Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“QUI SIAMO AI FUNERALI GENERALI”
Puntuale, il primo di tutti, Vito Crimi arriva nella sala dei gruppi Montecitorio. Non era atteso, ma le proteste dei parlamentari che minacciano di disertare l’Assemblea M5S lo costringono a partecipare.
Volto teso, non accenna neanche un sorriso. Alla spicciolata giungono i deputati e i senatori, all’ordine del giorno c’è il congresso M5s che dovrà definire il nuovo assetto pentastellato.
“Ma quali Stati generali? Qui siamo ai funerali generali”, dice un esponente M5s di rango prima di varcare la soglia d’ingresso. Nessuno crede in una ripartenza, qualcuno ci spera, ma con enorme disillusione. E la disillusione resta anche al termine della riunione: “Non abbiamo deciso nulla, ormai siamo al collasso”.
Il reggente M5S, nel mirino per la sconfitta elettorale, prova a mostrarsi sereno. Arriva subito al dunque e mette sul piatto tre proposte per la riorganizzazione del Movimento 5 stelle a partire dalla nuova leadership. Ma appare più un percorso a ostacoli con tanti punti ancora irrisolti.
La prima via è individuare subito, con un voto su Rousseau, un nuovo capo politico. La seconda via è scegliere un organo collegiale, sempre da votare online.
La terza via, la più accreditata, è arrivare agli Stati generali attraverso un percorso che dovrebbe iniziare il 15 ottobre partendo dai territori. La gestione verrebbe affidata a 10 persone tra senatori, deputati, rappresentanti comunali e regionali ed europarlamentari.
Ma la confusione è totale, davanti a parlamentari che tentennano e protestano. Crimi tira fuori il coniglio dalla tasca e proietta le slide provando ad essere più chiaro.
La prima opzione consiste in un voto immediato su Rousseau per scegliere il nuovo capo politico.
Per quanto riguarda il secondo scenario – si legge in una delle diapositive – “si procede ad una votazione on line esclusivamente sul tema governance con due step: governance monocratica o collegiale”; in caso di governance collegiale, dovrà essere scelto il modello.
A questo punto “si procede alla elezione del nuovo capo o organo collegiale che convocherà gli stati generali”.
Venendo al terzo scenario, quello che a quanto pare alletta di più i parlamentari, qualora si decida di intraprendere subito il percorso verso gli Stati generali, “entro il 15 ottobre saranno convocate assemblee regionali o provinciali con l’obiettivo di proporre un documento sintetico con l’indicazione delle questioni su cui il M5S deve interrogarsi.
Nello stesso termine” ci sarà la “costituzione di una commissione composta da 10 persone, da individuare tra i portavoce della Camera, tra i portavoce del Senato, tra i portavoce in Europa, tra i portavoce regionali, tra i portavoce comunali e membri del governo, scelti direttamente dalle singole realtà ”.
Questo è un meccanismo che andrebbe nella direzione di evitare uno scontro aperto nel Movimento, siglare una sorta di ‘pax interna’ per non scaricare le fibrillazioni sull’attività parlamentare e sul governo.
Il disordine è assoluto. Ma nessuno potrebbe dire, come diceva Mao Tse Tung: “Grande è la confusione sotto il cielo e quindi la situazione è eccellente”.
Alcuni deputati e senatori hanno preso la parola in assemblea per quattro minuti, come da regolamento. Molti non ne possono più del capo politico nè vogliono che si passi subito a una gestione collegiale: “Bisogna ricominciare dai territori, non si può chiudere la vicenda con le solite nomine”.
Lunedì, con ogni probabilità , Crimi incontrerà il capo delegazione Alfonso Bonafede e tutti i ministri e viceministri per fare il punto in vista della strada da intraprendere. Contestualmente ci sarà una consultazione via mail sulle tre proposte alla quale parteciperanno i parlamentari.
Se le tre proposte saranno sottoposte al voto su Rousseau o se invece saranno i big a decidere sulla base delle osservazioni dei parlamentari e dei rappresentanti territoriali non è dato saperlo.
Si cerca insomma una via d’uscita, un modo per venir fuori dalla confusione post sconfitta elettorale. Ma ancora i risultati sono scorsi: “Abbiamo un problema identitario”, dice Carla Ruocco. Le fa eco un collega: “Basta con la dittatura dei vertici e con le decisioni calate dall’alto”.
Non è un caso se molti di quelli intervenuti – a partire da Nicola Morra — abbiano chiesto di mettere fine ai procedimenti disciplinari, alle espulsioni, invocando una libertà di pensiero.
La giornata era iniziata nel modo peggiore. In tanti erano pronti a disertare: “Che senso ha riunirci se non è presente il capo politico. E poi è anche giovedì…torniamo a casa”.
Nei corridoi di Montecitorio si intravedono pochissimi deputati, complice il fatto che oggi non ci sono stati lavori d’Aula. Ma il Movimento 5 Stelle ha un appuntamento che era stato presentato come uno di quelli “con la storia”: un’assemblea congiunta di deputati e senatori durante la quale doveva essere annunciata la data degli Stati generali.
Per qualche ora si è rischiato che saltasse tutto, dal momento che solo ieri il reggente grillino aveva deciso di non presentarsi. Nel giro di poche ore scoppia il caos, regna la confusione, tutti contro tutti, tutti contro Crimi, che alla fine ci ripensa.
Nonostante sia diventato il bersaglio dello sfogatoio, il capro espiatorio a cui affibbiare le colpe della sconfitta elettorale, il capo politico sarà di fronte agli eletti. Ma in questo gioco morettiano del “mi si nota di più se vengo… ”, sono assenti i ministri, quelli che — la corrente Parole guerriere animata da Dalila Nesci — accusa di fare ‘caminetti’ in via Arenula o in una casa privata a due passi da Castel Sant’Angelo.
Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede, Stefano Patuanelli sono tutti a Palazzo Chigi alle 18.30, con il premier Giuseppe Conte, per una riunione sul 5G convocata dal sottosegretario grillino Riccardo Fraccaro in coincidenza con l’assemblea dei gruppi M5S. Neanche il presidente della Camera Roberto Fico è presente. Hanno deciso di esserci invece le ministre Lucia Azzolina e Fabiana Dadone, e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà .
La presunta assenza di Crimi e la diserzione di quasi tutta la compagine grillina di Governo hanno portato tanti deputati e senatori a chiedersi che senso avesse partecipare alla riunione: “Dobbiamo sapere quando saranno gli Stati generali, se non ci viene detto è inutile andare”.
A metà pomeriggio il capogruppo alla Camera Davide Crippa ha dovuto mandare un ‘doodle’ per verificare le presenze. “Ci stiamo contando”, riferiscono dagli uffici della Camera. Dietro la richiesta inviata formalmente c’è la necessità di mettere a disposizione spazi adeguati, causa Covid. In realtà vi era il timore che alla fine l’assemblea andasse deserta o quasi.
A un certo punto si è pronti a ripensarci, a rinviare tutto a data da destinarsi ma mediaticamente sarebbe stato un duro colpo. Ed ecco che Crimi non si tira indietro e partecipa al collasso.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
ACQUISITO IL CONTENUTO DEI CELLULARI DELLA MOGLIE E DI ALTRI INDAGATI: “ORDINE ARRIVATO, NON SCRIVO A LUI”
C’è “il diffuso coinvolgimento di Fontana in ordine alla vicenda relativa alle mascherine e ai camici accompagnato dalla parimenti evidente volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti”.
Lo si legge nella richiesta di consegna dei cellulari ai principali protagonisti del ‘caso camici’, firmata dalla Procura di Milano, e nella quale viene riportato anche un testo del 16 febbraio in cui Andrea Dini, cognato del governatore, informa la sorella Roberta Dini, moglie del presidente lombardo, in questo modo: “Ordine camici arrivato. Ho preferito non scriverlo da Atti”. Lei risponde: “Giusto bene così”.
Le indagini.
Il Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf di Milano sta effettuando acquisizioni di contenuti, mirate e sulla base di parole ‘chiave’, dei telefoni di indagati e persone coinvolte nella vicenda con al centro la fornitura a Dama spa, società di Andrea Dini, cognato del governatore Attilio Fontana, di 75 mila camici e altri dpi anti Covid per oltre mezzo milione di euro. Tra i cellulari in questione ci sono quelli di Roberta Dini, moglie di Fontana e titolare del 10% della Dama spa, degli assessori lombardi Davide Caparini, Raffaele Cattaneo e di Giulia Martinelli, capo della segreteria del presidente della Lombardia nonchè ex compagna del leader della Lega Matteo Salvini. L’acquisizione è presso terzi, il che vuol dire che i quattro non sono indagati.
L’operazione non riguarda il telefono del presidente della Lombardia, ma dell’ex dg di Aria Filippo Bongiovanni e della dirigente della centrale di acquisti regionale (entrambi sono indagati) e si sarebbe resa necessaria alla luce delle testimonianze messe a verbale da testi sentiti nei mesi scorsi.
E poi dalle prove documentali raccolte dalle Fiamme Gialle, tra cui i messaggi e le chat scaricati dal telefono di Andrea Dini, il cognato di Fontana (anche loro due sono indagati) e titolare della Dama spa, l’azienda al centro dell’indagine per un affidamento senza gara del 16 aprile di una fornitura di 75 mila camici e altri Dpi anti Covid per oltre mezzo milione di euro. Fornitura trasformata in donazione quando è venuto a galla il conflitto di interessi e quindi mai completata.
La Gdf ha acquisito il contenuto anche dei telefonini di alcuni tra il personale dello staff di Fontana e di altri personaggi secondari. Oggi pomeriggio verrà dato l’incarico a un consulente della Procura per selezionare il contenuto in base a parole chiave, conferimento a cui possono partecipare gli indagati, i difensori ed eventuali loro esperti nominati per le operazioni.
Il materiale contenuto nei telefoni verrà , poi, selezionato con le garanzie dovute. Le acquisizioni mirate e per parole chiave dei contenuti dei telefoni di alcuni ‘protagonisti’ e indagati del cosiddetto ‘caso camici’ stanno riguardando in particolare funzionari e dirigenti della Regione e di Aria spa, la centrale acquisti regionale.
Nei mesi scorsi gli investigatori, coordinati nell’inchiesta dall’aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, avevano sequestrato il telefono di Andrea Dini, patron della Dama, società di cui la sorella di quest’ultimo e moglie di Fontana, Roberta Dini, detiene il 10%. Nell’inchiesta figurano quattro indagati.
Per frode in pubbliche forniture Fontana, oltre a Dini, Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria (entrambi accusati anche di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente) e a una funzionaria di Aria. L’inchiesta verte sul caso dell’affidamento senza gara del 16 aprile di una fornitura di 75 mila camici e altri Dpi anti Covid per oltre mezzo milione di euro.
Fornitura basata su un contratto tra Aria, la centrale acquisti regionale, e Dama. Un affidamento poi trasformato in donazione quando venne a galla il conflitto di interessi della società dei familiari del governatore e quando ‘Report’ iniziò ad interessarsi alla vicenda.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“LA COMMISSIONE NON SUPERA DUBLINO, LO RICALCA. I PRINCIPI EUROPEI NON SONO QUELLI DI ORBAN O DI QUALCHE POLITICO NOSTRANO”
Il piano della Commissione europea sull’immigrazione è “a dir poco deludente”. E’ senza appello il giudizio di Pietro Bartolo, medico dei migranti a Lampedusa, eletto al Parlamento europeo l’anno scorso.
