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LA VILLA IN COSTA SMERALDA COMPRATA CON I SOLDI DELLA LEGA

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

L’IMMOBILE E I 311.000 EURO DEL PARTITO

Lunedì 28 settembre andrà  in onda una puntata di Presa Diretta di Riccardo Iacona intitolata “Caccia al tesoro: che fine hanno fatto i 49 milioni della Lega”.
Il Fatto Quotidiano pubblica oggi un’anticipazione dell’inchiesta che riguarda la strana storia di una villa in Costa Smeralda comprata con i soldi della Lega Salvini Premier.
La storia parte dai 311 mila euro del partito frutto del 2 per mille che secondo la ricostruzione della trasmissione di Raitre sono stati versati a un fornitore e usati per comprare una villa in Sardegna da un altro fornitore della Lega e da questi girati in parte, attraverso la società  Cpz Spa, allo Studio Dea Consulting dei commercialisti Di Rubba e Manzoni (all’epoca però non più azionista), arrestati a Milano per il caso Lombardia Film Commission.
Secondo la ricostruzione della trasmissione la storia della villa inizia nell’estate del 2018, quando Matteo Salvini è al governo. Il 31 agosto Lega salvini Premier, il soggetto che ha corso alle elezioni politiche di qualche mese prima, effettua un bonifico da 311mila euro verso Barachetti Service srl, la società  dell’elettricista indagato per i fondi del Carroccio. .
Tre giorni prima del versamento a Barachetti, racconta Il Fatto, Lega Salvini Premier aveva incassato dallo Stato italiano quasi 1,5 milioni di euro, frutto delle donazioni che ogni contribuente può fare a ogni partito attraverso il 2×1000 della dichiarazione dei redditi.
La Lega gira quindi una parte dei soldi appena incassata a Barachetti. E cosa fa l’imprenditore con questo denaro? Compra la villa sarda da Marzio Carrara (non indagato), altro fornitore di punta della Lega, che con Di Rubba negli anni ha condiviso parecchi affari.
Il rogito viene firmato il 27 dicembre del 2018 davanti al notaio Marco Tucci, anche lui bergamasco come Di Rubba, Manzoni e Carrara.
Quel giorno Carrara vende alla Barachetti Service, per 338 mila euro, una società  che si chiama Immobiliare Mediterranea Srl. Nell’atto notarile viene specificato che i soldi sono passati di mano prima del rogito, non si sa bene quando. Dietro le sigle societarie, potrebbe esserci l’affare della villa. Immobiliare Mediterranea è infatti proprietaria di un unico bene. Quale? L’immobile in Costa Smeralda.
La villa è situata a Cugnana, Comune di Olbia, a pochi chilometri da Porto Rotondo. A quel punto un terzo del denaro della compravendita viene girato a una società  di Di Rubba, secondo un documento dell’Uif di Bankitalia. 134.200 euro arrivano allo Studio Dea Consulting motivati come acconto e saldo di una fattura. Cosa c’entra la Lega in tutto questo?
A parte i soldi che vengono utilizzati per l’acquisto, gli atti dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission, spiega ancora il Fatto, dicono che tra   i depositari delle scritture contabili della Immobiliare Mediterranea c’è la Mdr Stp Srl. Si tratta della società  partecipata, oltre che da Di Rubba e Manzoni, anche dal senatore Stefano Borghesi e dal deputato e tesoriere Giulio Centemero. “

/da agenzie)

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IL LEGHISTA SENSINI, VICE-SINDACO DI VENEZIA, LASCIA LA LEGA DOPO 27 ANNI: “SALVINI SBAGLIA, LA VERA BATTAGLIA E’ L’AUTONOMIA DEL NORD”

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

“A SOSTENERLA C’E’ SOLO ZAIA”

