Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
VICENDA SIMILE A UNA PRECEDENTE PER CUI E’ STATO CONDANNATO A UN ANNO: ANCHE IN QUESTO CASO ERA LEGATO “DA UNA RELAZIONE AFFETTIVA” ALLA BENEFICIARIA
In attesa della Cassazione dopo la condanna ad un anno in appello nel procedimento per presunte pressioni per favorire, una sua ex collaboratrice, l’ex presidente leghista della Lombardia Roberto Maroni dovrà affrontare un altro processo a Milano.
Su richiesta del pubblico ministero, Giovanni Polizzi, il giudice per l’udienza preliminare, Sara Cipolla, lo ha rinviato a giudizio assieme ad un altro imputato per il caso di un contratto di cui ha beneficiato l’architetto Giulia Capel Badino in Ilspa (Infrastrutture lombarde spa). La prima udienza del processo inizierà il 2 dicembre alla IV sezione penale.
Maroni è stato rinviato a giudizio con le accuse di induzione indebita e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente per una vicenda molto simile a quella con al centro il lavoro che la sua ex collaboratrice al ministero dell’Interno Mara Carluccio aveva ottenuto in Eupolis, ente regionale.
Secondo l’imputazione Maroni, “abusando della sua qualità di vertice dell’ente regionale nonchè dei suoi poteri”, avrebbe fatto pressioni sull’allora dg di Ilspa Guido Bonomelli, “affinchè conferisse un incarico pubblico all’architetto”.
Per la Procura “Maroni, legato a Capel Badino da una relazione affettiva, induceva Bonomelli a conferire l’incarico a Capel Badino, individuando l’esigenza di un supporto tecnico specialistico” nel progetto della Città della Salute.
Oggi è stato rinviato a giudizio anche Bonomelli, che risponde delle due accuse contestate a Maroni e anche di falso. La posizione di Capel Badino (che era indagata per false dichiarazioni al pm) era stata, invece, già stralciata dai pm
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
GLI E’ STATA SOTTRATTA LA GIACCA CON TANTO DI FASCIA TRICOLORE
Un furto con destrezza, alle spalle delle telecamere. È accaduto nel primo pomeriggio, poco dopo le 12, davanti al palazzo comunale di Ventimiglia.
La vittima è il sindaco della città ligure al confine con la Francia, Gaetano Scullino, che si era fermato lì per intervenire durante una trasmissione televisiva in diretta.
E in quei momenti, mentre il primo cittadino era intento a rispondere alle domande della giornalista di Primocanale, qualcuno è riuscito a sottrarre la sua giacca dalla panchina sulla quale l’aveva poggiata. E in tasca aveva la fascia tricolore.
Erano passate da poco le 12 e Gaetano Scullino stava rispondendo alle domande della giornalista di Primocanale — nota televisione ligure — sulle nuove misure per contenere l’aumento di contagi. In particolare si stava parlando di sicurezza e della nuova disposizione sull’utilizzo della mascherina all’aperto e non solo entrando nei luoghi chiusi aperti al pubblico.
Un attimo di disattenzione per rispondere alle domande, ed ecco il sindaco di Ventimiglia derubato della sua giacca.
Facendo una battuta, Gaetano Scullino ha detto che avrebbe messo in conto il costo del suo soprabito all’emittente locale. In realtà , però, non se l’è presa tanto per il furto di quella giacca, ma per la fascia tricolore che aveva in tasca.
Immediatamente dopo il collegamento televisivo, il sindaco di Ventimiglia derubato ha sporto denuncia alle forze dell’ordine. Inizialmente, infatti, qualcuno ha pensato che fosse stato rimosso dalla panchina e consegnato a qualche agente della polizia locale come oggetto smarrito.
Ma questa ipotesi è stata immediatamente scartata dato che nessun soprabito è stato portato nelle stazioni locali.
(da agenzie)
argomento: Costume | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
OSTAGGI DI UN SIGNORE DELLA GUERRA CHE PELIBERARLI CHIEDE UNO SCAMBIO CON QUATTRO TRAFFICANTI DI ESSERE UMANI
Stanno marcendo nelle prigioni di Haftar. Dimenticati da Palazzo Chigi e dalla Farnesina.
Ostaggi di un signore della guerra che per liberarli chiede uno scambio con quattro trafficanti di esseri umani spacciati per “calciatori”.
Secondo quanto riportato dal generale Mohamed al Wershafani dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) all’agenzia Nova, i pescatori verranno processati da un tribunale militare di Bengasi nel mese di ottobre.