La proposta, ci dice tra rabbia e commozione, “non supera il regolamento di Dublino, anzi di fatto lo ricalca”.
Stamane Bartolo ha esposto le sue critiche in Commissione Libertà civili al Parlamento Europeo davanti ai commissari europei Margaritis Schinas e Ylva Johansson, autori del pacchetto presentato ieri. E non è stato il solo.
Sono tanti i parlamentari delusi. Del resto, nella scorsa legislatura il Parlamento Europeo ha votato a maggioranza una riforma del regolamento di Dublino poi affossata dagli Stati membri.
“Ecco — dice Bartolo — la Commissione avrebbe dovuto adottare quella proposta e rendere obbligatoria la solidarietà dei paesi membri sui ricollocamenti: sanzioni per chi non accetta. Non lo ha fatto…”.
Dopo tanta attesa, la Commissione ha partorito un topolino?
Neanche quello ha partorito. Il piano non supera il regolamento di Dublino ma lo ricalca, tentando di mettere in pratica le parti che non sono mai state implementate per bene, come per esempio l’attenzione ai minori. In più, la proposta contiene novità che ci sono state propinate come soluzione della situazione, ma in realtà si tratta del pre-screening di chi arriva, procedura che prenderà cinque giorni di tempo, e poi le procedure di frontiera, altre 12 settimane. Il tutto sempre a carico del paese di primo ingresso e con i migranti che in tutto questo tempo aspettano nei centri. La Commissione parla di solidarietà da parte degli altri Stati membri solo nei casi in cui dovesse esserci particolare pressione nei paesi di primo approdo: ma che vuol dire? L’emergenza c’è sempre!
Due modi per dirsi solidali: ricollocamento o rimpatrio.
Esatto. Ma il ricollocamento resta rarissimo: solo nel caso in cui abbiano diritto all’asilo, quando sappiamo che il problema più grosso riguarda i migranti cosiddetti ‘economici’. Oggi in Commissione Libe ho provato a chiedere quale sia la differenza tra gli uni e gli altri: non sono forse persone che scappano perchè non hanno alternative? Nessuno mi ha saputo rispondere, perchè non c’è una risposta: sono perfettamente uguali. Quanto al rimpatrio, è la parola più usata nel piano della Commissione, è ovviamente gradito di più. Ma anche in questo caso non è semplice, perchè bisogna avere accordi con i paesi di rientro. E poi perchè deve essere volontario e non forzato e deve garantire diritti, sicurezza, l’incolumità degli interessati una volta tornati nel paese d’origine. Quindi servirebbero delle procedure di monitoraggio per capire che fine fanno poi queste persone. Di tutto questo non c’è alcunchè nel piano della Commissione.
Dunque il piano non servirà ad alleviare la pressione sui paesi di primo approdo?
Al contrario. Tutto questo si scaricherà sui paesi di primo approdo: Grecia, Cipro, Italia, Malta, Spagna dovranno sobbarcarsi quanto già impone Dublino 3 più le nuove procedure sul pre-screening e quelle di frontiera. C’è un problema di fondo…
Quale?
Ci dimentichiamo che stiamo parlando di persone. Guardi: le interviste, gli interventi, le parole sono importanti perchè servono a informare e io ci credo. Ma mentre stiamo facendo questa intervista non posso non pensare che di sicuro c’è qualcuno che sta morendo in quel mare che mi appartiene e che mi manca. Dobbiamo sempre ricordare che si gioca tutto sulla pelle di queste persone, costrette a stare in attesa in centri di accoglienza che tali non sono. Per esempio il campo distrutto dall’incendio a Lesbo non si può definire ‘centro di accoglienza’: ospitava oltre 12 mila persone, ben oltre la sua normale capienza, in condizioni disumane.
Lo chiamerebbe lager?
Un luogo lasciato in condizioni disumane si può certo definire campo di concentramento. Come quelli che ci sono in Libia: lì oltre alla condizioni disumane dal punto di vista igienico-sanitario, le persone subiscono anche violenze, stupri, sevizie, torture. Tutto questo è inaccettabile.
Ci sono cose positive nel piano von der Leyen?
Qualcosina c’è. Per esempio c’è un’attenzione particolare ai minori, ma questo era previsto già nel Dublino III. C’è il ricongiungimento familiare, già previsto ma non implementato. In questo piano il concetto viene esteso anche ai fratelli, non più solo genitori e figli. Ed è esteso anche alla famiglia che si forma durante il viaggio verso l’Europa, non solo la famiglia d’origine. Sono viaggi lunghi, è normale che si formi una famiglia. Ma stiamo parlando di briciole: non è questo il modo di risolvere l’emergenza immigrazione.
Cosa avrebbe dovuto fare la Commissione europea?
Avrebbe dovuto adottare la riforma del regolamento di Dublino passata a larga maggioranza nel Parlamento europeo nella scorsa legislatura. Prevedeva il ricollocamento automatico e obbligatorio in tutti gli Stati membri. Quando arrivano a Lampedusa o a Lesbo, queste persone sono arrivate in Europa, c’è poco da aggiungere. Il problema è europeo e deve essere l’Europa ad assumersi la responsabilità di condividere la solidarietà . Basta leggere l’articolo 80 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea: i padri fondatori dell’Europa si sono basati su principi universali come l’accoglienza, la solidarietà , il rispetto dei diritti umani. Ma non basta la volontarietà : bisogna trovare il modo per obbligare gli Stati membri a condividere le responsabilità .
Come?
Dobbiamo cercare di convincere tutti e chi non accetta, come i paesi del blocco di Visegrad, deve subire delle sanzioni. Mica può comandare Visegrad in Europa? E poi bisognerebbe fare in modo che la riforma passi in Consiglio Europeo con voto a maggioranza. Quella approvata dal Parlamento europeo si è bloccata in Consiglio perchè gli Stati membri hanno deciso che doveva essere votata all’unanimità . Ma il diritto di veto non può esistere su questi argomenti. Sono questioni che devono essere votate a maggioranza qualificata: siamo in democrazia, la maggioranza deve contare.
