Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
DEVE ESSERGLI TORNATA LA MEMORIA MA A LUGLIO MINACCIAVA QUERELE
Quando il 16 luglio scorso gli investigatori del Nucleo di polizia economico finanziaria delle fiamme gialle di Milano fermarono Luca Sostegni mentre stava scappando in Brasile, il segretario del Carroccio Matteo Salvini negò di conoscere le persone coinvolte nell’inchiesta sulla compravendita “gonfiata” di un immobile per conto della Lombardia Film commission.
“Da oggi querelo chiunque accosti il mio nome a gente mai vista nè conosciuta“, tuonò l’ex ministro dell’Interno. Ma ora che tre commercialisti vicini alla Lega sono finiti ai domiciliari con l’accusa di aver architettato insieme a Sostegni la compravendita “gonfiata” di un palazzo a Cormano per conto della Film Commission, Salvini sostiene di “conoscere due delle tre persone” arrestate.
Eppure già nel giorno dell’arresto di Sostegni era emerso che l’indagine riguardasse i tre professionisti noti per essere vicini alla Lega: erano indagati e ora si scopre che già all’epoca i pm di Milano avevano chiesto il loro arresto. La discovery dell’indagine era avvenuta perchè Sostegni stava per fuggire in Brasile.
L’ordinanza del gip di Milano eseguita nel pomeriggio del 10 settembre riguarda Alberto Di Rubba, Andrea Manzoni e Michele Scillieri: tutti e tre sono citati più volte nei vari rivoli delle inchieste sui 49 milioni di euro di fondi pubblici destinati al Carroccio e oggetto di una truffa ai danni dello Stato.
Di Rubba e Manzoni sono i professionisti di Bergamo ai quali Giulio Centemero, tesoriere e parlamentare della Lega, ha affidato i conti del partito: sono rispettivamente il revisore legale del gruppo al Senato e direttore amministrativo di quello alla Camera. Scillieri, invece, ha lo studio in via Privata delle Stelline 1, a Milano, dove ilfattoquotidiano.it ha scoperto che era stata domiciliata la sede fantasma della Lega per Salvini premier, il nuovo partito nazionale creato proprio dall’ex ministro dell’Interno.
Salvini, intervistato stamattina a Radio anch’io sul primo canale radio della Rai, ha spiegato: “Conosco due delle tre persone, sono persone oneste, corrette e quindi dubito che abbiano chiesto o fatto qualcosa di sbagliato. Però ho piena fiducia nella magistratura”.
Eppure due mesi fa, quando il caso della Film Commission è esploso, la linea di Salvini era un’altra. “La pazienza delle persone perbene ha un limite”, scrisse su Facebook, annunciando querele a chiunque lo avrebbe accostato a quella “gente” che lui sostiene di non aver “mai visto nè conosciuto“.
“Coi diffamatori di professione ci vedremo in Tribunale, sperando di non trovare un Palamara qualunque”. Quel che è certo, stando alle carte dell’inchiesta, è che il gruppo di indagati “beneficia degli incarichi di rilievo tuttora ricoperti da alcuni suoi componenti negli organigrammi di numerose società ed enti, fra i quali anche soggetti di diritto privato a partecipazione pubblica”.
Il gip riferisce anche di una dichiarazione spontanea resa da Manzoni ai pm nei giorni scorsi. Il commercialista avrebbe “appreso da Di Rubba del finanziamento erogato dalla Regione in favore” della Fondazione (per acquistare l’immobile a Cormano) in occasione “di alcune visite presso la sede della Lega in Milano in via Bellerio”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
DA’ RAGIONE A SAVIANO, VUOL FAR RIENTRARE RENZI E BERSANI
A Modena, alla Festa dell’Unità , arriva quello che potrebbe essere considerato il padrone di casa. Stefano Bonaccini si presenta con la consueta divisa d’ordinanza: Rayban da vista, giacca e camicia sbottonata fino al secondo bottone. Si siede per il suo dibattito e dice una cosa d’assoluto buon senso , rispondendo a Lucia Annunziata che lo intervista: “Se mi chiedi se devono rientrare Renzi e Bersani io dico rientrino pure. Noi dobbiamo riportare quelli che sono usciti e non ci votano più, non Renzi e Bersani in quanto tali. Perchè il Pd non può rimanere al 20% e se rimane al 20% nei prossimi anni vuol dire che, quando si voterà per le politiche, noi non vinceremo le elezioni”.