Al Wershafani ha precisato che l’accusa è di ingresso e pesca in acque libiche senza previa autorizzazione.
Nei giorni scorsi sono comparse su alcune testate online libiche foto di panetti di droga rinvenuti, secondo questi ultimi, sui pescherecci italiani Antartide e Medinea. Cosa questa definita inventata dagli armatori e dai familiari dei marittimi. Infatti non figura, per ora, l’accusa relativa al sospetto traffico di sostanze stupefacenti.
Ostaggi
La scorsa settimana, fonti della Procura di Bengasi avevano riferito sempre ad Agenzia Nova che i pescatori italiani fermati dalle autorità dell’est della Libia si trovavano ancora “agli arresti domiciliari e non sono stati trasferiti in carcere, in attesa della formulazione dei capi di accusa e la definizione del procedimento penale”.
«Lo sapevate che 18 pescatori di Mazara del Vallo sono tenuti in ostaggio da oltre 27 giorni? Sapevatelo e dicetelo al governo. #Pescatoriliberi». Lo scrivono su Twitter Ficarra e Picone
“Ci siamo resi conto che con quel pezzo di Libia hanno rapporti solo Turchia e Francia. E quindi abbiamo pensato che forse è meglio rivolgerci a Macron, anzichè a Conte.”, è l’amara considerazione dice Leonardo Gancitano, l’armatore dell’Antartide, una delle due motopesca sequestrate dai libici.
“Nessuno di noi è estraneo, siamo fratelli anche se non di sangue — rilancia il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero – importante è che i pescatori sentano che qui c’è una città , che c’è una chiesa che sta sposando pienamente la loro causa, siamo con loro, con la nostra presenza silenziosa, raccolta, vogliamo che questa trattativa che è complessa e difficile vada presto a buon fine”.
Trattativa “segreta”
Un tweet del Libyan Addres Journal conferma ciò che da giorni si dice a Mazara del Vallo, a proposito della vicenda del sequestro in Libia di 18 pescatori, Il tweet rende ufficiale ciò che anche le autorità italiane ritenevano ufficioso e qualcuno anche infondato: l’esistenza di una trattativa dietro quella ufficiale, rimasta ferma però al palo.
I miliziani di Haftar hanno ribadito infatti alla testata giornalistica libico che i pescatori “ (da quattro settimane a Bengasi) saranno liberati, se prima non vi sarà da parte dell’Italia il rilascio di quattro «calciatori» libici oggi in carcere in Italia.
Uno scambio di prigionieri insomma. E la trattativa nascosta è diventata così quella ufficiale. I libici indicati come “calciatori” sono in realtà quattro scafisti, condannati a Catania a 30 anni per traffico di esseri umani e per la morte in mare di 49 migranti, fatto risalente all’estate 2015.
Una richiesta che mette a pari la storia di 18 persone che erano in mare per lavoro e quella di 4 soggetti che in mare andavano per guadagnare sulla pelle di 49 migranti, tutti morti affogati davanti alla costa orientale siciliana.
Sottolinea il procuratore della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro: “Altro che giovani calciatori. Non furono condannati solo perchè al comando dell’imbarcazione, ma anche per omicidio. Avendo causato la morte di quanti trasportavano, 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietata. Sprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”.
Per questo il procuratore Zuccaro considera l’eventualità di «uno scambio di ostaggi» una enormità giuridica:” Non penso che verremo interpellati, ma da operatori del diritto saremmo assolutamente contrari. Sarebbe una cosa ripugnante”.
Acque contese
Scrive Alberto Puglia, in un documentato report su Vita: “Un mare dove nessuno deve vedere, scomodo, in cui ciò che è lecito viene stabilito di volta in volta, senza testimoni. Un mare dove se cali la tua rete da pesca devi stare attento perchè puoi essere sequestrato, minacciato con le armi e magari rinchiuso in uno dei tanti lager dove ogni giorno centinaia e centinaia di uomini, donne e bambini vengono torturati. No, questo non è un mare lontano. à‰ il nostro mare, il Mediterraneo Ma cos’è accaduto da quando uno stato diviso in più fazioni e in guerra come la Libia ha istituito la sua zona Sar che per i non addetti ai lavori significa letteralmente “ricerca e soccorso in mare”? E cosa c’entra il Golfo di Sirte?