Il governo italiano però non alza la voce sulla nuova proposta della Commissione. Come lo spiega?
Io sono Pietro Bartolo, da 30 anni mi occupo del fenomeno immigrazione, conosco le sofferenze, le atrocità che ho visto. Loro non hanno visto niente. E poi forse io ho diritto di parlare così, mentre loro magari puntano al negoziato per cercare di ottenere dei risultati. Ma io non posso non parlare in questi termini. Se io sono qui in Europa, non è perchè sono un politico ma perchè mi sono stancato di vedere tutte quelle atrocità e ho deciso di entrare in politica perchè credo nella buona politica e nella necessità che sia l’Europa a dare risposte. Penso che la politica sia servizio: non è che quando diventi onorevole ti dimentichi del tuo mandato.
Oltre al danno, la beffa: il piano rischia comunque di non passare in Consiglio. L’ungherese Orban lo boccia, come gli altri paesi di Visegrad.
Loro sono allergici alla parola accoglienza e invece vanno d’accordo con la parola rimpatrio. Addirittura immaginano hotspot fuori dal territorio europeo. Questo non è accettabile, non fa parte della nostra cultura. I principi dei padri fondatori dell’Europa non erano quelli di Orban e nemmeno di qualche politico italiano che nemmeno voglio nominare perchè mi fa male e fa male all’Italia della democrazia, l’Italia che ha una Costituzione straordinaria, culla della cultura infettata dalla cultura dell’odio, del rancore. Il piano rischia di non passare perchè si ostineranno a votare all’unanimità , ne basta uno che non si presenta per affossarlo. Cosa facile perchè l’immigrazione in politica viene usata per scaricare colpe e distrarre dai veri problemi difficili da affrontare.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“CAMBINO NOME AI PARTITI E SI ISCRIVANO AL PPE… E SI CANDIDINO A MILANO E ROMA ALLE AMMINISTRATIVE”
“Nella destra italiana ci vuole una rivoluzione culturale che portia una radicale svolta europea e che culmini nelle candidature di Matteo Salvini a sindaco di Milano e di Giorgia Meloni a sindaco di Roma”.
La formula proviene dall’autorevolissima voce di Paolo Mieli, che a colloquio con HuffPost analizza lo stato di salute dei partiti che negli ultimi anni hanno cavalcato l’onda populista e sovranista, suggerendo una via più moderata, che accetti un’Europa post-pandemica che a conti fatti ha ormai perso la sua immagine, dal punto di vista del popolo di destra, di “matrigna col dito indice puntato sui conti pubblici degli Stati membri”, per trasformarsi in una “zattera in cui rifugiarsi” di fronte alle emergenze e al destino avverso.
L’ex direttore di Stampa e Corriere della Sera sostiene che sia necessaria una svolta coraggiosa per i leader di Lega e Fratelli d’Italia, “un po’ come fece Occhetto quando alla Bolognina cambiò nome al partito”.
Niente Stati generali, “niente chiacchiere, come la creazione di uffici politici o segreterie”, così come non funzionano le “spallate”, ma una completa sterzata verso il perimetro liberale, che valorizzi “il patrimonio elettorale ancora intatto” tutelandolo però dagli scossoni di altri eventuali cigni neri, come è stato il virus in questi mesi.
Nella lunga stagione del Covid c’è la necessità nel nostro Paese della presenza di una destra liberale, moderata ed europeista, diversa da quella populista e sovranista?
Io penso che questo anno del Covid è stato un Big Bang che cambia la storia, che la cambia in modo radicale, come Pearl Harbor, il dicembre del ’41, le Torri Gemelle. Sono quegli eventi imprevisti che cambiano la storia e nei cambiamenti l’Europa è un soggetto che cambia radicalmente, cioè da matrigna che sorveglia col dito indice alzato i conti dei Paesi che a essa aderiscono ed è diventata invece una specie di zattera — non di più, eh — dove ci si rifugia e a cui si guarda senza ostilità . Un’entità che lascia liberi i Paesi di spendere i propri soldi ed eventualmente gliene dona anche una parte.
Un cambiamento così radicale, così a U, in pratica non può essere affrontato con un’alzata di spalle…
Certo che no. A me quel che ha colpito di più, una settimana fa, è stata l’astensione della Lega sulla mozione del Parlamento europeo contro Lukashenko. Che senso ha, ce lo hanno mai spiegato i leghisti, spingersi in putinismo fino a quel punto?
Però anche Berlusconi era amico di Putin.
Molto più amico di quanto lo sia Salvini, eppure la sua politica filo-occidentale è stata sempre a prova di bomba. Nessuna Cancelleria europea si è mai posta dubbi su questo, casomai si sono posti altri dubbi su Berlusconi, ma non quello che non fosse occidentale. Invece sull’atteggiamento di Salvini se lo pongono tutti e fa piacere che oggi anche Giorgetti lo abbia rimproverato pubblicamente. È una questione che può apparire marginale ma non lo è.
Sotto il profilo elettorale, la destra in che situazione è?
La destra italiana non è stata sgominata, è stata sconfitta una certa baldanza, sia di Salvini che di Meloni. Di Berlusconi non parlo perchè è ridotto ai minimi termini.
Ci dica qualcosa di più dei leader di Lega e Fratelli d’Italia.
Salvini e Meloni è la seconda o terza volta che si avviano a elezioni complicate con il grande mito della spallata elettorale. Ora, le spallate si danno alle elezioni politiche, cercare di darle in una Provincia, in un Comune, in una Regione o anche alle elezioni europee sono spallate che vanno interpretate.
Infatti Salvini pensò di averla data con le elezioni europee del 2019, poi si è visto cosa è accaduto.