Insomma, il governatore di una grande Regione, una delle poche rimaste in mano al centrosinistra, spiega l’ovvio: un partito a vocazione maggioritaria deve essere tale, e dunque attrattivo anche per chi sta fuori, anche chi per un motivo o per un altro è sceso mesi o anni fa dalla barca, e quella gente che si è persa per strada va recuperata. Eppure nel giro di qualche ora una raffica di colpi gli cade sulla testa.
Parte Michele Bordo, vicecapogruppo del Pd alla Camera: “Sembra Tafazzi, dimentica che Renzi è uscito per distruggere il Pd”.
Tocca poi a Roberta Pinotti: “Fino qualche mese fa molti candidati avevano problemi a mettere il nostro simbolo nell’alleanza perchè simbolo di sconfitta. La politica è vincente quando guarda avanti, ed è vicina ai problemi, invece di tornare a formule del passato”.
Arturo Scotto attacca: “Se metti Renzi e Bersani sullo stesso piano significa che non hai chiaro cosa è successo”. Tutti messaggi fatti circolare tra le truppe zingarettiane e segnalati ai giornalisti.
Una dinamica poco leggibile, come spesso accade in casa Dem. Ma basta riavvolgere il nastro di qualche giorno per leggerlo sotto una luce diversa. A Palazzo gira da un po’ di tempo una storia. Una storia secondo la quale Renzi valuterebbe, con tempi e modi tutti da decidere, un riavvicinamento al Pd, se non un rientro, nel caso dopo le regionali la leadership di Zingaretti uscisse ammaccata e la successiva fase congressuale incoronasse proprio Bonaccini. “Chiediti perchè Renzi abbia fatto campagna elettorale per lui – la mette giù un dirigente del Nazareno – E perchè poi Matteo lo abbia invitato alla Leopolda”.
Il segretario ha delle belle gatte da pelare. La manifestazione del No riunirà domani a Roma un robusto pezzo di sinistra che contesta apertamente la sua linea sul referendum. E intorno a lui sono iniziate le grandi manovre, come se lo dessero già in bilico, come se fosse acquisito un risultato negativo prima ancora che si aprano le urne. E’ anche in questo contesto che oggi il segretario ha presentato un piano di riforme costituzionali, per uscire dall’accerchiamento, per dire che il taglio dei parlamentari è solo il primo giorno di “una stagione” di cambiamenti.
Bonaccini calibra al millimetro le sue parole. La sua non è una discesa in campo, nè una rottamazione dell’attuale leadership, ma un posizionamento in vista di un futuro imminente.
Tributa meriti al segretario di aver “rimesso in piedi il partito” e di aver dato “un contributo non banale al governo”, lo copre sul fronte del Sì al referendum, ne condivide il tentativo di arruolare Giuseppe Conte fra i leader possibili del centrosinistra, una figura che potrebbe allargare il campo a un pezzo del mondo 5 stelle.
Ma parla anche da leader in pectore: “Di Saviano non ho apprezzato i toni, non e’ giusta quella critica a Nicola e il Pd, ma c’e’ una cosa che condivido: non possiamo pensare di passare i prossimi anni in una situazione di un partito e di una coalizione che vive di anti, noi ci vogliamo far votare non per quanto fanno schifo gli altri, ma perchè dobbiamo essere attraenti noi. Come abbiamo fatto, vincendo, in Emilia-Romagna”. Sulla stessa linea del segretario, dunque, ma come possibile aggregatore più forte. Anzitutto delle scissioni, quella di Bersani subita da Renzi, quella di Renzi subita da Zingaretti.
“Non me ne frega niente di fare il segretario”, risponde a domanda secca. Oggi sicuramente, domani pure. Dal 21 sarà tutta un’altra storia.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
ASSIA, MAMMA DI 36 ANNI, E’ CANDIDATA NELLA LISTA CIVICA DI LORENZONI… LA POLIZIA POSTALE FACCIA IL SUO DOVERE E LI VADA A CERCARE A CASA
Ha ricevuto oltre mille fra minacce e insulti sui social da quando ha annunciato di voler correre nella lista civica “Il Veneto che vogliamo”, a sostegno del candidato Arturo Lorenzoni alla guida della Regione Veneto. Ma non ha intenzione di rinunciare alla politica Assia Belhadj, italo-algerina, 36 anni, mamma di bimbi nati a Belluno e con la cittadinanza italiana come il papà .
