lasciato scampo al 21enne.
Salvatore Ladaga racconta di conoscere poco Gabriele perchè il rapporto con Silvia è abbastanza recente. Il suocero nei mesi scorsi aveva aiutato Gabriele ad aprire la frutteria a Cori e ha cercato di aiutarlo a trovare altri lavori.
Un ragazzo Gabriele Bianchi, che sembrerebbe sempre pronto ad accorrere nel caso in cui ci fosse bisogno di menare le mani.
Salvatore Ladaga ha spiegato che in diversi casi aveva cercato di capire chi fosse Gabriele. All’inizio era preoccupato per i tatuaggi: “È un po’ pacchiano”, aveva sentenziato la prima volta che lo aveva visto. “Ma mia figlia era innamorata”.
Poi i pensieri si sono spostati sui recenti episodi di violenza e rissa che hanno visto il coinvolgimento di Gabriele Bianchi. Il 26enne, infatti, era molto conosciuto nelle zone di Colleferro e Artena per diverse risse che avrebbe scatenato.
Numerosi ragazzi, intervistati anche da Fanpage.it, hanno denunciato di essere stati picchiati da Bianchi. I motivi erano sempre tra i più futili: uno sguardo di troppo, un commento non gradito su Facebook.
“Ho chiesto spiegazioni su questi episodi che mi raccontavano, che sentivo in giro, ma mia figlia era innamorata”, conclude Ladaga. Per alcuni, Gabriele e Marco Bianchi facevano recupero crediti per conto di alcuni spacciatori della zona.
(da “Fanpage”)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
LO SCHERZO DEL DESTINO COLPISCE UN ALTRO ESAGITATO
Una «punizione di Dio per i gay». Così il patriarca ortodosso Filaret ha definito il coronavirus lo scorso marzo, accusando gli omosessuali di essere i diretti responsabili della pandemia.
Lo stesso Filaret, come ha comunicato la notizia diffusa online dalla sua chiesa, oggi è positivo al Covid dopo aver parlato di coronavirus gay. Un ironico scherzo del destino che sta facendo girare il nome di questo prete in tutto il mondo. L’uomo ha 91 anni e, nonostante il Covid, le sue situazione sono attualmente stabili.
La notizia, oltre che dalla chiesa, è stata confermata anche dai media. Il religioso è ricoverato in ospedale vista l’età avanzata: «Vi informiamo che sua Santità il patriarca Filaret di Kiev è risultato positivo al test per il Covid-19. Il patriarca è ora ricoverato e le sue condizioni di salute sono giudicate soddisfacenti», afferma la nota diffusa dalla sua stessa chiesa.
In particolare a marzo l’uomo ce l’aveva con i matrimoni gay e quella sua frase — appoggiata anche da altri — ha fatto parecchio scalpore. Quello che è «na punizione di Dio per i matrimoni tra persone dello stesso sesso» e per «i peccati degli uomini» alla fine ha colpito proprio lui.
Seppure in molti abbiano criticato le parole di Filaret — compreso il portavoce di Amnesty International Ucraina — non è certo il solo ad aver fatto affermazioni di questo tipo.
Ricordiamo che altri religiosi si sono detti della stessa opinione a partire dal pastore americano Rick Wiles; anche il rabbino israeliano Mei Mazuz ha utilizzato l’emergenza mondiale come scusa per attaccare in maniera insensata gli omosessuali affibbiando loro colpe che non stanno nè in cielo nè in terra.
A marzo il portavoce di Amnesty International Ucraina, in particolare, aveva definito «molto dannose» le dichiarazione del prete ortodosso poichè « potrebbero portare a un aumento degli attacchi, dell’aggressione, della discriminazione e dell’accettazione della violenza».
(da agenzie)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
MUSIC FOR PEACE HA RICICLATO GLI ARREDI SCOLASTICI DESTINATI A FINIRE IN DISCARICA…SOVRANISTI DELLA DOMENICA, IMPARATE COSA VUOL DIRE AIUTARLI A CASA LORO
Dalle scuole di Genova alle scuole di un campo profughi in Africa. Nella corsa contro il tempo per adeguarsi alle normative anti Covid, le scuole del ponente genovese hanno trovato una soluzione che eviterà di gettare i propri banchi in discarica: spedirli in Sudan, dove verranno utilizzati da altri studenti.