“Per me Salvini sbaglia, l’immigrazione è un sotto-problema. Il primo vero problema, la madre di tutte le battaglie come dice Luca Zaia, è l’autonomia. Quando avremo ottenuto quella, sarà  naturale risolvere gli altri problemi”.
Massimo Sensini, 67 anni, presidente di Federsanità  veneta, non è un leghista qualsiasi. Ha la tessera dal 1993. Ha fatto il sindaco di Fossalta di Piave per dieci anni. Da consigliere comunale è stato eletto alla carica di vicesindaco della Città  Metropolitana di Venezia, che nel 2015 si è sovrapposta alla Provincia.
Eppure ha deciso di dimettersi dalla carica in consiglio comunale, quindi di decadere da quella di vice del sindaco metropolitano Luigi Brugnaro. E non rinnoverà  l’iscrizione alla Lega, perchè non si riconosce più nel partito plasmato da Salvini.
Nei giorni del trionfo di Zaia, il dualismo tra il governatore che ha ottenuto una specie di plebiscito e il segretario che continua nella campagna d’Italia (con sconfitte), si crea il primo strappo in una regione ancora in preda ai fumi della sbornia elettorale.
La decisione di Salvini segna la frattura di due anime che la nomenklatura leghista si ostina a negare solo perchè nessuno osa mettersi contro il Capitano. Ma tra i tanti fedelissimi c’è qualcuno che decide di farlo.
Sensini, perchè lascia le cariche?
Si è trattato di una decisione molto sofferta, dopo quasi trent’anni di militanza. Non mi riconosco più in questa squadra, mi sembra di giocare in un’altra squadra. La Lega da partito ‘locale’, radicata sul territorio, si è buttata sulla strada nazionale, diventando la brutta copia di qualche altro partito.
Quale?
Fratelli d’Italia. Ma se i problemi che vengono affrontati sono gli stessi, allora è meglio unificare i due partiti. Io credevo nell’identità  della Lega Nord-Liga Veneta. E sottolineo Liga Veneta. Siamo partiti come una specie di armata Brancaleone e abbiamo imposto la modifica del Titolo V della Costituzione, facendo passare l’idea che non occorre essere a Roma per decidere le nostre vite. Lo si può fare anche da qui.
L’autonomia divide la Lega?
Per me è assurdo che a sostenere l’autonomia sia un governatore, com’è Zaia. Invece dovrebbe essere un messaggio politico che parte dal segretario Salvini. Un amministratore deve mettere in pratica le linee politiche che dovrebbero partire dalla segreteria politica.
Non è così?
Zaia dice che l’autonomia è la madre di tutte le battaglie, ma dall’altra parte non c’è una risposta. Sembrava che il progetto potesse partire quando Salvini era ministro dell’Interno, invece niente. Non è un paradosso che le uniche azioni verso l’autonomia in politica, nel passato, le dobbiamo a Massimo D’Alema? Invece il segretario tiene comizi in tutta Italia, senza proporre le problematiche fondanti che hanno fatto grande la Lega.
Quali?
L’autonomia su 23 materie amministrative, prevista dal Titolo V riformato della Costituzione e la questione fiscale. Questi sono i problemi principali. Il debito pubblico sta schizzando in alto e nessuno dice niente. Una volta si diceva che era doveroso far funzionare la locomotiva d’Italia, che è il Nord, perchè avrebbe trainato tutti gli altri vagoni. Adesso l’abbiamo fermata. Bisogna cambiare prima che sia troppo tardi e arrivi un uomo solo che faccia tutto.
Ci sono due anime nella Lega
Diciamo due diversità  di sentimenti, anche se il pensiero è unico. Ma Zaia è un amministratore, che ha fatto anche il ministro. E chi amministra bene non può essere che per l’autonomia, il primo dei problemi. La soluzione degli altri viene dopo. Salvini, che non è un amministratore, ma un politico, insiste invece sull’immigrazione. Ma questo è un problema di secondo piano, che sarà  affrontato quando avremo risolto quello dell’autonomia alle regioni. Altrimenti si parla del nulla.
Ha avuto reazioni all’annuncio delle dimissioni?
Vari messaggi. Ma non mi aspetto che Zaia si faccia vivo. Sta molto attento, è prudente. La sua visione è molto simile alla mia. Ma è la Lega, che un tempo era la mia casa, ad essere cambiata.

(da agenzie)