Io non do consigli, faccio semplicemente analisi, però mi sembra evidente che il mito della spallata è da mettere in soffitta, la riorganizzazione del centrodestra deve essere secondo me più compatibile con il cambio dei tempi.
Più precisamente di cosa si tratterebbe?
Devono fare una rivoluzione importantissima sul terreno della politica internazionale e definirsi con un partito che chieda l’iscrizione al Partito popolare europeo. Insomma, mettersi nel solco dei partiti moderati e conservatori europei e rinunciare…
E l’idea di fare la segreteria nella Lega, di delegare come nei partiti vecchia maniera non è un primo passo?
Si perderanno — poveretti — in mille chiacchiere e si infileranno in cose che non sono mai servite a niente. Non conosco nella storia dell’umanità un ufficio politico, un ufficio di segreteria, un gabinetto di regia che abbia mai cambiato qualcosa. Ha solo rintontito i leader e li ha abituati ad andare per la strada sbagliata. Meno chiacchiere, più letture e l’autoconvincersi che bisogna fare una rivoluzione, proprio perchè hanno un patrimonio elettorale quasi intatto, non hanno perso e non sono stati sconfitti.
Siccome dicono che l’appuntamento decisivo è quello delle elezioni comunali dell’anno prossimo, quale potrebbe essere la mossa più intelligente dei due leader di destra?
Salvini e Meloni dovrebbero candidarsi rispettivamente a sindaco di Milano e sindaco di Roma. Lo facciano fin da subito dentro un contesto di rivoluzione culturale e poi coglieranno i risultati.
Vista così sembra una vera e propria traversata nel deserto a rischio di logoramento di nervi.
Io ricordo che in Francia Jacques Chirac è stato sindaco di Parigi dal ’77 al ’95, quasi vent’anni, e Nicolas Sà¡rkà¶zy è stato sindaco di Neuilly-sur-Seine dal 1983 al 2002. Fare un grande bagno in due città importanti come Milano e Roma significa ovviamente che prima devono fare una rivoluzione culturale, ma questo percorso li può portare da qualche parte, sennò inseguire i miti che hanno inseguito quest’anno, che furono i miti dell’estate del 2019, non servirà a niente. La politica è una cosa complessa, ha i suoi tempi e come acciuffi un’occasione di vittoria allo stesso modo la perdi.
Forse lo dimostra anche l’esperienza di Matteo Renzi, che però il sindaco l’ha fatto.
Lui dimostra che l’accelerazione dei tempi, l’idea della modernità , della velocità che tu acchiappi a quarant’anni l’occasione della tua vita e poi rimani nei successivi quaranta alla guida di uno Stato, secondo me è un’idea sciocca, superficiale e che produce tossicità . Salvini e Meloni devono cimentarsi in una prova concreta che li riguardi in prima persona.
Tuttavia facendo il sindaco un politico non gode delle stesse ‘tutele’, se così si può dire, rispetto a inchieste giudiziarie, di ministri e vicepremier. Non è schermato rispetto a quella che alcuni definiscono giustizia a orologeria.
Capirai che protezioni e tutele, Salvini va a processo il 3 ottobre…
Però facendo il sindaco, soprattutto di Roma, l’esposizione ad attacchi di quel tipo è quasi certo, stando alla cronaca degli ultimi lustri.
I rischi ci sono, ma vanno corsi, inoltre dagli ultimi venticinque anni non c’è una condizione che ti protegga da quel genere di rischi. A Salvini gli capita una clamorosa ingiustizia che viene trascinato a processo senza che il capo del governo a nome del quale si muoveva nelle scelte che ha fatto sia neanche lambito dalle stesse accuse. Anche se rimane segretario della Lega rischia, non è che sta più al riparo. Anche i deputati rischiano in questo Parlamento impazzito in cui nessuno di loro ha corrispondenza con il contesto in cui è stato eletto e quindi nessuno di loro ha garanzie.
Come ci si difende da quei rischi?
Ti difendi meglio se stai facendo una cosa concreta più che abbaiare alla luna, ma viene prima il cambiamento di cui parla Giorgetti. È triste vedere i loro presidenti delle Regioni che dicono Sì al Mes e vedere loro che spalleggiano l’ala più dura dei 5 stelle. Quelle erano idee che erano nate prima del Covid e che ora meriterebbero di essere riviste.
Non è un fatto di coerenza mantenere il punto su quelle idee populiste e sovraniste?
Questa non è coerenza. Se c’è la Seconda guerra mondiale e l’Europa cambia fra il 1939 e il 1945, uno che nel 1945 si riaffacciasse con le stesse convinzioni che aveva nel ’39 non sarebbe coerente ma solo stupido.
Quindi dalla tattica la destra deve passare a una nuova ampia strategia di centrodestra, che tenga dentro tutto il corpo elettorale, dai post socialisti ai cattolici adulti, per dirla con un espediente letterario, fino ai pentiti del Papeete.
Certo. La destra dovrebbe riunirsi, eliminando i personaggi che sono i più connotati da quelle politiche anti-europee e cambiare radicalmente l’atteggiamento nei confronti dell’Europa. Rompere le alleanze con i partiti anti-europeisti che ci sono in Europa e diventare una destra moderna e accettabile. Lo spazio c’è, lo devono fare adesso che hanno ancora il patrimonio prima di averlo dissipato, perchè la via su cui si sono incamminati è una via di dissipazione. Forse tra un anno non lo potranno più fare.
Sulla strada più moderata c’è più Salvini o più Meloni?
Guardando i numeri, Salvini, è a lui che tocca. La Meloni in alcune sfumature sembra più cauta e Salvini più radicale, ma al momento l’idea di un centrodestra guidato da altri che non siano Salvini non ci credo.
Il clima perchè avvenga quale deve essere?
Quello da unità nazionale. Questa legislatura potrebbe saltare per aria per un incidente, anzi, penso che sia probabile che di qui alla primavera prossima salti per aria per un imprevisto, un incidente.