Beatrice Gornati, dottore di ricerca in diritto internazionale all’Università degli studi di Milano esperta in traffico di migranti nel Mediterraneo spiega: ‘Bisogna tenere presente che nel 1973 la Libia dichiarò che il Golfo di Sirte fosse parte delle sue acque interne: il Golfo fu annesso attraverso una linea di circa 300 miglia, lungo il 32°30’ parallelo di latitudine nord. Tuttavia, tale rivendicazione fu respinta da un gran numero di Stati, inclusi i principali membri dell’Unione europea (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito). A seguito di questo episodio, nel febbraio 2005, la Libia stabilì inoltre, tramite una decisione del Libyan General People’s Committee, una zona di protezione della pesca, nel rispetto della General People’s Committee Decision No. 37 del 2005. Anche in questo caso, la delimitazione stabilita dalla Libia incontrò le proteste di diversi Stati e della Presidenza dell’Unione europea: considerando infatti che la Libia aveva rivendicato il Golfo di Sirte quale parte delle sue acque interne, le 62 miglia di zona di pesca da essa reclamate sarebbero state contate a partire dalle 12 miglia dalla linea di chiusura del golfo.
Peraltro, nel 2009, la Libia dichiarò una ZEE (zona economica esclusiva) ‘adjacent to and extending as far beyond its territorial waters as permitted under international law’ ,il cui limite esterno, ad oggi, non è ancora stato tracciato. il 28 giugno 2018 l’Imo (Organizzazione Marittima internazionale) ufficializza quello che in passato appariva come un’utopia e registra su comunicazione delle autorità libiche la zona Sar (Search and Rescue) libica con un proprio centro di coordinamento di soccorsi (JRCC).
Registrandosi sul sito è possibile consultare alcuni dati, visionare la mappa e conoscere altitudine e longitudine dell’area in questione. Muniti di carta nautica, abbiamo calcolato queste distanze.
Dalla costa di Tripoli alla linea rossa di confine le miglia sono circa 116,25. à‰ chiaro quindi perchè i pescatori siciliani hanno tutto il diritto di dire oggi che da un anno a questa parte i libici ‘si sono presi mezzo Mar Mediterraneo’.
Il capitano Raimondo Sudano (uno dei rappresentanti dei marinai di Mazara del Vallo, ndr) aggiunge: ‘E questo avviene anche grazie all’Italia che dà alla guardia costiera libica i mezzi di sostentamento per fare la Guerra a noi italiani che andiamo a lavorare onestamente. I libici si sono ora fatti anche furbi, oltre che con le motovedette vengono a fare gli abbordaggi in mare con le barche da pesca e subito dopo arrivano i loro gommoni e non hai neanche il tempo di chiamare le autorità italiane che vieni sequestrato con tutto il pescato e trattato come un terrorista”.
“La paura di tornare in mare è tanta – rimarca ancora Puglia -e si sovrappone a quel senso di abbandono da parte dello Stato che non tutela i suoi pescatori. Scrive l’esperto Fabio Caffio che, pur ricordando l’impegno passato della nostra Marina nello Stretto di Sicilia e nell’Adriatico dall’aggressività jugoslava, rimarca: ‘Diverso invece l’impegno della Marina nella zona di acque internazionali ove ricade la ZPP libica: non risulta infatti che la Forza Armata abbia ricevuto alcuna direttiva di proteggere da vicino ed in modo continuativo l’attività di pesca dei connazionali contrastando la pretesa libica” E’ trascorso più di un anno. E quel titolo è drammaticamente attuale. E ciò che rende ancora più intollerabile la situazione, è che i libici “si sono presi il Mediterraneo” anche grazie ai finanziamenti italiani alla cosiddetta Guardia costiera libica e al fatto che, per “paura” di dover salvare migranti, le navi della nostra Marina militare non possono avventurarsi in mare aperto. Quel mare che da tempo non è più “nostrum”.
(da Globalist)
argomento: denuncia | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
SI TRATTA DELL’ESTENSIONE DELL’AMMORTIZZATORE SOCIALE AD ALTRE TRE MILIONI DI PERSONE, CON L’IDEA DI UN BONUS PER GLI AUTONOMI
L’impronta politica è nel termine che sarà utilizzato per definire la nuova cassa integrazione: universale. Dove per universale si intende che tutti potranno averla.
Un principio che il virus ha imposto durante l’emergenza e infatti il Governo ha dato vita alla cosiddetta cassa Covid, una forma di sostegno generalizzata e senza paletti. Ma poi questo stesso principio è stato ammorbidito per il rischio che la cassa Covid diventasse per le aziende un alibi per non riaprire e per tenere i lavoratori a casa.