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PERCHE’ SUI MIGRANTI L’ITALIA E’ COMPLICE DELLE STRAGI IN MARE

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

IN UNA SETTIMANA 200 VITTIME E NESSUNA NAVE DI SOCCORSO IN MARE… I PROVVEDIMENTI ITALIANI OSTACOLANO I SOCCORSI

Quel tweet non è un grido di dolore e di rabbia. Certo, è pervaso da questi sentimenti, ma al fondo c’è l’esperienza di un giornalista, Sergio Scandura di Radio radicale, che da una vita professionale   racconta, spesso con importanti scoop, la tragedia dei migranti nel “mare della morte”, il Mediterraneo.
“Bloccate le navi ONG, non fate operare in SAR oltre le 12 miglia nazionali Marina militare e Guardia Costiera. Bugiardo sulla pelle dei disperati. Bugiardo sulla pelle di morti a dozzine, annegati anche a 25-30 miglia sotto Lampedusa. Rivoltante. Vergogna. Vergogna”.
Non c’è una virgola fuori posto in questo j’accuse. Ma il primo destinatario di questa denuncia, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dubitiamo che arrossirà  di vergogna.
E di sicuro non lo farà  l’improponibile ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
E al di là  dei toni, composti, e della professionalità , incommensurabilmente superiore a quella del suo sprovveduto (in materia internazionale) collega della Farnesina, la sostanza delle cose non cambia quando a parlare è la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese.
“I decreti sicurezza, o immigrazione, dovranno essere esaminati in uno dei prossimi Cdm. Si verificheranno anche gli aspetti delle sanzioni alle Ong, che potrebbero anche diventare sanzioni di carattere penale. Ma è una strada che intraprenderemo con la modifica dei decreti”, ha affermato la titolare del Viminale, giovedì scorso, nel corso dell’ audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen
Complici
Complicità  in stragi. Cinque stragi in una settimana. Almeno 200 morti lungo la rotta dalla Libia all’Europa. E nessuna nave di soccorso in mare, bloccate dai provvedimenti italiani che ostacolano gli interventi della flotta civile, e da un’Europa che promette solidarietà , ma continua a cooperare con le autorità  di Tripoli, niente affatto estranee alla continua mattanza.
Dei cinque naufragi segnalati negli ultimi giorni, il più grave è avvenuto il 21 settembre e si è saputo solo oggi, sabato: 111 morti. “Solo 9 delle 120 persone sono vive, soccorse da un pescatore dopo giorni in mare. Con i sopravvissuti stiamo ricostruendo gli eventi. Serve assistenza medica urgente», scrive su Twitter Alarm Phone.
“Tra le vittime ci sono Oumar, Fatima e i loro 4 figli” aggiunge l’organizzazione che raccoglie le chiamate d’emergenza in tutto il Mediterraneo. Segnalazioni di altri naufragi sono arrivati anche da Cipro e dall’Algeria. Nella notte tra venerdì e sabato «120 migranti riportati in Libia hanno riferito allo staff dell’Oim che 15 persone sono annegate quando il loro gommone ha iniziato a sgonfiarsi», conferma Safa Msehli, portavoce dell’agenzia Onu per le migrazioni.
Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr-Acnur) al 23 settembre 8.247 persone sono state registrate come intercettate in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica.
La gran parte viene portata nei campi di prigionia ufficiali, dove poi molti vengono fatti sparire. Il 15 settembre, votando il rinnovo della missione Onu in Libia, il Consiglio di sicurezza ha espresso “grave preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria” e per la situazione “affrontata da migranti, rifugiati e sfollati interni, inclusa la loro esposizione alla violenza sessuale e di genere”
Nessuno può chiudere gli occhi di fronte al grido di dolore di migranti e rifugiati. Come ha detto il Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere ed integrare gli sfollati è un dovere universale di ogni popolo civile. La vita umana viene prima di ogni cosa”. Ad affermarlo in un tweet è la leader della Cisl, Annamaria Furlan.
Rapporti dall’inferno
Nonostante sia chiaro che la Libia non possa essere minimamente considerata un paese sicuro, nel 2019 almeno 8.406 persone sono state rintracciate dalla guardia costiera libica e riportate in Libia.
Dall’inizio dell’accordo Italia-Libia del febbraio 2017 sono circa 50.000 le persone riportate nelle mani di carcerieri e torturatori libici come ampiamente denunciato da rapporti e dossier.