In due giorni la sua pagina Facebook è stata presa d’assalto dagli haters che commentano con violenza le parole della candidata al consiglio regionale alle elezioni del prossimo 20 e 21 settembre. Lei spiega che ha “studiato la filosofia e arabo classico. Diplomata in mediazione culturale” e che ha “lavorato per anni nella mediazione culturale per creare ponti tra mondi diversi e farli conoscere”.
Responsabile del progetto Aisha a Belluno per contrastare la violenza e la discriminazione contro le donne, Assia rivendica la sua scelta di “fare la politica dal primo giorno del mio arrivo in Italia, più di dieci anni fa”.
Dopo l’episodio denunciato ieri da Jacopo Giraldo, candidato a Vicenza a sostegno di Lorenzoni e aggredito con spray igienizzante dopo esser stato visto a parlare con una mamma straniera, anche Assia è preoccupata per il clima che si sta creando in Veneto. “Stanno continuando a insultare, al ritmo di cento messaggi ogni mezz’ora. Comincio ad avere paura. Aisha, l’associazione nella quale lavoro, ha dato mandato ad un legale di difendermi, ma io sono una mamma, sanno che sono di Belluno, ho paura più per la mia famiglia che per me”.
La giovane candidata continua a pensare che “la politica è vita” e che “è necessario impegnarsi perchè c’è ancora tanta strada da fare per arrivare a una società in cui le donne non vengono discriminate come sta succedendo a me. Certo, mi attaccano anche perchè sono musulmana e straniera. Non riescono ad accettare i nuovi cittadini e bisogna lavorare tanto sulla sensibilizzazione e sui progetti futuri per favorire il cambiamento interculturale. Una ricchezza e non un pericolo per la cultura italiana”.
Assia Belhadj continua la campagna elettorale, dalla sua pagina Facebook, mentre le arrivano anche tanti messaggi di solidarietà e di sostegno. Risponde agli haters con una canzone di Marco Mengoni: “Sento una doppia responsabilità oggi perchè sono il futuro dei miei figli è in questo Paese”.
Solidarietà arriva da Arturo Lorenzoni e anche dalla lista in cui Belhadj è candidata: “Ci vogliono generosità e coraggio oggi per una donna che da ‘nuova montanara’ come ci piace chiamarla, toglie tempo al suo lavoro e alla sua famiglia per mettersi in gioco in un progetto politico. Ci vuole coraggio per una donna musulmana e bellunese d’adozione che rivendica con orgoglio la sua cittadinanza italiana, a parlare nella società in cui viviamo, del suo impegno per promuovere progetti di integrazione o meglio, di interazione sociale, con la volontà di fare della sua e nostra provincia e regione un luogo più accogliente per tutti e tutte. Siamo orgogliosi di averti nella nostra squadra”.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
HA RISCHIATO LA VITA, IN EGITTO ERA DOCENTE UNIVERSITARIO, IN ITALIA FA MANUTENZIONI… VIGILI DEL FUOCO E POLIZIOTTI: “SENZA DI LUI L’INTERO PALAZZO SAREBBE ESPLOSO”
Si chiama Aly, è un uomo egiziano che questa mattina alle 7 passava in piazzale Libia quando ha visto l’esposione del piano terra del palazzo. E altri testimoni raccontano: “Un botto fortissimo e vetri in frantumi”
“Alle 7,15 passavo col mio furgone e ho sentito l’esplosione, un urto fortissimo, c’erano le tapparelle saltate. Mi sono precipitato dentro e ho soccorso un ragazzo, l’ho avvolto in una coperta bagnata e l’ho portato fuori. Poi ho chiuso il gas”. Aly Harhash è l’uomo egiziano che ha soccorso per primo il 30enne ucraino che questa mattina è rimasto ferito nell’esplosione in un palazzo a Milano, in piazzale Libia 20.