Ora però bisogna pensare alla fase 2, cioè all’ordinario. Ed ecco che il principio dell’universalità ricompare. Anzi si vuole far diventare strutturale.
Huffpost è in grado di anticipare il lavoro che una commissione di esperti, nominata dal Governo, sta portando avanti al ministero del Lavoro per mettere nero su bianco la riforma della cassa integrazione.
La nuova cassa integrazione tirerà dentro 3 milioni di lavoratori oggi esclusi, dal negoziante al piccolo ristorante con due dipendenti.
Sarà un ammortizzatore universale, come si diceva, ma non unico. La cassa altro non è che un’assicurazione pagata dalle aziende e dai lavoratori in base al rischio di ridurre o sospendere l’attività lavorativa.
Esistono decine di gestioni diverse, dove ognuna si riferisce a un settore. E ognuno ha un’aliquota da versare. In questo senso la nuova cassa non sarà unica, ma avrà aliquote differenziate in base ai profili di rischio.
Prendiamo ad esempio il caso di un edile, che solitamente ricorre alla cassa per il maltempo, o un artigiano. Hanno un’aliquota bassa. Se si dovesse ricorrere a un’aliquota unica, questa sarebbe mediamente più alta. E questo significa che ricorrere alla cassa integrazione avrebbe un prezzo salato.
L’impronta dell’universalità poggia sulla gamba politica dell’estensione di un diritto che oggi non è per tutti. Perchè la cassa va alle aziende con più di 15 dipendenti, eccezionalmente per quelle tra 5 e 15, ma addirittura non è prevista per quelle con meno di cinque dipendenti. I più piccoli, come i negozi o i ristoranti di piccole dimensioni, ne sono un esempio.
Ma l’impronta dice anche un’altra cosa. E cioè che il Governo sta puntando la leva delle politiche sul lavoro, e quindi della spesa pubblica, ancora una volta verso una misura omnibus e di sostegno. La logica assomiglia a quella del reddito di cittadinanza. E non è un caso se si sta pensando a un sostegno strutturale anche per i lavoratori autonomi. L’idea è quella di un bonus per quando non si lavora.
Ma sia per la cassa integrazione universale che per il bonus strutturale per gli autonomi bisogna fare i conti con i soldi a disposizione.
E qui interviene un altro tema, anch’esso politico ed economico allo stesso tempo, perchè su alcune voci di spesa lo Stato registrerà a fine anno dei risparmi. È il caso, ad esempio, di quota 100.
Cosa si farà con questi soldi? Dove andranno a finire? Il tema è aperto e il cantiere della cassa integrazione universale conta di viaggiare comunque in autonomia rispetto all’esito della partita della redistribuzione dei risparmi. Anche perchè non è detto che una cassa universale significhi necessariamente un esborso maggiore o addirittura monstre per le casse dello Stato. Il tema è un altro e cioè tarare una previsione di copertura, di capire cioè quanto può essere l’appeal potenziale nei confronti di questa nuova misura.
Lo stesso andamento della cassa integrazione sta registrando un andamento ancora ondivago. Perchè le ore di cassa autorizzate dall’Inps nei primi otto mesi di quest’anno sono oltre tre miliardi, di cui 2,8 miliardi legate all’emergenza sanitaria. Un aumento del 988% rispetto all’intero 2019. Ma quelle poi utilizzate dalle aziende nei primi sei mesi sono state solo il 42,2 per cento. E ad agosto le ore autorizzate dall’Inps sono scese del 39,1% rispetto a luglio. Certo sono microtendenze, ma che rompono l’equazione cassa integrazione per tutti e quindi maggior costo. In altre parole: la cassa universale riguarderà tutti, ma non è detto che tutti la utilizzino.
Il disegno del Governo prevede poi di portare la gestione affidata oggi ai Fondi bilaterali piuttosto che al Fondo artigiani sotto un’unica gestione. Questo per evitare asincronie nel processo di erogazione della cassa. La maggior parte delle domande di cassa integrazione che non sono arrivate ancora compimento, infatti, attiene al Fondo artigiani, dove le procedure sono complesse.
In questo intreccio di economia e politica c’è anche un altro tassello che si punta a inserire nella riforma della cassa integrazione: togliere alla Regioni il ruolo che hanno nel complesso meccanismo della cassa integrazione in deroga. Covid ha fatto esplodere questo vulnus e la mancanza di fluidità tra il canale delle Regioni e quello dell’Inps. Migliaia di domande sono arrivate con ritardi anche di settimane al cervellone dell’Istituto di previdenza.