Dai movimenti e dalle associazioni, ma perfino dall’Unhcr, Oim e Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, a più riprese si sono levate richieste di interrompere immediatamente la collaborazione con i libici e di prevedere l’istituzione di canali di evacuazione verso i paesi dell’Unione europea per tutte le persone detenute nei centri libici.
Ma di fronte a una situazione tanto cristallina e atroce, l’Italia in febbraio ha rinnovato il memorandum con la Libia e il 16 luglio ha dato il via libera al rifinanziamento per l’addestramento alla cosiddetta Guardia costiera libica. La politica di esternalizzazione delle frontiere e dei respingimenti di massa ha nuove morti sulla propria coscienza.
Migliaia di rifugiati e migranti muoiono e molti subiscono gravi violazioni dei diritti umani durante i loro viaggi lungo le rotte dall’Africa occidentale e orientale verso le coste nordafricane del Mediterraneo, tra le più mortali al mondo.
Lo denuncia un nuovo rapporto pubblicato dall’agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, e dal Mixed Migration Centre (Mmc) del Danish Refugee Council, intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi o muori“, che descrive in che modo “la maggior parte delle persone in viaggio lungo queste rotte cada vittima o assista a episodi di inenarrabili brutalità  e disumanità  per mano di trafficanti, miliziani e, in alcuni casi, di funzionari pubblici”.
Il rapporto segnala che almeno 1.750 migranti e rifugiati hanno perso la vita nel 2018 e nel 2019 durante questi viaggi. Si tratta di un tasso di almeno 72 morti al mese, un andamento che rende la rotta una delle più mortali al mondo per rifugiati e migranti. Per quanto riguarda il 2020, sebbene la maggior parte delle testimonianze e dei dati siano ancora in fase di ricezione, è certo che siano almeno 70 i rifugiati o migranti che sono rimasti vittima della tratta, tra cui almeno 30 persone uccise per mano di trafficanti a Mizdah, in Libia, a fine maggio.
Proprio in Libia, solo nel 2020, sono stati registrati oltre 6.200 casi di abusi: dati che “mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone”, ha dichiarato Bram Frouws, responsabile del Mmc.
Secondo il rapporto, circa il 28% delle morti registrate nel 2018 e nel 2019 lungo questa rotta si è verificato nel corso dei tentativi di traversata del deserto del Sahara. Altre località  potenzialmente mortali comprendono Sebha, Cufra, e Qatrun nella Libia meridionale, l’hub del traffico di esseri umani Bani Walid a sudest di Tripoli, e numerose località  lungo la parte di rotta che attraversa l’Africa occidentale, tra cui Bamako e Agadez.
“Per troppo tempo, gli atroci abusi subiti da rifugiati e migranti lungo queste rotte via terra sono rimasti largamente invisibili”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario Onu per i rifugiati. “Questo rapporto documenta omicidi e diffuse violenze della più brutale natura, perpetrati contro persone disperate in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. È necessario che gli Stati della regione mostrino forte leadership e intraprendano azioni concertate, col supporto della comunità  internazionale, per porre fine a tali crudeltà , proteggere le vittime e perseguire i criminali responsabili”.
Nel documento vengono descritte le violenze brutali che si consumano lungo il viaggio dall’Africa alle coste del Mediterraneo, tra cui le ustioni con olio bollente e le scariche elettriche, oltre alla violenza sessuale su donne e bambini. In Libia solo nel 2020 sono stati registrati oltre 6.200 casi di abusi: dati che “mostrano ancora una volta come la Libia non sia un luogo sicuro presso cui ricondurre le persone”
Solidarietà , porti aperti, inclusione, sostegno al meritorio lavoro delle Ong: sono parole e concetti che non hanno cittadinanza nell’azione politica del governo Conte II, che sulle questioni libiche e dei migranti è una fotocopia in peggio del governo Conte I. In peggio perchè più ipocrita.
Torture e sparizioni
“Eravamo in 350 in quella prigione, ci sono rimasto per 5 mesi, fino al dicembre scorso. Dentro Ossama Prison ci hanno picchiato e torturato. Vedi la ferita qui sull’orecchio? Me l’hanno fatta con un lucchetto», racconta un sudanese di 19 anni giunto in Sicilia dopo essere stato messo su un gommone partito da Zawiyah.