L’idea è venuta a Music For Peace, l’associazione genovese con sede in via Balleydier che si occupa di cooperazione internazionale. « Ci è arrivata infatti una richiesta di materiale scolastico dal Sudan, dove siamo attivi con alcuni progetti », spiega Stefano Rebora, presidente di Music for Peace. «E visto che proprio in questo momento l’Italia si ritrova con l’obbligo di cambiare i banchi scolastici, abbiamo proposto al presidente del Municipio VII Claudio Chiarotti di darci una mano: e la proposta è stata subito accettata».
Circa 120 banchi sinora utilizzati dagli studenti del ponente finiranno quindi a Mayo, il gigantesco campo profughi a 20 chilometri dalla capitale Khartoum dove vivono un milione e duecentomila persone in fuga da Somalia, Ciad, Etiopia, Eritrea e dalla zona del Darfour.
«Si tratta di un campo costruito con case di fango, dove esistono moschee e chiese e ovviamente pure delle scuole » , continua Stefano Rebora. «Rendiamoci conto che quello che per noi è diventato inutile per chi abita a Mayo può essere molto importante » .
Dal municipio VII l’assessora alle scuole Silvia Brocato fa sapere che per ora hanno aderito all’iniziativa l’istituto comprensivo Voltri I, quello di Pra’, di Pegli e la scuola primaria Alfieri di Multedo.
« Daremo a Music for Peace banchi, sedie e armadi » , spiega, soddisfatta per la valenza politica del gesto del municipio – uno dei pochi guidati dal centrosinistra in città – e il suo valore educativo con gli studenti.
La stessa soddisfazione accomuna anche i dirigenti scolastici degli istituti coinvolti. Per Iris Alemano, preside dell’Istituto comprensivo Pegli, « si tratta di un’iniziativa positiva, perchè rende utile un materiale che d’improvviso non serviva più » .
Music For Peace ( 0108572540) raccoglierà i banchi entro il 20 settembre anche da altre scuole eventualmente interessate. Stefano Rebora pecisa però che « il materiale deve essere in buono stato » e che non avendo un camion a disposizione l’associazione ha bisogno di un sostegno logistico e un aiuto per effettuare le operazioni di trasporto. I banchi saranno quindi caricati insieme a generi alimentari e farmaceutici sulla nave in partenza da Genova il 2 ottobre e diretta a Port Sudan.
Da lì tutto il materiale sarà trasferito temporaneamente a Khartoum in un magazzino messo a disposizione dalla dall’Aics, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, e infine destinato alle scuole di Mayo.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
LA KOLESNIKOVA IN UNA CELLA A MINSK, ARRESTATO ANCHE ZNAK, LA NOBEL ALEKSIEVIC DENUNCIA UNA INTRUSIONE IN CASA: SONO I METODI DEGLI AMICI DI PUTIN
Come alfieri sulla scacchiera, si muovono da una parte all’altra della mappa dell’Europa che confina con Minsk, le oppositrici del presidente.
Varsavia fa da ombrello per quanti vengono perseguitati dal suo Kgb e nella capitale polacca si sono riunite oggi la leader in esilio Svetlana Tikhanovskaya, la sua alleata Veronica Tsepkalo, la dissidente la Olga Kovalkova.
Sono la nuova troika in esilio, mentre a Minsk c’è l’ultima, nuova icona delle proteste nel silenzio di un’altra cella piena: Maria Kolesnikova.
Le teste di cuoio che continuano ad arrestare i dissidenti non hanno volto nè mostrine. Sono “maschere”: questa è stata l’unica parola che Maksim Znak è riuscito a scrivere prima essere arrestato, come riporta il canale Tyt.by.
L’avvocato 39enne è stato portato via dagli uomini in passamontagna mentre stava salendo le scale per tenere una conferenza online a cui non è mai arrivato in tempo nel 32esimo giorno di proteste consecutive nel Paese.
Su di lui pende la stessa accusa che porta ora sulle spalle Maria, l’oppositrice che si è coraggiosamente rifiutata di lasciare il Paese quando gli uomini del Kgb hanno tentato di espellerla al confine ucraino: entrambi sono accusati di “tentativo di colpo di Stato”, rischiano fino a 5 anni di prigione secondo l’articolo 361-3 della Costituzione bielorussa.
“Ridateci Masha!”: l’urlo delle donne di Minsk scese per strada in solidarietà della dissidente che chiamano con il diminutivo è stato subito spento dagli Omon, polizia anti-sommossa.
Il Comitato di Coordinamento bielorusso per la transizione dei poteri ora è quasi kaput: in libertà rimane solo la scrittrice Svetlana Alekseevic.