E questo intoppo ha rallentato tutto il meccanismo. L’idea del Governo è portare la cassa integrazione sotto l’egida del ministero del Lavoro e dell’Inps. Un sistema centralizzato che apre a un altro tema politico, quello del ruolo delle Regioni. E al ruolo del ministero che è guidato da una ministra con la casacca 5 stelle. Ecco allora che la cassa integrazione universale potrebbe riproporre le stesse dinamiche che hanno interessato il reddito di cittadinanza. Dinamiche e nuovi equilibri dentro la maggioranza giallorossa.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Lavoro | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
SI TRATTA DELLA LEGISLATURA 2005-2010: SI VA DAL PD AD AN, DA FORZA ITALIA A RIFONDAZIONE
Sono stati tutti condannati i consiglieri regionali coinvolti nella vicenda di spese pazze relative alla legislatura 2005-2010.
Le condanne di primo grado sono state inflitte a Michele Boffa (Pd), 1 anno 7 mesi e dieci giorni, Ezio Chiesa (Pd), un anno cinque mesi e dieci giorni, Luigi Cola (Pd), un anno e otto mesi, Giacomo Conti (Rifondazione comunista), un anno e sette mesi, Gino Garibaldi (Forza Italia), un anno e otto mesi, Antonino Miceli (Pd), un anno cinque mesi e dieci giorni, Cristina Morelli (Verdi), due anni, Luigi Morgillo (Forza Italia), un anno sei mesi e dieci giorni, Minella Mosca (PD), un anno e due mesi, Vincenzo Nesci (Rifondazione comunista), due anni, Pietro Oliva (Forza Italia), un anno sei mesi e dieci giorni, Franco Orsi (Forza Italia), un anno sei mesi e dieci giorni, Gianni Plinio (Alleanza Nazionale oggi casaPound), un anno un mese e venti giorni, Matteo Rosso (Forza Italia oggi Fratelli d’Italia), un anno e un mese, Gabriele Saldo (Forza Italia), un anno quattro mesi, Alessio Saso (Forza Italia), un anno e undici mesi, Carlo Vasconi (verdi), un anno e quattro mesi, Vito Vattuone (Pd), un anno tre mesi e venti giorni, Moreno Veschi (Pd), un anno e un anno e un mese.
Il giudice ha disposto la confisca delle somme contestate. Secondo l’accusa del pm Massimo Terrile i consiglieri avrebbero usato soldi pubblici per acquisti personali: dvd, piante, caramelle, brioches, bottiglie di vino e soggiorni in hotel con percorsi benessere.
(da agenzie)
argomento: Giustizia | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
LA DOCENTE DI FILOSOFIA: “VIVIAMO IN UNA SOCIETA’ DI IDENTITA’ FRAGILISSIME”
“Li ho uccisi perchè erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia”. Avrebbe detto queste parole durante l’interrogatorio Antonio De Marco, il 21enne che ha confessato di aver ucciso l’arbitro Daniele De Santis e la sua fidanzata, Eleonora Manta, nella loro casa di Lecce. Il giovane è stato arrestato ieri, dopo giorni di ricerche.
Non sono passate molte ore prima che confessasse il gesto. Il motivo del duplice omicidio, ipotizza chi indaga, sarebbe “l’invidia, la gelosia per la gioia di vivere e la solarità dei giovani che forse non aveva lui”.
Un’ipotesi che, a una primissima analisi, trova fondamento nelle parole pronunciate dal giovane.
Ma da dove nasce l’invidia? E, soprattutto, può portare a uccidere?
“Per lo più è una passione che non si vede, nè si ammette. La sua velenosità si ritorce contro il soggetto che la prova. Ma può anche slittare verso il risentimento. E in questo caso si arriva a voler fare del male all’altro”, ci risponde Elena Pulcini, docente ordinario di Filosofia politica all’Università di Firenze e autrice di un saggio che approfondisce l’invidia in tutti i suoi aspetti.
Professoressa, nel suo scritto definisce l’invidia “una passione triste”. Ma da dove nasce questo sentimento?
“Si tratta di una passione che nasce dal soffrire per il bene degli altri, dal non sopportare la gioia, la felicità , altrui. Possiamo dire che è una condizione da ricondurre alla fragilità dell’Io. L’invidioso non si stima, non è contento di sè, percepisce il bene che è capitato all’altro come una diminuzione del proprio essere. E, per questo motivo, inizia ad invidiare oltre ogni limite non solo chi percepisce come superiore a lui, ma anche chi ritiene essere al suo stesso livello.