“La Libia è stato un inferno. Io sono maledetta, sono proprio maledetta”. Lo ripete più volte, Sabha, originaria della Costa D’Avorio. Dal settembre 2016 all’aprile 2017 è stata in uno dei centri di detenzione di Sabha: “Mi hanno preso e portato in prigione, volevano da me dei soldi. Sono stata lì sette mesi: mi hanno fatto di tutto. Ogni giorno ci prendevano e ci portavano da alcuni uomini per soddisfare le loro voglie. Mi hanno preso da davanti, da dietro, erano così violenti che dopo avevo difficoltà  anche a sedermi. Mi filmavano mentre mi violentavano. Mi urinavano addosso. Un giorno mi hanno costretta ad avere un rapporto con un cane e loro mi hanno filmato. Sono maledetta”. La sua testimonianza, raccolta nel Cara di Mineo, fa parte del report “La Fabbrica della Tortura”, reso noto, nei giorni scorsi, da Medici per i diritti umani (Medu)
Tra le ultime testimonianze raccolte, il team di Medu   umani ha incontrato in un centro a Ragusa uno dei naufraghi che ancora una volta racconta la sua testimonianza dall’inferno libico:
“Sono stato a Ossama prison per un mese circa, nel periodo del Ramadan di quest’anno. Lì dentro è Osama che comanda: lui tortura in prima persona e fa torturare, beve spesso e bestemmia. Ci sono poi le guardie libiche, armate di kalashnikov, ma anche alcuni prigionieri del sub-sahara vengono utilizzati come aiuto-guardie: fanno un po’ di tutto, dalle pulizie alla distribuzione del cibo. Loro hanno il permesso di picchiare altri prigionieri anche se non gli vengono date armi, usano bastoni o altri oggetti. A Tripoli sono le milizie a rapirti e poi contattano le mafie (termine usato dai migranti per indicare gruppi criminali) le quali ti comprano e poi ti rinchiudono in magazzini nel deserto per chiederti il riscatto in cambio della liberazione. Ogni zona ha la sua milizia ma tutte sono vestite con divisa militare e collaborano con il governo. Tutti qui abbiamo tentato la traversata più di una volta ma la Guardia costiera libica ci ha sempre riportato indietro. A volte la Guardia costiera stessa ti chiede soldi, prima di riportarti in prigione: chiedono 1000 euro altrimenti ti dicono che farai un anno di prigione. So di una persona che ha pagato il giudice 1500 dinari per non finire in prigione”.
Il rapporto si basa su oltre tremila testimonianze dirette di migranti transitati dalla Libia, raccolte dagli operatori di Medici per i Diritti Umani nell’arco di sei anni (2014- 2020). Nel periodo considerato sono sbarcati in Italia 660mila migranti, il 90 per cento è passato per il Paese, provenendo dall’Africa occidentale o dal Corno d’Africa, ma anche da alcuni Paesi extra africani come la Siria e il Bangladesh. Numerosi racconti, considerati credibili, da parte di comunità  di migranti in contatto con l’Oim sostengono che i detenuti vengono consegnati ai trafficanti e torturati nel tentativo di estorcere denaro alle loro famiglie, abusi che sono stati ampiamente documentati in passato dai Media e dalle agenzie dell’Onu.
L’età  media dei migranti e rifugiati (88 per cento di sesso maschile e 12 per cento di sesso femminile) assistiti e intervistati da Medu è di 26 anni. Tra di loro sono presenti oltre 300 minori (13 per cento), incontrati negli insediamenti informali di Roma e presso il sito umanitario di Agadez.
Le principali nazionalità  dei testimoni sono Eritrea, Nigeria, Gambia, Sudan, Senegal, Etiopia, Mali, Costa d’Avorio, Somalia. L’85 per cento ha subito abusi, torture, stupri. Secondo i dati raccolti da Medici per i diritti umani, nel periodo che va dal 2014 al 2020, l’85 per cento dei migranti e rifugiati giunti dalla Libia ha subito in quel Paese torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79 per cento è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati e in pessime condizioni igienico sanitarie, il 75 per cento ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65 per cento gravi e ripetute percosse. Inoltre, un numero inferiore, ma comunque rilevante, di persone ha subito stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, fa-laka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti (ammanettamento, posizione in piedi per un tempo prolungato, sospensione a testa in giù, ecc).
Questa tendenza è rimasta invariata — o addirittura si è aggravata — nel corso degli ultimi tre anni, a partire dal 2017, anno di sigla del Memorandum Italia-Libia sui migranti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni.
Tutti questi report, suffragati da centinaia di testimonianze, da video e perizie mediche, sono di dominio pubblico. Tutti possono leggerli, anche i parlamentari che il 16 luglio scorso hanno votato il rifinanziamento di quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.
Una lettura “indigesta” per coloro che hanno avallato questo scempio di legalità . E di umanità .