“Non sono un eroe, per l’amor di Dio, ma quale eroe”. Non gli piace questa definizione anche se è consapevole di aver salvato la vita a un ragazzo che ha l’età di suo figlio. Racconta all’Ansa Aly Harhash, 61 anni: “Alle 7.15 ero fermo col mio furgone Ford Transit all’angolo tra piazza Libia 20 e viale Cirene 1, ho una ditta di manutenzione ed ero fermo a parlare col custode di un altro condominio quando abbiamo sentito un’esplosione fortissima. Ero appoggiato al furgone, quasi si è spostato. In quel momento ho visto il portone volare, tutte le finestre per aria e i motorini parcheggiati tutti abbattuti sulla sinistra. Un casino, non si capiva niente. A quel punto ho visto le fiamme uscire dall’appartamento al piano terra, c’era un ragazzo come una torcia. Sono andato subito al furgone a prendere due grosse coperte. Sa noi facciamo anche traslochi…”.
Aly Harhash è arrivato in Italia nel 1979 lasciando in Egitto un lavoro come docente universitario con cattedra in Economia e Commercio con specializzazione in commercio con l’estero. La sua laurea non gli è servita per andare avanti e così ha iniziato con piccoli lavori fino a costruire una solida attività di manutenzione condomini. Nel lungo elenco di stabili di cui si è occupato c’è anche quello dell’esplosione. “All’ingresso c’era un tubo dell’acqua rotto che ho usato per bagnare le coperte e mi sono avvolto in una di queste. Il ragazzo ferito non scappava, era in confusione totale. Per prima cosa gli ho buttato addosso la coperta e l’ho spostato da un armadio di plastica che gli si stava sciogliendo addosso. Quando si è sentito al sicuro è crollato a terra. Non riuscivo a portarlo fuori, è un ragazzo alto, allora sono uscito e urlando ho chiesto aiuto. Avevo i pantaloni tutti sporchi del suo sangue. Un uomo e una donna sono arrivati a darmi una mano e lo abbiamo disteso all’esterno. Il ferito diceva “mia moglie… mia figlia” ma era confuso. Ho collegato il tubo dell’idrante e ho iniziato a spegnere le fiamme, so come fare queste cose perchè ho diversi service. Poi ho chiesto all’uomo di coprirmi mentre rientravo per controllare se ci fosse qualcun altro ma non c’era nessuno. Il vero eroe è quel signore che mi ha aiutato, non come tutti quegli stupidi che sono stati lì fermi a filmare e a non fare niente. Non so dove sia finito”.
La prima cosa che Harhash ha fatto una volta dentro è stata chiudere il gas, lo ha raccontato anche alla polizia. “E’ colpa del gas, lì c’è una cucina. Ma non ho girato la la manopola, ho abbassato la leva di un rubinetto. Davvero non so come sia accaduto. Una donna della Protezione Civile mi ha detto che probabilmente se non l’avessi fatto sarebbe esploso l’intero palazzo”.
Lui continua a rifiutare l’etichetta di eroe ma è orgoglioso dell’applauso ricevuto da polizia e vigili del fuoco. “E’ stato molto bello. I pompieri mi hanno anche detto che cercheranno il cellulare che ho perso per soccorrere il ragazzo e se non dovessero trovarlo me ne regaleranno uno. Per ora uso quello di mia moglie. E’ italiana, precisamente napoletana”.
E in effetti tradisce anche lui una certa cadenza campana. “I miei figli, che sono entrambi laureati, parlano perfettamente napoletano. Anche io, sono circondato tutti i giorni”.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
SOLO DOPO CHE LA MARE JONIO E’ ANDATA A PRELEVARLA SULLA NAVE DELLA MAERSK BLOCCATA DAVANTI A MALTA HA POTUTO ESSERE PORTATA D’URGENZA IN OSPEDALE A POZZALLO… L’EUROPA E’ UNA VERGOGNA
Almeno lei, la donna camerunense incinta rimasta per 38 giorni in condizioni disperate a bordo della petroliera Maensk in mezzo al mare di Malta aspettando di poter sbarcare, almeno lei ( insieme al marito) adesso è a terra.
Se non fosse stato per l’iniziativa di Mediterranea Tom Alum, 37 anni, al quarto mese di gravidanza, probabilmente avrebbe perso il bambino. Nell’hotspot di Pozzallo dopo una visita in ospedale che l’ha tranquillizzata sulle ripetute minacce di aborto che aveva accusato senza che un medico potesse vederla.
Per gli altri suoi 25 compagni di viaggio, salvati il 5 agosto dalla nave danese su richiesta del centro di ricerca e soccorso di Malta, prosegue l’attesa.
Adesso sulla Mare Jonio e quantomeno con un team sanitario in grado di affrontare quelle condizioni psicofisiche al limite che invano il comandante della Maersk aveva segnalato ( nella più assoluta indifferenza dell’Europa) prima che la nave di Mediterranea Saving Humans ieri decidesse di intervenire e farsi carico dei migranti.
Dopo l’evacuazione d’urgenza della donna in gravidanza e del marito, la Mare Jonio si è fermata fuori dalle acque territoriali nazionali a circa 15 miglia nautiche dal porto di Pozzallo dopo aver chiesto alle autorità Italiane l’assegnazione di un porto sicuro. “Non abbiamo finora ricevuto alcuna indicazione – dicono dalla Mare Jonio – La notte a bordo è trascorsa tranquilla, ma i nostri ospiti continuano a chiedere notizie del loro sbarco e le loro condizioni fisiche e psicologiche rimangono gravi e preoccupanti. Devono essere portati a terra al più presto. Basta poco per far finire adesso questa vergogna.”
E in condizioni di emergenza è anche la Open Arms che, alla sua prima missione dopo lo stop provocato dal coronavirus, ha preso a bordo in tre salvataggi 275 persone ora tutte ammassate sul ponte protetti dalle coperte termiche.
Anche gli spagnoli chiedono un porto sicuro: “276 persone, 276 vite, 276 storie. Dopo le violenze e gli abusi, dopo giorni abbandonati in mare, non è sul ponte di una nave che dovrebbero trascorrere queste ore, ma in un luogo sicuro, tutelati dalle nostre costituzioni democratiche”.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
IL QUESTORE DI MATERA NON HA PAROLE: “E’ UNO SCHIFO”… UNA SOLA DEFINIZIONE: UOMINI DI MERDA
“Porto in Mercedes due bitch, mi slacciano la cinta, bitch”. Questo è il ritornello di Conto Cash, trap lucano, cantano Red Michael e Medeus, in un video in cui contano banconote e fumano denaro.
Questo è l’inno della banda di Pisticci, gli animali che nella notte tra il 6 e il 7 settembre hanno drogato e abusato di due 15enni inglesi.
Ne hanno arrestati quattro. Si chiamano Michele Masiello, Alessandro Zuccaro, Giuseppe Gargano, Alberto Lopatriello. Ne prenderanno altri, probabilmente.
Il più grande ha 23 anni, il più giovane 19. Luigi Liguori, il questore di Matera che sta conducendo le indagini insieme con la sua squadra mobile, è uno sbirro che ne ha viste tantissime, dai mafiosi foggiani ai fratellini di Gravina, Francesco e Salvatore, non trova le parole. Scuote la testa: “È uno schifo”.
Chi sono questi quattro? “Balordi” dice il sindaco Viviana Verri. Ha 34 anni, è il primo sindaco donna della storia della città . Dalle sue parole si percepisce il disprezzo che sente, misto a un po’ di paura. Quelle ragazzine abusate, i ragazzi della sua città come diavoli. “È un episodio agghiacciante” dice. “Siamo arrabbiati ma abbiamo anche voglia di mostrare solidarietà alle vittime”. Sembrano parole di circostanza. Non lo sono.
A Melito di Porto Salvo, nella vicina Calabria, qualche anno fa, un branco stuprò e un pezzo importante della comunità scese in piazza per difenderli. Gli stupratori, non le vittime. A Pisticci giurano che non accadrà .
La reazione, a oggi, è quella dello sdegno e della rabbia. Raccontano che li conoscevano, “i ragazzini di Pisticci”.
Chi erano? La polizia ha guardato i precedenti e ha trovato poca roba, qualche segnalazione per stupefacenti e una denuncia per lesioni (Lopatriello). Risultano tutti disoccupati, con lavori saltuari ma, per citare gente del posto, “senza un mestiere”.
Le definizioni che si raccolgono sono più o meno queste: sbandati, drogati, violenti. Le loro pagine Instagram sono l’ormai solito campionario fatto di soldi esibiti, pistole (probabilmente finte), bottiglie di champagne con dito medio alzato incluso, vodka ghiacciata, e tutta quella retorica trap usurata.
Rispetto a Colleferro, ai fratelli Bianchi, non c’è quella ostentazione della violenza, dello scontro fisico. Nel branco di Pisticci c’era la legge dei soldi, delle macchine di lusso, “delle Mercedes con le bitch”, appunto, della droga, le catene d’oro, “l’atteggiarsi”, per citare le loro stesse parole.
Non a caso, quella sera, i quattro ragazzi arrestati sono arrivati in villa con due cantanti trap, uno dei quali di ottima famiglia, le cui canzoni (e non solo) accompagnavano le loro serate: si chiamano Red Michael e Medus, appunto. E cantano l’importanza del denaro e il disprezzo delle donne.
C’è qualcuna però che non ci sta, a questo racconto. È Katerina, la sorella di Michele. “Nel paese ci conosciamo tutti, persone buone e cattive – dice – . Io non voglio essere di parte: se qualcuno ha commesso qualcosa, deve pagare. Ma mio fratello e l’amico sono andati via proprio mentre agiva il solito gruppetto di parassiti del paese. Quindi possiamo immaginare come stavano e quello che hanno fatto. Per favore, non giudicate prima di conoscere la verità “.
Quando i poliziotti sono andati a prendere i quattro, non hanno visto nemmeno una lacrima. Due di loro hanno detto: “Che volete? Quelle ci stavano”.
In realtà hanno aggiunto altro, ma fa schifo anche soltanto ripeterlo.
(da “La Repubblica”)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
IL RIDER E’ UN UOMO PAKISTANO CHE SI GUADAGNAVA ONESTAMENTE DA VIVERE: QUASI 30 GIORNI DI PROGNOSI
Hanno ordinato delle pizze e, una volta giunto il fattorino, lo hanno picchiato e gli hanno rubato l’incasso della serata.
È successo in Borgo Roma, a Verona. Il gruppo di ragazzini è stato individuato successivamente dai poliziotti, grazie ad un’attività di indagine che ha impegnato gli agenti delle Volanti per l’intera nottata.
Indispensabile sono state le descrizioni raccolte nell’immediato dagli operatori intervenuti gli accertamenti effettuati sui cellulari sequestrati ai ragazzi di volta in volta identificati.
Come scrive L’Arena, il primo ad essere individuato — e l’unico, al momento, a finire in manette — è stato il giovane che, intorno alle 3 di notte, aveva contattato la pizzeria chiedendo di recapitare del cibo a parco San Giacomo. Una volta giunto sul posto, il rider ha chiamato il recapito telefonico del richiedente che si è avvicinato insieme ad una ragazza ed ha ritirato l’ordine.
La coppia di giovani, non ancora 18enni, ha poi fermato il motorino del corriere, impedendogli di ad andare via, ed è stata raggiunta da altri tre ragazzi che, da dietro, hanno afferrato il malcapitato, l’hanno trascinato a terra ed hanno iniziato a prenderlo con calci e pugni, intimandogli di consegnar loro il denaro.
L’aggressione si è conclusa con il furto del portafoglio — dunque dell’incasso dell’intera serata — e delle chiavi del motorino del titolare della pizzeria che, prima di essere trasportato all’Ospedale di Borgo Trento, è riuscito ad allertare la Polizia.
Le indagini sono state immediate e, come detto, hanno consentito di fermare prima il 17enne che aveva telefonato in pizzeria. Il giovane era ancora col cartone della pizza in mano quando è stato individuato.
Questa mattina il giudice del Tribunale dei Minori di Venezia ha convalidato l’arresto e disposto nei confronti del ragazzo la misura della permanenza in casa, in attesa del processo. I complici sono stati individuati il mattino dopo e denunciati per rapina aggravata.
Erano ancora in possesso del bottino — che subito dopo la rapina si erano ripartiti — e dei documenti della vittima, riconsegnati spontaneamente da uno degli aggressori.
Il rider, 44enne di origine pakistana, a seguito delle lesioni riportate, è stato dimesso dall’Ospedale di Borgo Trento con una prognosi di 26 giorni.