Perchè percepisce maggiore competizione?
Sì, perchè gli viene spontanea la famosa domanda: “Perchè lui sì e io no?”. Vede, in fondo l’invidia non sopporta l’uguaglianza. E quell’interrogativo è l’humus sul quale il livore viene coltivato, via via in misura maggiore. C’è, poi, una versione più cattiva dell’invidia. La troviamo in Nietzsche.
Di cosa si tratta?
Della gioia maligna, che porta a godere del male dell’altro. Immaginiamo di essere noi gli invidiosi, e di trovarci di fronte a un amico che ha più successo di noi: se a quest’ultimo capita di fallire noi, senza confessarlo, proviamo quasi piacere. Vede, a differenza degli altri vizi capitali, dove, in qualche misura si può rinvenire un’altra faccia delle medaglia, un qualcosa che somigli a un risvolto positivo, l’invidia è in tutto e per tutto negativa. Eppure è un sentimento universale, c’è sempre stato, anche nell’antica Grecia.
Da quello che hanno riferito gli inquirenti, sembra che il ragazzo che ha confessato di aver ucciso il giovane arbitro e la sua fidanza, a Lecce, lo abbia fatto per invidia. Ma si può arrivare ad ammazzare una persona perchè non si sopporta la sua felicità ?
Intanto la felicità è la prima cosa di cui si è invidiosi. Però generalmente l’invidia è una passione non violenta, invisibile. Nessuno confessa mai di essere invidioso, se non in maniera scherzosa. Si tende a non far vedere questo tipo di livore, che rumina dentro il soggetto, sfociando al massimo in uno sguardo cattivo. Ciò non toglie che ci sono casi in cui l’invidia può crescere esplodere. Ha presente la storia di Caino e Abele? Ecco, però, in questo caso parlerei di risentimento.
Di cosa si tratta?
È come se l’invidia oltrepassasse il limite, slittando, appunto, verso un altro stato d’animo. Così si sviluppa rancore verso l’altro che, nella mente del soggetto, è qualcuno che ha ottenuto ciò che lui non potrà ottenere. Questa passione si accumula via via, in maniera lenta ma duratura, fino ad avvelenare l’anima. A quel punto il soggetto trova solo una strada per esprimersi: quella violenta. Come se sorgesse nella sua mente la volontà di distruggere qualcosa che lui ritiene non poter avere. La felicità della coppia, in questo caso.
Ci vorrà probabilmente tempo prima che vengano ricostruiti tutti i dettagli della vicenda, ma dagli elementi che hanno reso noti al momento gli inquirenti pare che il ragazzo che ha ucciso la coppia abbia premeditato il suo gesto. Abbia pensato ai dettagli del delitto per giorni. Anche questa è una caratteristica di chi prova risentimento?
Sì, un’altra peculiarità di questo stato d’animo è l’ossessività . Perchè vede, il risentimento è una passione pervasiva, molto più dell’invidia. Invade l’intera personalità , mobilita tutto il nostro essere, senza lasciare nulla fuori. Allora il soggetto pensa: “Devo trovare un sollievo”. E la risposta al risentimento è praticamente sempre la violenza. Cosa che con l’invidia non accade.
Dalle carte di chi indaga emerge il ritratto del giovane che ha confessato l’omicidio. Un soggetto timido, introverso, con poche amicizie. Ma un ragazzo di 21 anni, quindi comunque cresciuto al tempo dei social. Quanto incidono questi ultimi nella proliferazione di passioni come l’invidia e il risentimento?
Sono devastanti. Hanno certamente molti aspetti positivi, ma anche conseguenze dannose. Si pensi alla logica del like: io posto qualcosa, una frase, una foto, per ottenere un “mi piace”. Certamente non è un meccanismo obbligato ma, se applicato, può portare a uno svuotamento, a una superficializzazione della personalità . Vede, non si tratta solo del desiderio di apparire, quello lo possiamo ricondurre anche alla televisione, ma di volontà di piacere. È un passo ulteriore: è il piacersi attraverso il plauso degli altri
Ma perchè accade ciò?
Perchè siamo in una società di identità fragilissime che, dove piacere all’altro fa sentire vivi.
Torniamo al punto di partenza. Come si pone un argine all’invidia?