Qualcosa di oltre le beghe politiche, un cigno nero alla Covid?
Esatto. Sicuramente non cadrà per una spallata del centrodestra, ma ritengo probabile un accidente, uno di quelli che cambiano la storia. Non do valore al mio senso delle probabilità , ma sono certo che l’attività della destra per come è impostata adesso non può far cadere il governo.
Viaggiamo ancora con l’epidemia in corso, con l’economia che ne risente. In questo contesto, come lei sottolinea, la destra non può avere lo stesso atteggiamento di prima.
L’elettorato è stato fin troppo generoso, alla lunga se la destra non cambia si genererà sconcerto ad esempio per un partito, la Lega, che si presenta come il partito dell’avventura. E quando il mondo è in emergenza, nessuno si fa affascinare in maniera definitiva dall’avventura.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
LA STORIA RACCONTA BEN ALTRO
Tutto è partito da un voto in Parlamento: la Camera dei deputati, nella giornata di mercoledì 23 settembre, ha ratificato la cosiddetta Convenzione di Faro — firmata, in prima istanza, dall’Italia nel lontano 2013.
Si tratta di un trattato che ha riflessi sulla cultura e sul patrimonio culturale di tutti i Paesi che hanno aderito ed è stato approvato con 237 voti a favore, 119 contrari e 57 astenuti (insomma, la seduta di Montecitorio sembrava ‘patire’ già gli effetti del taglio dei Parlamentari).
E da questa mattina si sono sollevate le polemiche per le statue coperte. Cerchiamo di capire il perchè, ma anche di comprendere i motivi per cui si tratta di proteste spot, visti i precedenti scritti nella storia del nostro Paese.
All’interno della Convenzione di Faro, infatti, c’è anche un capitolo che si sofferma sul tema del patrimonio artistico culturale condiviso.
In poche parole: chi aderisce a questo documento, deve verificare che le opere d’arte presenti sul proprio territorio non offendano le altre culture. E il mirino è stato puntato immediatamente sulla cultura islamica, dove il nudo è considerato come offensivo. E da qui le polemiche per le statue coperte sollevate dal mondo cattolico e sovranista. Come si evince dal tweet di Giorgia Meloni.
Una polemica che riporta alla mente quanto avvenne nel 2016 quando, in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani, le statue coperte ai Musei capitolini innescarono tantissime polemiche.
L’anno prima, però, nessuno disse nulla quando a Torino, in occasione della visita di Papa Francesco, vennero censurati i manifesti pubblicitari per sponsorizzare la mostra dell’artista Tamara De Lempicka.
Era l’estate del 2015 (cinque anni fa) e quell’esposizione si è tenuta a Palazzo Chiablese, non distante dal Duomo del capoluogo piemontese.
I casi storici di cui nessuno parla
Insomma, lì i catto-sovranisti non si pronunciarono. Ma se questo non basta, facciamo un salto nella storia.
Torniamo, per esempio, al Sacro Romano Impero. Ci troviamo all’inizio del primo Millennio e i Cristiani, all’epoca, perseguitavano e censuravano i pagani. E non solo nelle loro libertà spirituali, ma anche nella loro identità culturale: come? Oscurando e coprendo le loro statue e i loro simboli. Ed era una pratica ripetuta anche nel Rinascimento.
O ci si indigna sempre o non ci si indigna mai
(da “Giornalettismo)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“ORA DAI LA COLPA ALLA MIA CANDIDATURA MA SE LA LEGA NON AVESSE AVUTO UN CROLLO DI CONSENSI IN PUGLIA AVREMMO BATTUTO EMILIANO”
A poche ore dal risultato elettorale negativo (e probabilmente con qualche voto mancante proprio dalla Lega), Raffaele Fitto era rimasto sul vago, dicendo di non credere a un abbandono nelle urne da parte dei salviniani e comunque ringraziando Matteo Salvini per l’impegno profuso.
Ma evidentemente le dichiarazioni del leader leghista rilasciate sulle Regionali pugliesi, con cui di fatto scaricava l’ormai ex candidato governatore del centrodestra (“Fitto non ha scaldato i cuori”, “La Lega aveva chiesto discontinuità “) non devono essere andate giù al diretto interessato.
Che con un lungo post su Facebook ha deciso di togliersi più di un sassolino, dopo una campagna elettorale anomala in cui raramente Fitto e Salvini hanno condiviso il palco.
“Caro Salvini, da tre giorni in ogni dichiarazione parli di me! Mi verrebbe da dire “meglio mai che tardi”. – comincia l’eurodeputato di Fratelli d’Italia -. Mi sembra quantomeno ingeneroso puntare il dito sulla mia persona invece di fare un’analisi seria ed approfondita di quanto accaduto”.
Diversi i punti messi in luce: la perdita di 16 punti percentuali da parte della Lega in Puglia rispetto alle Europee del 2019 (“il doppio di quelli che sarebbero stati sufficienti per vincere! Tutti gli altri partiti della coalizione, invece, hanno tenuto molto bene o sono cresciuti”); la quasi totale assenza di citazione del nome di Fitto nei comizi di Salvini; le (evidentemente imbarazzanti) domande ricevute “almeno una volta al giorno”, come “perchè Salvini non la cita e non la invita mai alle manifestazioni della Lega?”; la delegittimazione della candidatura da parte dei dirigenti leghisti “senza mai proporre una opzione migliore, legittimata dal consenso” (la Lega aveva indicato nel presidente Invimit ed ex super fittiano Nuccio Altieri il candidato governatore, prima di convergere proprio su Fitto).
“Mi hai giudicato “il passato”: ma sei proprio convinto che il tuo gruppo dirigente pugliese rappresenti il nuovo? – continua l’ex governatore pugliese – Ho combattuto lealmente, confrontandomi sempre con il consenso. Ti ricordo che solo un anno fa, in occasione delle elezioni Europee, sono stato il più votato in Puglia”. Le stesse Europee da cui la Lega in Puglia, secondo un’analisi dell’istituto Swg, avrebbe perso il 25 cento dei propri voti nei confronti di altre liste di centrodestra e addirittura il 32 per cento in astensione. “Per cui, caro Salvini, chiudiamola qui e andiamo avanti perchè c’è tanto da lavorare, in Puglia e nel Paese. Io spero uniti – chiude Fitto – anche se la differenza di reazione e valutazione di Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi mi fa pensare”.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
INDAGINI DELLA PROCURA DI GENOVA SUI 49 MILIONI: NEL MIRINO UNA DONAZIONE DA PARTE DI UNA DELLE LEGHE REGIONALI CREATE AD HOC
La caccia ai 49 milioni della Lega, i soldi frutto della truffa sui rimborsi elettorali, è sbarcata in Emilia. I militari della Guardia di Finanza di Genova, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal pubblico ministero Paola Calleri, hanno perquisito oggi la sede del comune di Bondeno, nel ferrarese.
Secondo gli inquirenti il municipio avrebbe ricevuto, da parte di una lega regionale costituita dal Carroccio, fondi provenienti dal conto nella banca Aletti nella disponibilità dell’ex segretario leghista Francesco Belsito, condannato proprio per la truffa sui 49 milioni insieme all’ex leader Umberto Bossi (per i due è poi scattata la prescrizione in Cassazione).
I militari hanno preso materiale documentale e informatico negli uffici del Comune da tempo amministrato da esponenti della Lega.
(da agenzie)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
“IL CASO SUAREZ E’ UNA VERGOGNA PER UN PAESE CIVILE”
Il caso del test “truccato” per facilitare il trasferimento del calciatore uruguaiano Luis Suarez ha messo il dito in una piaga che riguarda decine di migliaia di bambini e ragazzi nati e cresciuti nel nostro Paese, ma che non hanno diritto alla cittadinanza a causa di una legge, lo ius sanguinis, che la riconosce solo a chi ha un genitore italiano.
«Noi sentiamo sempre dire dalla politica che le urgenze sono altre e non si può pensare a quasi due milioni di ragazzi — racconta Paolo Barros, 31enne presidente dell’associazione Neri Italiani -. Ma andiamo a vedere che poi per chi ha i borsoni pieni come Suarez, la cittadinanza si ottiene in quindici giorni. È una vergogna per un Paese civile come l’Italia».
Si tratta di una situazione che lei ha vissuto anche sulla sua pelle?
«Sono nato a Roma da madre capoverdiana. Ho avuto la cittadinanza a 18 anni. A 15 anni avevo la possibilità di giocare nella nazionale di basket, ma non è stato possibile perchè ero straniero. Ho comunque continuato a giocare, ma se fossi arrivato in nazionale all’epoca avrei di sicuro fatto altre esperienze. E poi ho tantissimi amici e colleghi, nati come me in Italia, e alcuni di loro non hanno nemmeno il permesso di soggiorno: sono stranieri a casa loro».
Come è cambiata la sua vita dopo che ha ottenuto la cittadinanza?
«Con la cittadinanza ho soprattutto potuto fare il mio percorso nelle istituzioni. Mi sono candidato nel 2015 con il Movimento 5 Stelle e sono stato eletto a Roma come consigliere, anche se attualmente sono nel gruppo Misto. All’epoca aveva deciso che dovevo “rappresentarmi da solo”, in quanto persona giovane e nera. Ma sono rimasto deluso e sono uscito soprattutto per i decreti sicurezza, l’alleanza con la Lega e poi lo stadio della Roma…»
Perchè secondo lei la legge di cittadinanza non è mai stata riformata?
«Credo che ci sia molta paura. Ora Salvini sta scendendo nei sondaggi, ma prima era visto come un tema “scomodo”. I 5 Stelle sono molto in difficoltà , ma si tratta di una battaglia che è sempre stata del Partito democratico ed è ora che la rivendici. Suarez è un milionario, mentre per un ragazzo nato qui che si trova in un contesto difficile, la cittadinanza può veramente cambiare la vita».
Per questo motivo ha fondato l’associazione?
«Sì, nasce nel 2016 per affrontare i temi della cittadinanza e del razzismo. Nell’associazione abbiamo ragazzi di tante parti del mondo, dal Sud America alla Cina. Ma ci chiamiamo Black Italians perchè le generazioni precedenti in Italia che emigravano in America venivano chiamati “neri d’Europa”. In alcuni negozi era vietato l’ingresso ai cani, agli irlandesi, ai neri e agli italiani».
Oggi Conte ha fatto un’apertura sullo Ius Soli. Il momento sembra esser propizio.
«Sì, dobbiamo usare questo caso per riportare l’attenzione sul tema. Noi come associazione chiediamo la modifica dei decreti sicurezza e poi vogliamo finalmente una riforma del diritto della cittadinanza, che sia giusta, civile e in linea con gli altri paesi europei. L’Italia è uno dei pochi dove esiste lo ius sanguinis. Io mi batto per un’alternativa, che sia lo ius soli o lo ius culturae che in questo momento è la cosa più vicina e fattibile».
(da Open)
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Settembre 24th, 2020 Riccardo Fucile
COME FUNZIONA LA SANITA’ NEL PAESE MITO DEI SOVRANISTI: FINISCI IN MANICOMIO O SEDATO COME UN VEGETALE
Ecco la testimonianza di Angelika A., giovane signora russa che vive da anni nel mantovano, ma ha dovuto affrontare la malattia di sua madre, tutt’ora residente nel suo Paese natale.
Un nemico, l’Alzheimer, pandemico e trasversale, che colpisce ovunque e chiunque: il numero di malati nel mondo, con ogni probabilità sottostimato, si avvia a raggiungere i 50 milioni (oltre un milione e duecentomila dei quali sono in Italia).
Ma la gestione delle demenze cambia molto da Paese a Paese.
L’Italia è uno di quelli più avanzati sul piano della ricerca, ma più indietro quanto a spesa pubblica. Manca ancora, per dire, un piano nazionale finanziato. Tuttavia la straordinaria rete dei curacari, e l’alto livello della geriatria, ci consentono ancora di gestire l’emergenza anziani, così importante per un Paese fra i più vecchi del pianeta. Nel giorno della ventisettesima Giornata Mondiale, è bene focalizzare l’attenzione anche su tutti quei Paesi dove ammalarsi può essere l’inizio di un vero calvario: la Russia, ad esempio.
“La mia storia è iniziata circa due anni e mezzo fa — racconta a TPI con la sua voce tranquilla e delicata Angelika — e faccio subito una premessa. Una cosa sono Mosca e San Pietroburgo, un’altra è il resto della Russia. Dopo due anni mia madre, ufficialmente, non ha ancora una diagnosi ufficiale di Alzheimer, nè un medico che la segua. Quando ha cominciato ad avere problemi a riconoscere le persone e altri sintomi, io sono subito tornata in Russia e ho cominciato a consultare vari medici a mie spese. Prima di tutto sono stata indirizzata presso un neurologo, il quale mi ha mandato a sua volta da una psichiatra, che mi ha detto: ‘È una grande responsabilità per un medico scrivere su una cartella clinica che una persona è affetta da demenza, perchè questo segnerà la sua vita per sempre. La cosa migliore da fare è ricoverare sua madre in un ospedale’”.
“Lì — prosegue Angelika — si sarebbero occupati di seguire mia madre anche durante tutto il percorso necessario ad ottenere l’invalidità . Questa dottoressa era così sicura che avrei accettato, che aveva già chiamato l’ambulanza. Mia madre infatti abita in provincia, dove non ci sono ospedali, e bisognava fare una cinquantina di chilometri. Per ricoverarla mancava solo la mia firma. Ma all’ultimo momento non me la sono sentita. Ho pensato cosa avrebbe fatto mia madre per me, se ad essere malata fossi stata io, e mi sono detta: ‘Mamma avrebbe fatto l’impossibile, ed è quello che voglio fare anche io’. Così ho risposto no. ‘Lei si sta prendendo una grande responsabilità , signora!’, mi ha rimproverato la dottoressa, con severità . Allora io l’ho guardata negli occhi e le ho domandato: ‘Ma lei, se sua madre avesse l’Alzheimer, la manderebbe a curarsi in un manicomio?’. E’ rimasta in silenzio. Un silenzio che voleva dire una sola cosa: no”.
“A quel punto ho cominciato un percorso di diagnosi e di cura diverso — aggiunge la signora russa — completamente a spese mie. Per farlo attraverso l’assistenza, sarebbe stato indispensabile avere già una cartella medica che dica che hai l’Alzheimer, altrimenti gratis non ricevi neanche un’aspirina. Siamo andate a fare tutti gli esami necessari e altri consulti, finchè una neurologa, quando il quadro clinico è diventato definitivo, mi ha detto: ‘Mi viene da piangere a pensare a quello che vi aspetta, perchè i malati di Alzheimer non li vuole nessuno!’.
Ed era vero. In Russia non ci sono strutture ospedaliere preparate ad accoglierli e ci sono pochissimi geriatri, perchè la Russia è un Paese molto più giovane, ad esempio, dell’Italia. Non ci sono nemmeno case di riposo in grado gestire anziani con questo tipo di malattie. L’unica scelta possibile, in pratica, è quella del ricovero in un ospedale psichiatrico pubblico. Allora mi sono rivolta a una clinica privata a Mosca, dove mi hanno detto che avrei dovuto portare mia madre là per tre settimane, e che loro avrebbero ‘risolto il problema’. Ma, quando ho chiesto in che modo, la risposta è stata agghiacciante: ‘Non si preoccupi, gliela riconsegneremo con una cura che la terrà sempre tranquilla…’. Allora non ci ho visto più dalla rabbia. In pratica volevano trasformarla in un vegetale! Tra l’altro il costo di quella clinica è l’equivalente di circa 100 euro al giorno, e la pensione media in Russia è di circa 250 euro al mese, quindi un anziano da solo potrebbe pagarsi una degenza di due giorni e mezzo al mese…”.
“Allora — conclude Angelika — mi sono ricordata dell’Italia, dove è tutto molto diverso. Compresa l’età media delle persone. Mia madre, ad esempio, è del 1942, che è la stessa età di una persona che lavora ancora insieme a me, che è andata a casa solo per il Covid. Le cose che mi dicevano in Russia mi sembravano un incubo, e mi chiedevo: perchè in Italia ci si prodiga tanto per gli anziani? Perchè il sistema dei curacari è così sviluppato e li si tiene spesso in casa, mentre in Russia mi propongono soltanto ‘il manicomio’ e la sedazione estrema? In Russia, se decidi che vuoi prenderti la responsabilità di tenere in casa un malato, vieni abbandonato. È quasi una punizione. Se invece accetti l’aiuto dello Stato, devi affidarlo a loro senza alcuna garanzia su quello che verrà fatto al malato. La diagnosi definitiva a mia madre l’hanno fatta qui in Italia e, dopo due anni di malattia, le sue condizioni fisiche sono ancora buone. Riesce a condurre un’esistenza relativamente autonoma, va a fare passeggiate, si veste da sola. È viva, non è immobile e sedata in un letto. E questa per me è la gioia più grande!”.
E tutto questo ci conferma quanta verità ci sia nelle parole di una celeberrima canzone: “La Storia siamo noi”. E solo noi possiamo cambiarla. Proprio come, con il suo coraggio ed il suo amore, sola contro tutti, ha fatto Angelika.
(da TPI)
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