(da agenzie)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
L’AUTOREVOLE PERIODICO: “LE SUE BUGIE SONO COSTATE MIGLIAIA DI VITE NEGLI STATI UNITI”
Un mentitore seriale: “Quando il presidente Usa Donald Trump ha iniziato a parlare al pubblico della malattia da coronavirus, Covid-19, a febbraio e marzo, gli scienziati sono rimasti sbalorditi dalla sua apparente mancanza di comprensione della minaccia. Abbiamo supposto che si fosse rifiutato di ascoltare i briefing della Casa Bianca o che fosse stato messo al riparo deliberatamente dalle informazioni. Ora, poichè il giornalista del ‘Washington Post’, Bob Woodward, lo ha registrato, possiamo sentire la stessa voce di Trump che diceva di aver capito esattamente che Sars-CoV-2 era mortale e si diffondeva nell’aria. Quando minimizzava il problema con il pubblico, Trump non era stato confuso o informato in modo inadeguato: ha mentito apertamente, ripetutamente, sulla scienza al popolo americano”.
Sono le dure parole di un editoriale pubblicato su ‘Science’, una delle riviste di riferimento della comunità scientifica internazionale
“Queste bugie – scrive l’autore H. Holden Thorp – hanno demoralizzato la comunità scientifica e sono costate innumerevoli vite negli Stati Uniti. Nel corso degli anni, questa pagina ha commentato le debolezze scientifiche dei presidenti degli Stati Uniti su temi importanti”, come il cambiamento climatico.
“Ma, ora, un presidente degli Stati Uniti ha deliberatamente mentito sulla scienza in un modo che era in maniera imminente pericoloso per la salute. Questo potrebbe essere il momento più vergognoso nella storia della politica scientifica statunitense”.
L’editoriale su ‘Science’ fa riferimento a un’intervista di Woodward datata 7 febbraio 2020, in cui Trump “affermava di sapere che Covid-19 era più letale dell’influenza e che il virus si diffondeva nell’aria. Ma il 9 marzo – ricorda l’autore – ha twittato che ‘la comune influenza’ era peggiore di Covid-19”. Vengono ricostruite diverse dichiarazioni del presidente Usa. E viene anche riportato il caso di Nancy Messonnier, direttrice del National Center for Immunization and Respiratory Diseases, istituto dei Cdc, centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, che aveva affermato: “Non è tanto una questione se questo accadrà più, ma piuttosto una questione di quando esattamente ciò accadrà e quante persone in questo Paese avranno una grave malattia”.
“Aveva ragione”, scrive l’editorialista di Science. “E Trump lo sapeva. Ma lui l’ha zittita. E ha anche cercato di controllare i messaggi di Anthony Fauci, il principale leader sulle malattie infettive della nazione”.
“Trump sapeva anche che il virus poteva essere mortale per i giovani. Tuttavia, ha insistito affinchè le scuole e le università riaprissero e che il football del college riprendesse”, prosegue Thorp che evidenzia in contrasto il ruolo della scienza nella lotta al coronavirus.
“I ricercatori stanno sviluppando instancabilmente vaccini e studiando le origini del virus in modo da prevenire future pandemie. Gli operatori sanitari si sono esposti per curare i pazienti Covid e ridurre il tasso di mortalità “. Trump invece, conclude, “non era all’oscuro e non stava ignorando i briefing. Ascolta le sue stesse parole e ha mentito. Chiaro e semplice”.
(da Globalist)
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Settembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
LA FRASE STRAZIANTE E PIENA DI DIGNITA’ DEL PADRE DI WILLY
«Mio figlio non è morto invano se è vero che ha tentato di salvare un’altra vita». Una frase straziante e commovente che racconta tutta la dignità della famiglia di Willy Monteiro Duarte, il 21enne ucciso in un feroce pestaggio a Colleferro, Roma, nella notte tra il 5 e il 6 settembre.
Proprio queste sarebbero le parole che il papà di Willy, Armando, avrebbe detto all’ambasciatore di Capo Verde Jorge Josè de Figueiredo Goncalves, che ha reso visita alla famiglia nel pomeriggio a Paliano, il paese a pochi minuti da Colleferro dove risiede la famiglia.
A raccontarlo è lo stesso diplomatico, lasciando l’abitazione della famiglia. Nella giornata di oggi i funerali del ragazzo, cui ha partecipato una folla di persone vestite di bianco, colore che, su desiderio della famiglia, rappresenta purezza e giovinezza
(da “Open”)
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