La strada giusta è, a mio parere, riappropriarsi di sostanza, di contenuti, di obiettivi. Bisogna poi ritirare la proiezione sull’altro. Come? Attraverso un recupero della propria identità . Qualunque essa sia.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: criminalità | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
L’INCONTRO CON LA LEADER DELL’OPPOSIZIONE E’ AVVENUTO A VILNIUS, IN LITUANIA
“Faremo del nostro meglio per aiutare una mediazione”. Emmanuel Macron incontra a Vilnius la leader dell’opposizione bielorussa Svetlana Tikhanovskaya e le promette aiuto a nome degli europei.
Il presidente francese è da ieri in visita tra Lettonia e Lituania, i due Paesi più esposti agli effetti della crisi politica in Bielorussia. Tikhanovskaya si è rifugiata a Vilnius dopo le contestate elezioni presidenziali del 9 agosto che hanno dato il via alle proteste contro Alexander Lukashenko.
Nelle ultime settimane la donna aveva già incontrato i ministri degli esteri di Polonia e Lituania, oltre ad aver avuto colloqui telefonici con altri esponenti politici europei. Ma l’incontro con Macron è il più importante che ha avuto la leader dell’opposizione bielorussa, il cui marito è rinchiuso in carcere.
Poche ore prima del viaggio nei Paesi baltici, Macron aveva ribadito: “Lukashenko se ne deve andare”. Il leader francese aveva poi annunciato di voler vedere Tikhanovskaya.
L’incontro è durato trentacinque minuti ed è stata lei a fornire subito dopo alcune scarne informazioni. Tikhanovskaya ha detto anche che Macron si sarebbe impegnato per far “rilasciare i prigionieri politici”.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
NON CI SONO MAI STATE DUE PERSONALITA’ COSI DIVERSE
Una cosa è certa. Il dibattito di questa sera fra il presidente uscente Donald Trump e lo sfidante Joe Biden sarà molto seguito: in tv e su Internet. La scelta di una nuova giudice per la Corte suprema e la pubblicazione delle dichiarazioni delle tasse del presidente poche ora prima dell’evento hanno dato un tocco di drammaticità in più all’appuntamento, assicurandogli un’ampia visibilità .
Il dibattito presidenziale è un’istituzione nella vita politica americana: è cambiato molto nel tempo, ma negli ultimi quattro anni l’accelerazione sembra essere aumentata. Cosa è cambiato da quando Hillary e Donald si insultavano cercando di minare le reciproche candidature? Di primo acchito si potrebbe rispondere non tantissimo: ma non è così. E questo spiega perchè il dibattito di questa sera è molto più atteso di quelli del 2016 e passerà probabilmente alla storia.
La mia America in questi quattro anni è diventata un Paese di persone spaventate, piene di recriminazioni, che si informano ciascuna nella sua bolla e non parlano con chi vive in una bolla diversa: tutti sanno che la scelta che verrà fuori dalle urne il 3 novembre sarà di quelle epiche, destinata a riunirci come nazione o a dividerci ancora di più.
I tre uomini sul palco stasera discuteranno per 90 minuti di 6 argomenti principali di fronte a un’ottantina di persone: altri milioni li guarderanno in America e nel mondo. I temi sul tavolo saranno la storia politica dei candidati, la Corte suprema, il coronavirus, la questione razziale e la violenza nelle città americane e l’economia. Trump e Biden non si stringeranno la mano e non indosseranno la mascherina. Il moderatore, Chris Wallace di Fox News, farà la prima domanda a Trump. Nonostante venga da Fox, Wallace ha la reputazione di giornalista equo e severo, ma non farà fact checking sulle risposte dei candidati alle sue domande: piuttosto, si presenterà come un arbitro, pronto a dividere gli avversati se servirà .
Trump e Biden saliranno sul ring con priorità diverse e useranno tattiche diverse: il presidente è indietro nei sondaggi e cercherà in ogni modo di indebolire il suo sfidante. Il quale a sua volta farà di tutto per presentarsi come una scelta saggia e ponderata e per evidenziare quanti guai potrebbero portare all’America altri quattro anni nelle mani di Trump.
La storia ci insegna che i dibattiti non dicono tanto sui contenuti politici dei diversi programmi, ma dicono molto sul carattere delle persone coinvolte: in questo senso, non ci sono mai stati due candidati più diversi. Biden è generalmente ritenuto una brava persona, capace di mostrare empatia in un momento in cui gli americani sono ansiosi e tesi: Trump è un uomo spesso considerato senza vergogna, pronto a mentire e distorcere la realtà a suo piacimento, che non riesce a mostrare simpatia personale per quelli con cui viene a contatto.