(da Globalist)

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TRIDICO NON DEVE VERGOGNARSI DI NULLA, COME PRESIDENTE DELL’INPS GUADAGNAVA TROPPO POCO

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

IN UN’AZIENDA NORMALE LO STIPENDIO DI TRIDICO SI DA’ AL RESPONSABILE DELLA SICUREZZA… E ORA GUADAGNA QUANTO UN CAPOREDATTORE DE “IL GIORNALE”

La cosa più incredibile, in questa polemica di finti moralisti indignati per lo stipendio di Pasquale Tridico all’Inps è osservare da che pulpito partono le prediche: direttori che guadagnano fra 500mila e un milione di euro l’anno, si fingono scandalizzati per uno stipendio che in una azienda normale si dà  al responsabile della sicurezza, e alla Camera ad un funzionario a metà  carriera.
Tuttavia, questi altospendenti (e alto-guadagnanti) dall’invettiva facile si calano sul volto una grottesca maschera pseudo-grillina vintage (stile “Vaffa”) diciamo, e gridano allo scandalo, seguiti da un coro di monatti e di ululanti che sui social intonano in coro: “Vergogna! Vergogna!”.
Ma di cosa Tridico si debba vergognare, in realtà  non è chiaro. Forse, provenendo anche lui dall’area del M5s, di una certa eccessiva prudenza nel difendersi, come se avesse anche lui da metabolizzare uno strano senso di colpa inconscio. Come se temesse giudizio dei suoi compagni e colleghi.
Io la notizia la racconterei persino al contrario: dirigendo l’Inps, che dal punto di vista dei volumi è il più grande ente di previdenza d’Europa, Tridico guadagna adesso quanto un caporedattore centrale de Il Giornale, o come il responsabile vendite della Folletto.
Guadagna 70mila euro in meno di quello che l’algoritmo con cui si stimano gli stipendi della pubblica amministrazione valutava che potesse percepire in linea teorica. Guadagna meno dei suoi direttori generali o dei funzionari che dirige.
Forse, in un paese in cui gli attivisti grillini non si trasformano in Casta, e la Casta non si camuffa da attivista Grillino, diremmo che se c’è uno che in Italia dovrebbe percepire il massimo della retribuzione che spetta ad un dipendente pubblico (240mila euro, dopo una legge di riforma del 2011) quello è il presidente dell’Inps.
Muove miliardi con ogni sua decisione, è responsabile per milioni di emolumenti, diretti e indiretti, per miliardi e miliardi di euro di casse integrazioni.
A meno che non si voglia predicare il pauperismo francescano e il salario politico, se si ha un minimo di ragionevolezza, bisogna riconoscere che 150mila euro è il minimo stipendio possibile per chi ha responsabilità  di questo tipo. E non si tratta, ripeto, dello stipendio “ad personam” del “grillino” Tridico, ma di quello che lo stato italiano riconoscerà  anche in futuro ad uno dei suoi funzionari più qualificati (chiunque vada ad occupare quella poltrona da adesso in poi).
Quando si dovrà  scegliere un successore dell’attuale presidente, davvero pensiamo che quello sia lo stipendio su cui risparmiare? La risposta ovviamente è no.
Diverso è il problema che riguarda il diretto interessato. Forse Tridico avrebbe dovuto comunicare lui questa novità ? Senza dubbio sì, questo è stato il suo unico evidente errore.
Avrebbe dovuto divulgare una nota, appena il nuovo monte salario era stato deliberato, dicendo semplicemente: guardate, da domani il mio stipendio aumenta.
E non per una tema di colpa, o di responsabilità , ma per una necessità  di trasparenza a cui lui e tutti quelli come lui hanno sempre fatto appello.
Non è stato Tridico stesso ad alzarsi lo stipendio da solo, fra l’altro, ma l’aumento della retribuzione è frutto di una decisione condivisa con il governo, e controfirmata da ben due ministri. Non dovrebbero essere loro, quindi, a spiegare se questo cifra sia congrua o non lo sia?
Ma anche Gualtieri e la Catalfo hanno taciuto, nel giorno del presunto scandalo, perchè il timore di vedersi affibbiare una responsabilità  e subire lo stesso trattamento deve essere grande. Tuttavia Tridico non è stato smascherato mentre cercava di occultare il misfatto. L’aumento di stipendio non era celato, o mascherato in qualche codicillo, ma contenuto in un atto amministrativo, che sarebbe necessariamente diventato di pubblico dominio, prima o poi. Non c’è stato il disvelamento di un crimine, dunque, in questo scoop di Repubblica, ma una semplice anticipazione.
Tuttavia, se Tridico avesse davvero scelto di diffondere lui la notizia, secondo me avrebbe dovuto dire più o meno questo: “Da domani la retribuzione del presidente dell’Inps sale a 150 mila euro lordi”. Davvero qualcuno pensa che ci sarebbe stata meno polemica? Ovviamente no, ci sarebbe stata comunque.
E infatti il nodo non è tanto il dibattito sull’importo, ma quello sull’immagine che questo stipendio lordo evoca nella testa dei più: nessuno contesta in linea di principio la legittimità  di un compenso, ma a tutti piace far finta di credere di essere più frugale, più virtuoso e più missionario di quanto non appaia ora il Presidente dell’Inps.
Peccato che non sia così. Fossi stato al posto di Tridico avrei scritto un comunicato di cinque righe, per azzerare ogni ipocrisia. Ecco la traccia: “Per quanto avrei potuto facilmente ottenere 220mila euro l’anno, in base ai parametri che sono applicati a tutti i dirigenti della pubblica amministrazione in questo paese, ho ottenuto un emolumento limitato a 150mila euro”. Poi avrei aggiunto: “Guadagno meno di un buon avvocato di provincia, meno di un autore del Grande Fratello, meno di un direttore sportivo di serie A, meno di un amministratore di condomini, meno di un dirigente di una azienda che gestisce i social di qualche lobotomizzato di successo”.
Quindi avrei concluso così: “Non mi dispiacerebbe affatto — invece — guadagnare più di loro”.

(da TPI)

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IL PD PUBBLICA SUL LOGO IL VOLTO DELL’ATTIVISTA BIELORUSSA ARRESTATA MENTRE I SOVRANISTI SONO DIVENTATI I SERVI DELL’IMPERIALISMO RUSSO

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

IL PARADOSSO DI CHI FA L’ANTICOMUNISTA IN ITALIA E POI REGGE LO STRASCICO AI DITTATORI, MENTRE CHI HA AVUTO UN PASSATO COMUNISTA CONDANNA LUKASHENKO

Sui profili social del Partito democratico oggi c’è “il volto di Nina Bahinskaja. Ci sono le sue idee, le sue battaglie”. E l’iniziativa dem a sostegno dell’attivista dell’opposizione bielorussa arrestata durante le manifestazioni di piazza che si succedono dallo scorso 9 agosto per contestare la vittoria alle elezioni presidenziali di Alexander Lukashenko, al potere dal 1994, accusandolo di aver truccato il voto.
Il 19 settembre agenti in uniforme verde e passamontagna neri circondavano le persone in marcia pacifica. “Solo i codardi picchiano le donne!” gridava il corteo.
Molte donne venivano sollevate con la forza e arrestate, tra queste è finita anche Bahinskaja, bisnonna di 73 anni diventata un’icona del movimento di protesta. Il video mostra un ufficiale in passamontagna che le toglie bruscamente la corona di fiori che stava portando e la spinge in un furgone”. Con lei erano state arrestate anche quattro giornaliste.
“Nina Bahinskaja, 73 anni, di nuovo arrestata in Bielorussia. Noi siamo con lei e con tutte le donne e gli uomini che lottano per la libertà  contro il dittatore Lukashenko”. Scrive su Facebook il segretario Pd Nicola Zingaretti.

(da agenzie)

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IL PM DI GENOVA: “E’ ACCERTATO CHE I BILANCI DELLA LEGA ALLE CAMERE FOSSERO TRUCCATI”

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE AGGIUNTO PINTO: “SONO STATE FATTE PASSARE COME SPESE DEL PARTITO SPESE CHE NON ERANO DEL PARTITO”

Perchè i giudici hanno deciso di sequestrare tutti i 49 milioni visto che non tutti sono stati utilizzati per le spese personali di Umberto Bossi?
“Questo è un ragionamento semplicistico che non tiene conto del fatto che il titolo di reato è truffa aggravata per il conseguimento di erogazione pubblica”.
Risponde cosi Francesco Pinto, Procuratore Aggiunto di Genova che ha seguito tutte le inchieste sui soldi della Lega, a PresaDiretta nell’inchiesta “Caccia al tesoro” – in onda lunedì 28 settembre alle 21.20 su Rai3.
“Questo significa – aggiunge – che tutti i bilanci che sono stati presentati alle Camere sono bilanci truccati perchè sono state fatte passare per spese del partito spese che non erano del partito. E questo è qualcosa che è stato accertato giudizialmente”.
E sull’accordo tra Lega e Procura per la restituzione dei soldi da parte del partito di Matteo Salvini in rate mensili da 600mila euro in 80 anni, il procuratore ha detto: “E’ accettato il fatto che mensilmente venisse accreditata una certa somma da parte della stessa Lega Nord in modo tale che comunque il sequestro venisse eseguito ma senza la necessità  di impiegare interi battaglioni della Guardia di Finanza per andare a ricercare tutti i conti possibili e per garantire, tra l’altro, anche un’agibilità  politica di quel movimento nel momento in cui veniva privato di qualsiasi somma a sua disposizione”.

(da agenzie)

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SONDAGGIO ABC: BIDEN AVANTI DI 10 PUNTI SU TRUMP

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

TRA GLI UOMINI TRUMP HA 13 PUNTI DI VANTAGGIO, MA TRA LE DONNE BIDEN LO TRAVOLGE CON UN DISTACCO DI 31 PUNTI

A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali restano avanti su Donald Trump e Mike Pence. Secondo l’ultimo rilevamento di Washington Post/Abc, il ticket democratico riscuote il 53% dei consensi contro il 43% degli avversari
Non sono bastate due convention, i numeri del coronavirus che continuano a salire, il caos economico, le rivolte razziali e nemmeno la recente nomina di una giudice ultraconservatrice alla Corte Suprema: nell’America più divisa che mai, lo dicono i sondaggi, nessuno cambia idea.
L’ultima rilevazione, fatta da Washington Post-Abc News continua a registrare stabilmente in vantaggio il candidato democratico alla Casa Bianca   Joe Biden rispetto al presidente in carica Donald Trump.
Il primo stacca infatti il suo avversario di ben 10 punti 53 a 43 tra gli elettori registrati, coloro, cioè che intendono certamente votare.   Forchetta che non muta nemmeno fra i probabili elettori (quelli, cioè, che sono intenzionati a votare) dove Biden domina 54 a 44.
Attenzione: il margine, infatti, si riduce a sei punti tra gli elettori probabili (dal 49% al 43%) e tra quelli registrati (dove passa addirittura da 47% al 41%) quando sulla scheda ci sono anche nomi terzi, come quelli del candidato del Libertarian Party Jo Jorgensen e del candidato verde Howie Hawkins.
Partiti non sono presenti ovunque — o meglio: Jorgensen sì, Hawkins no – e dunque rivelarsi particolarmente insidiosi negli stati incerti e dunque più a rischio, dove le elezioni si vinceranno per una manciata di voti.
Trump continua a non convincere le donne dei sobborghi, quelle che allo stato attuale della gara faranno la differenza.
Se infatti Trump piace agli elettori maschi 55 contro 42 Biden gode di un vantaggio enorme fra le donne: dove stravince addirittura 65 a 34. Con la differenza che se il vantaggio di Trump fra gli uomini è più o meno lo stesso del 2016, quando si scontrava con Hillary Clinton, il vantaggio di Biden tra le donne è addirittura il doppio di quello della Clinton, allora.
Biden sta dunque vincendo? In America non è il voto popolare a fare il presidente, ma il numero di collegi elettorali che si ottengono.
Negli stati incerti la forchetta si restringe, la sfida resta molto serrata in Florida e Arizona, mentre Biden ha un leggero vantaggio in Wisconsin e uno più ampio in Minnesota.

(da agenzie)

argomento: elezioni | Commenta »

I LEGHISTI VOGLIONO INTIMIDIRE I GIUDICI: A CATANIA MANIFESTAZIONE IL 3 OTTOBRE QUANDO INIZIA IL PROCESSO AL SEQUESTRATORE DI ESSERI UMANI

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

HANNO PAURA DI PAGARE PER I REATI CHE HANNO COMMESSO

La Lega aveva assicurato che sabato prossimo non ci sarebbe stata alcuna piazzata anti giudici, in concomitanza con l’udienza del processo a Salvini al Tribunale di Catania. Nulla che evocasse l’infelice sfilata di parlamentari di Forza Italia davanti al Tribunale di Milano contro i “troppi” processi subiti dal Cavaliere, era l’11 marzo del 2013.
E invece dall’agenda del leader leghista di questa settimana, ecco sbucare l’evento di piazza.
A conclusione dei due giorni di incontri e dibattiti in programma giovedì 1 e venerdì 2 alla Nuova Dogana del capoluogo etneo dal titolo “Gli italiani scelgono la libertà ”.
Tutti convocati — deputati, senatori, europarlamentari e quanti più militanti possibile — per le 10 del mattino di sabato, negli stessi minuti in cui il segretario sarà  davanti al suo giudice per rispondere dell’accusa di sequestro di persona per la vicenda della nave Gregoretti.
“Catania capitale europea della libertà . Processate anche me”, sarà  la scritta che campeggerà  cubitale sul palco del parcheggio Borsellino, dentro il Porto di Catania.
Si terrà  lì una lunga maratona oratoria dei parlamentari (ma anche di altri ospiti invitati dal partito) in difesa del capo finito sotto processo.
Al termine dell’udienza preliminare — probabilmente non decisiva ma la prima di una serie — lo stesso Salvini dovrebbe raggiungere la piazza per un bagno di folla post Tribunale e per ringraziare i manifestanti.

(da agenzie)

argomento: criminalità | Commenta »

SVIZZERA, SCONFITTA DEI SOVRANISTI: BOCCIATA LA PROPOSTA CONTRO LA LIBERA CIRCOLAZIONE UE

Settembre 27th, 2020 Riccardo Fucile

IL REFERENDUM VEDE IL PREVALERE DEI CONTRARI

Lo indicano le prime tendenze rese note dall’istitutogfs.bern poco dopo la chiusura dei seggi per il referendum
Il referendum è stato chiesto dall’Unione Democratica di Centro (o Schweizerische Volkspartei, Svp). Il partito di destra, che ha la maggioranza relativa in Parlamento, ha impostato la campagna su toni anti-immigrazione.
Secondo l’Svp, la Svizzera deve essere libera di fissare un limite al numero di lavoratori stranieri, anche a costo di uscire dall’area Schengen. “Gli immigrati cambiano la nostra cultura”, si legge nel sito internet messo online dal Svp per la campagna referendaria, “le pubbliche piazze, i treni e le strade diventano meno sicuri. Inoltre, quasi la metà  delle persone che attingono al welfare è composta da stranieri”.
Sul lato economico, il governo di Berna aveva già  chiarito che la bocciatura dell’accordo sulla libertà  di circolazione avrebbe causato in automatico la decadenza di altri sei trattati che regolano aree come il libero scambio, la cooperazione nella sicurezza, lo scambio di dati, la ricerca, l’agricoltura, i trasporti su strada, l’aviazione civile, il turismo, l’educazione e le pensioni. Una prospettiva, questa, che ha preoccupato soprattutto le categorie produttive che temono pesanti conseguenze sull’economia della federazione.

(da agenzie)

argomento: Europa | Commenta »

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