Lukashenko ha dichiarato che non parlerà con chi è per strada, ma “c’è il popolo per strada” ha detto la scrittrice sulla soglia di casa sua, circondata da un cordone di sicurezza insolito ma potente: quello dei diplomatici svedesi.
È l’ultima del gruppo di sette a non essere all’estero o in prigione. Mentre Stoccolma veglia sul premio Nobel, la scrittrice ribadisce che lo scopo del Comitato di Coordinamento era “aprire un dialogo nella società , non dividere la nazione. Oggi hanno preso l’ultimo membro, Maksim Znak. I migliori di noi vengono rapiti” ha detto alla tv svedese.
A differenza degli altri avversari del presidente, la Alekseevic ha fatto appello non ad ovest, ma ad est, rivolgendosi all’intellighenzia russa e chiedendo che si faccia avanti contro l’ingiustizia commessa a Minsk.
Non si sa se il presidente Lukashenko rispetterà i suoi impegni del prossimo 14 settembre, quando è programmata la sua prossima visita a Mosca.
“Ho parlato con il mio vecchio amico, il mio fratello maggiore, come lo chiamo io: Vladimir Putin – aveva detto ieri Aleksandr Lukashenko – Gli ho detto: state in allerta, anche da voi succederà presto. Se la Bielorussia oggi cade, domani lo farà la Russia”. Seduto tra due bandiere nazionali verdi e rosse, mentre fuori dal suo palazzo sventolano quelle bianche dell’opposizione, il presidente ha parlato a lungo con i giornalisti di Rt, Russia Today, la tv megafono al Cremlino.
Prima pacato, poi nervoso, infine minaccioso: non ha nominato i suoi avversari, ma ha menzionato i suoi due ultimi nemici. Prima un social network vietato alla Federazione russa e poi un Paese che non gli è certo alleato, diventato la piattaforma di incontro di tutta l’opposizione che lo vuole allontanare dalla poltrona che occupa dal 1994: la Polonia.
“Ho chiesto a Putin: come ci si oppone a Telegram? Non si può. Non possono farlo nemmeno gli americani, che l’hanno inventato. Anche se stacchi Internet, i canali Telegram continuano a lavorare dalla Polonia. Quello che accade è molto tragico, ma io non mollerò” ha detto il presidente che forse non sa che Telegram è stato inventato dai fratelli russi Durov, già creatori del social più usato dagli slavi, Vkontakte, fuggiti poi dalla patria quando Mosca ha chiesto loro di cedere i dati delle conversazioni criptate.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
TRE REATI IN CORSO DI VALUTAZIONE DELLA DIGOS: VIOLENZA PRIVATA, RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE E TURBAMENTO DI COMIZIO ELETTORALE (MA GLI ULTIMI DUE SONO MOLTO DISCUTIBILI)
“Io ti maledico”, sono le parole che la giovane donna ha urlato a Matteo Salvini durante l’aggressione subita a Pontassieve, in provincia di Firenze, dove il segretario leghista era appena arrivato per l’ennesima tappa del suo tour elettorale in vista delle elezioni regionali in Toscana.
La donna — una trentenne di origini congolesi — ha aggredito Salvini strappandogli la camicia e il rosario che aveva al collo. Immediato l’intervento delle forze dell’ordine che hanno subito allontanato la donna in evidente stato di alterazione.
Al momento sono tre i reati in corso di valutazione. La Digos di Firenze sta esaminando una denuncia per violenza privata, resistenza pubblico ufficiale e turbamento di comizio elettorale.
Il primo ci puo’ stare, la resistenza non appare dal video e il comizio elettorale non esiste, visto che Salvini stava passeggiando.
Quanto alla violenza privata non ci risulta sia stata contestata a Salvini quando ha citofonato a Bologna a una famiglia per chiedere se spacciavano.
Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, A. F. B. è una immigrata regolare di 30 anni nata in Congo e trasferitasi a Pontassieve dove, attualmente, è impiegata nel servizio civile del piccolo comune in provincia di Firenze in un progetto chiamato “La scuola, l’ambiente e la comunicazione istituzionale”.
A. F. B. è una giovane ben inserita e conosciuta in paese. Laureata e incensurata, spesso si occupa di progetti di solidarietà indirizzati verso l’Africa.
In passato, sempre secondo il Corriere, ha contribuito a fondare una scuola di cucito per ragazze madri a Kinshasa, la capitale del Congo.
(da agenzie)
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