Trump ha già fatto intendere che cercherà di far entrare nel dibattito le questioni personali di Biden, come gli affari con Paesi stranieri di suo figlio Hunter. Non sarebbe la prima volta che usa questa tattica: nel dibattito con Hillary nel 2016 gettò invito le donne che avevano dichiarato di aver avuto incontri sessuali con Bill Clinton.
Alcuni sostenitori hanno incoraggiato Biden a giocare con le insicurezze di Trump per dimostrare che tipo di persona è e a svelare le bugie che dirà : ma un fact checking su ogni risposta del presidente porterebbe al candidato democratico troppo tempo.
Chi appoggia Trump vuole invece che il presidente spieghi che Biden sarebbe un pericolo per l’economia americana e che è troppo anziano per l’incarico: quello che è certo è che Trump sa giocare bene con la televisione e i suoi tempi.
Biden ha un vantaggio in termini di preparazione: ha partecipato a diversi dibattiti prima di diventare ufficialmente il candidato democratico e se l’è sempre cavata abbastanza bene. Trump invece si è circondato di persone che non lo contraddicono e quindi non lo spingono a ribattere. Inoltre, le dichiarazioni dei redditi pubblicate dal New York Times permetteranno a Biden di sfatare il mito del milionario in grado di fare molti soldi per sè come per il Paese: e di dire invece che Trump ha pagato meno duemila dollari di tasse durante i suoi primi due anni di mandato. Naturalmente il presidente ha subito bollato come “fake news” queste rivelazioni.
Come si potrà giudicare il vincitore? Sarà il candidato che avrà fatto meno gaffe? Quello che avrà risposto meglio alle accuse dell’altro? Trump dovrebbe esser giudicato in base al numero di colpi che assesterà o a quanto civile sarà il suo comportamento? E Biden? Dovremmo tenere conto di quello che dirà sui temi importanti o di quante brutte figure riuscirà ad evitare? (l’ex vice di Obama è famoso per le sue gaffe ndt). La sconfitta o la vittoria di stasera segnerà una svolta per i candidati? O ci lascerà a sperare che arrivi presto un’altra puntata della saga? Per non stare con il fiato sospeso di una cosa possiamo stare certi: il dibattito non sarà l’unico, ce ne sono altri due in programma. Restate sintonizzati.
(da agenzie)
argomento: elezioni | Commenta »
Settembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
UN GUADAGNO DI OLTRE 400 MILIONI DI DOLLARI
Il New York Times svela altri dettagli delle carte in suo possesso sulle dichiarazioni dei redditi del presidente americano.
Ieri il quotidiano ha reso pubblico il fatto che Donald Trump per dieci anni, degli ultimi 15, non avrebbe pagato nessuna tassa federale e avrebbe versato alle casse del Paese la cifra di 750 dollari nel 2016, anno in cui si è candidato alle elezioni, e nel 2017, il primo alla Casa Bianca.
Oggi invece il Times rivela il compenso ricevuto da Trump in 11 anni per la partecipazione al reality show The apprentice: 427,4 milioni di dollari.
Una fortuna che il presidente incassò proprio al momento giusto, e cioè dopo una serie di investimenti fallimentari. Era pieno di debiti.
Ma sullo schermo rappresentava il successo, il potere e i soldi. Il programma lo dipingeva come un miliardario in cima al mondo.
Il suo nome risaltava su aerei, grattacieli, bottiglie d’acqua, casinò, e poi lui, intento a guardare una sfilata a Parigi o il suo super orologio. Non era vero niente, raccontano le carte del Nyt. Le sue finanze vennero risante proprio in quegli anni, dal 2004 al 2015, da uno show.
A ritmo di musica scende su una scala mobile scintillante al “suo” casinò Trump Taj Mahal, racconta il Times, che in realtà faceva parte di una società quotata in borsa da un fallimento dei primi anni ’90.
Visita il Trump Place, un progetto di sviluppo urbano che Trump aveva di fatto venduto ai miliardari di Hong Kong, lasciando il suo nome sugli edifici in seguito a un accordo.
La tv è stata il suo trampolino di lancio in politica. Nel 2011 diventa ospite fisso di un programma di Fox News. I repubblicani lo amano e lo corteggiano. Nel 2015, l’annuncio.
E dove sono finiti tutti questi soldi che ha guadagnato? Le carte dicono in attività fallimentari, tra cui i suoi campi da golf.
In tre anni Trump ha investito 144 milioni di dollari per gestire la sua struttura di Turnberry in Scozia;. Non li ha mai recuperati, ogni anno il campo registrava solo perdite.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »