Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
“ASPETTIAMO LE ELEZIONI AMERICANE PRIMA DI SBILANCIARCI”… “SALVINI OGGI E’ PIU’ DEBOLE, HA UN PROBLEMA DI STRATEGIA GROSSO COME UNA CASA”
Oggi “non ha più senso” parlare dei due blocchi di destra e sinistra, così come è “troppo prematuro” pensare che populismo e sovranismo abbiano perso il loro potere di attrarre consenso.
“Aspettiamo di vedere come andranno le elezioni americane”, è l’invito alla prudenza del politologo Angelo Panebianco, che a colloquio con HuffPost ha analizzato lo scenario di incertezza nel cammino che ci sta portando fuori dal sistema maggioritario. “Se si arriva alla proporzionale le forze si scompongono e una parte di quelli che stanno adesso nella destra non ci staranno più o ci sarebbero solo a livello locale”.
A proposito di Salvini è convinto che: “Un progetto come il suo richiedeva davvero uno sfondamento nel Sud, ma il Sud adesso è intercettato da Fratelli d’Italia e lui è profondamente indebolito dalla sconfitta in Toscana”.
Quanto all’antipolitica, essa è davvero destinata a sgonfiarsi dopo il culmine del Sì al Referendum come alcuni osservatori rilevano? “L’antiparlamentarismo è antico, da noi era già presente nell’Ottocento, ha sempre avuto un’importanza notevole e periodicamente riemerge”.
Professore, c’è lo spazio e la necessità di una destra liberale in Italia, diversa da quella sovranista, populista e anti-europeista degli ultimi anni?
Perchè ci sia una destra liberale come dice lei, occorre che ci sia una cospicua parte del Paese che sia di questo tipo, perchè altrimenti non ha senso. Se una destra liberale europea si presenta a un Paese che non è nè liberale nè europeista, non prende un voto e quindi non le conviene. Il problema è capire se un’offerta politica di quel tipo possa incontrare i consensi del Paese.
Lo ritiene possibile?
Al momento sembra di no, però può anche darsi che accada in futuro. Una serie di fattori ha spinto in un’altra direzione: l’elezione di Trump, la Brexit, gli effetti della crisi economica 2007-2008 e adesso l’accelerazione prodotta dalla pandemia. Tutte queste cose finiscono per non portare acqua a favore di forze moderate. Poi eviterei di usare i termini destra e sinistra…
Quindi a suo avviso in un sistema non più maggioritario, o che si avvia a essere proporzionale, non ha senso parlare di blocco di destra o di blocco di sinistra.
Se si arriva alla proporzionale le forze si scompongono, quindi una parte di quelli che stanno adesso nella destra non ci staranno più o ci sarebbero ancora solo a livello locale e regionale perchè lì le leggi sono di tipo maggioritario. In questo momento il blocco di destra esiste sul piano locale, proprio in ragioni di queste leggi che spingono ad avere una destra e una sinistra.
In un sistema proporzionale può emergere o no una qualche forza centrista di tipo moderato? E cosa c’è di ancora utilizzabile dei vecchi blocchi della sinistra e della destra per creare una cosa del genere? C’è lo spazio ed essa può incontrare il favore di una parte del Paese?
Se usciamo dal maggioritario — ed è probabile — a quel punto non capisco neppure di che blocco stiamo parlando, visto che i vari blocchi vanno a scomporsi.
Che cosa potrebbe accadere? Ci sarà la rivincita dei partiti molto piccoli, quelli che oggi sembra non abbiano peso?
Potrebbero. Lei tenga conto che da molto tempo, da quando si sono indeboliti i vecchi partiti di massa che avevano una forte presa sull’elettorato e un grande insediamento sociale, l’elettorato è diventato molto mobile, adesso si sposta. Un tempo, trent’anni fa, c’erano spostamenti elettorali del 2 per cento, del 3 per cento. C’è stata un’epoca, che adesso pare incredibile, in cui un partito dichiarava grande vittoria perchè aveva avuto il due per cento in più rispetto alle elezioni precedenti. Adesso gli spostamenti sono a volte del 7, dell’8, del 10 per cento. Basti vedere cosa è successo son il Movimento 5 stelle, diventato partito di maggioranza relativa e quasi certamente destinati a scendere molto alle prossime elezioni politiche. Ci sono moltissimi voti liberi e a seconda dell’offerta politica quei voti possono essere intercettati oppure no, molto dipende da quali saranno le caratteristiche delle offerte politiche e se risponderanno a esigenze di elettori date le circostanze in cui ci troveremo. L’imprevedibilità è massima.
Come dovranno muoversi eventuali partiti moderati in questo sciame di incognite?
Per esempio una forza moderata se ha un numero di leader che litigano tra di loro, che non riescono ad accordarsi, che fanno una politica slabbrata, non riuscirà a intercettare l’elettorato con la sua offerta politica. Sarà tutto molto affidato alla natura delle offerte politiche che arriveranno sul piatto
Inserendoci in questo ragionamento, il cambiamento che sta apportando Matteo Salvini nella Lega, con la segreteria, le deleghe alla vecchia maniera dei partiti tradizionali, non è un primo passo verso una strada meno muscolare, meno forsennata?
Non saprei giudicare questo, a me pare di no. Mi sembra che Salvini si sia particolarmente indebolito dopo la sconfitta in Toscana, lui adesso sta parlando molto anche per coprire un problema. Un progetto come il suo richiedeva davvero uno sfondamento nel Sud, ma il Sud adesso è intercettato da Fratelli d’Italia, quindi il suo progetto è in affanno. Io credo che le sue mosse siano un tentativo di nascondere un problema di strategia che lui adesso ha ed è grande come una casa.
Nella Lega è sotto gli occhi di tutti che ci fosse già un problema prima, poi nascosto sotto il tappetto perchè Salvini ha avuto successo e ha fatto crescere enormemente il partito.
La Lega era due cose contemporaneamente. Da una parte il vecchio insediamento leghista del Nord. La Lega con Bossi è stata il sindacato territoriale del Nord. Al tempo stesso c’era Salvini con la sua strategia nazionale, lepenista, e le due cose stavano insieme fin quando Salvini aveva successo. Se il successo non c’è più, o il suo progetto perde colpi, la contraddizione tra le due leghe, quella nazionale e quella del Nord, finisce per emergere con forza.
Naturalmente queste cose adesso tendiamo a personalizzarle con Salvini, Zaia, con le sue interviste scomode, ecc.
Resta il fatto però che la Lega aveva due anime. Se ha successo possono stare insieme. Se non c’è successo le sue anime entrano in conflitto.
Invece Giorgia Meloni ha più consapevolezza dei tempi che stanno cambiando e di conseguenza dei modi necessari a formare un’offerta accattivante e credibile?
Non lo so, però mi pare una leader abile. Naturalmente il suo insediamento è quello del Sud, ma naturalmente si porta dietro alcuni dei pesi che vengono dal suo passato. Tutti hanno un passato e il passato non può non pesare.
Questo come si traduce nella realtà concreta?
Difficilmente Meloni sfonderà al Nord, il suo successo tenderà a essere concentrato nel Sud, ma questo avrà delle conseguenze anche per il tipo di politiche possibili. Per esempio Forza Italia aveva il suo epicentro nella Lombardia, quindi è vero che ha avuto successo anche in Sicilia, in Campania, ma il movimento nasce dalla Lombardia e questo porta a conseguenze sul tipo di politiche del partito, sulla cultura politica. L’enfasi sul ruolo delle imprese e così via viene da lì. Chi è forte nel Mezzogiorno non può che avere posizioni diverse, mi sembra inevitabile.
Populismo e sovranismo si sono un po’ sgonfiati nella loro veemenza e aggressività ?
Non lo so, perchè dipende da troppi fattori che non conosco, dipende da chi vince nelle elezioni americane, questo è il primo fatto.
Nel mondo occidentale in effetti quello che succede negli Stati Uniti ha riflessi importantissimi.
È così, infatti risponderò alla sua domanda solo quando sapremo come saranno andate le elezioni americane e potremo avere più informazioni. Per ora possiamo dire che la vittoria del Sì al Referendum in parte è anche una posizione riconducibile a una tradizionale antiparlamentarismo che è sempre stato presente e certamente ha avuto un ruolo, non dominante, ma è una stata una componente importante della storia del Paese che si ripresenta in certi momenti. Non credo che sia possibile vendere la pelle dell’orso e dire che sono spariti, mi sembra tutto troppo prematuro.
Questo antiparlamentarismo in molti lo riconducono direttamente alla nascita dei 5 stelle.
No, no, è antico, era già presente nell’Ottocento, è stato presente anche in altri Paesi, ma da noi ha sempre avuto un’importanza notevole e periodicamente riemerge prendendo il volto politico che di volta in volta i leader politici sanno dargli in un particolare momento storico.
In un’intervista al nostro giornale il ministro del Sud Giuseppe Provenzano ha detto che ‘il tempo dell’antipolitica è finito’: è d’accordo?
(ride) Se lui ha informazioni di questo tipo, bene, ci faccia sapere sulla base di quali dati e noi saremo molto contenti di saperlo. Io non mi arrischio a dare giudizi così apodittici.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
“SPALANCATE LE FINESTRE PER FAR ENTRARE ARIA FRESCA E CACCIATE CHI RAPPRESENTA IL POTERE PER IL POTERE, BISOGNA ESSERE RADICALI”
Jasmine Cristallo, voi Sardine avete scritto una lettera al Pd. Un po’ sembra una critica, un po’ una dimostrazione d’affetto. Riassumiamola con un titolo: “Cambiate”. Ho capito bene?
Non credo sia il caso di scomodare la parola affetto perchè in gioco c’è un ragionamento politico e non sentimentale…
Anche il sentimento è politica però, prego, prosegua.
Va bene: “Cambiate”, è pertinente. Abbiamo portato avanti una critica con spirito costruttivo, al fine di innescare un dibattito nella principale forza del centrosinistra. Le assicuro: non c’è alcuna arroganza o presunzione, al contrario c’è tutta la passione che abbiamo incrociato durante questi mesi, nelle decine di piazze, nelle iniziative, nelle voci e negli sguardi di ragazzi e ragazze che alla politica non chiedono un posto in una lista ma una coerenza su principi e valori. Quello che chiediamo al Pd è di cambiare per essere fino in fondo credibile agli occhi delle persone.
Perchè il Pd non è credibile? Le direbbero dal Nazareno: ha appena vinto le elezioni, i Cinque stelle si stanno sfaldando, la destra è sotto botta…
Ha tenuto, per carità . Ma adesso, proprio per questo, dovrebbe compiere un atto di coraggio. Non dire: passata la paura, può andare avanti tutto come prima.
Ma dal Pd qualcuno si è fatto vivo per rispondervi?
Finora Gianni Cuperlo che, con bellissime parole, ha colto il senso del messaggio.
Andiamo con ordine. Voi scrivete, rivolgendovi al gruppo dirigente del Pd: “Chiedete quale fosse l’umore degli attivisti democratici rispetto alle faide tra correnti. Chiedeteci quanto sia stato difficile come sardine fare una campagna contro la destra sapendo “chi” e “cosa” si presentasse a sinistra (tralasciamo sul “come”…).
La lettera ha fotografato una condizione diffusa, e peraltro non nuova, tra i militanti del Pd che si sono mobilitati più per timore del pericolo che per entusiasmo su un progetto… Il nostro è un atto di sincerità , non un processo. Non siamo politici di professione. E se un anno fa qualcuno ci avesse descritto ciò che poi è accaduto forse non ci avremmo neppure creduto. Vorrei che il nostro appello venisse letto in questo modo: come un’offerta e, nello stesso tempo, una richiesta di aiuto.
Aiuto in che senso?
Nel senso che, se un gruppo di persone riesce a mobilitare quello che si è mobilitato, persino al di là della nostra volontà e capacità , vuol dire che esiste una domanda di buona politica e che la principale forza organizzata della sinistra ha il compito di raccogliere, di non disperdere quella ricchezza e soprattutto di non tradirla. Insomma, non metteteci di nuovo in una condizione di necessità : mangiatevi questa minestra perchè c’è la destra.
Anche voi, in alcune regioni vi siete turati il naso?
È innegabile che tanti elettori si siano trovati nella condizione di dover scegliere in base al triste criterio del “meno peggio”. Noi ci siamo spesi come abbiamo fatto la sera di quel 14 novembre a Bologna in piazza Maggiore, e in quella occasione non abbiamo sostenuto un candidato ma una battaglia per fermare i sovranisti.
No, scusi ma questa non si può sentire. Per fermare i sovranisti si votava Bonaccini.
Per fermare i sovranisti si votava la sinistra. E io non ho mai fatto mistero della mia critica a Bonaccini, che ha fatto il grave errore di seguire Zaia e Fontana nella posizione rispetto all’autonomia differenziata, che da meridionale rappresenta la prevaricazione dei ricchi sui più fragili.
E dunque?
Dopo di allora abbiamo percorso l’Italia, e superati i mesi terribili della pandemia, siamo stati nelle regioni che andavano al voto anche perchè sentivamo che l’alternativa offerta dalla destra era comunque un’alternativa peggiore. Detto ciò è importante che nel campo della sinistra e del centro sinistra la qualità della buona politica, la selezione delle candidature rifletta i valori che quel partito dichiara di avere. Quando Montanelli scrisse il famoso “turarsi il naso” molti di noi erano bambini. Ora non guardiamo alla politica con gli occhi di prima però ci piacerebbe la coerenza tra le parole e le azioni.
Va bene, ma non si può tirare il sasso nascondendo la mano. Faccia i nomi degli Innominabili e di quello che rappresentano per voi.
De Luca ed Emiliano sono in campo da molto tempo, prima ancora della nostra nascita e presenza. E non scatenano l’entusiasmo di chi si aspetta proposte nuove e alternative.
Insomma avete avuto imbarazzo a sostenere De Luca ed Emiliano.
L’imbarazzo, prima che noi, lo lascerei piuttosto al gruppo dirigente del Pd, a partire da alcune alleanze anomale nate sui territori. Rifletterei anche sui danni causati da questo regionalismo presidenziale reso possibile dalla riforma del titolo V, che ha portato l’offerta politica a identificarsi con un “uomo solo al comando”, che nel caso di De Luca è diventato, complice la pandemia, addirittura un fenomeno di costume di cui parlano le top model.
Domanda secca: De Luca per lei è sinistra?
La risposta alla sua domanda ce l’ha fornita lo stesso De Luca, che all’indomani del suo innegabile successo ha dichiarato: “la mia vittoria è oltre la destra e la sinistra”. Non so bene cosa voglia significare, ma è evidente che non possa essere catalogato per sua stessa ammissione in schemi tradizionali….
Proseguiamo con la lettera. Scrivete: “Senza un progetto condiviso e allargato non si va da nessuna parte. Un partito che si concentra sulle lotte di potere ma si dimentica la base ha i giorni contati. Un partito che dipende da figure forti e capibastone non può dirsi democratico”. Non pensa che siete troppo severi con Zingaretti? In fondo, ha fatto la guerra con i soldati che ha.
Severi con Zingaretti? C’è una bella differenza fra l’essere severi e avanzare delle critiche politiche, finalizzate ad allargare il campo antisovranista e renderlo credibile ed efficace. Insisto, non chiedete a noi di personalizzare la polemica a favore dell’uno o contro l’altro. Noi abbiamo sollevato un ventaglio di questioni e speriamo che anche questo piccolo nostro contributo sia letto in positivo.
Scusi se insisto, ma in questa posizione io vedo un atteggiamento radicalmente mutato da parte vostra. Dal sostegno acritico, alla critica a sinistra: “Un partito incapace di parlare ai sognatori è un partito già morto”. Le direbbero dal Pd: eravamo morti nel 2018, ora abbiamo vinto le elezioni.
Nessuno nega che le cose siano andate come Salvini non aveva previsto: lui parlava di un sei a zero ed è finito tre a tre. Non cerchiamo la polemica per la polemica e forse senza la sconfitta drammatica del 2018 anche le sardine non sarebbero nate. Certo che dobbiamo costruire, ciascuno per la sua parte, le condizioni per battere la destra, quando si tornerà alle urne per decidere il governo dell’Italia. Noi pensiamo che ci arriveremo più forti se coltiveremo di nuovo la passione per una politica trasparente, partecipata, davvero capace di coinvolgere ed includere.
Ma voi siete vivi? Il No al referendum è anche una vostra sconfitta.
Lei è il primo a riconoscere la presenza dei nostri parametri vitali, a meno che non stia pensando di intervistare, anche con un discreto piglio mordace, un’entità ultraterrena.
Gliela metto così, avendo votato no anche io. Parafrasando Woody Allen, “Dio è morto, Marx pure e io non mi sento tanto bene”. Beata lei che si sente bene.
Continuo a pensare che la nostra battaglia sia stata giusta e motivata e che quel 30 per cento di italiani che ha votato No – opponendosi a mani nude contro antipolitica, demagogia e populismo – oggi rimanga una comunità vigile e attenta alle evoluzioni di questa riforma, tanto più alla luce delle dichiarazioni eversive di Grillo e reazionarie di Di Maio, che vorrebbero introdurre lo strumento anticostituzionale del mandato imperativo. E su tutto, continua a valere il grande insegnamento di Che Guevara: l’unica battaglia persa è quella non combattuta.
Olè. Insomma, la vostra proposta al Pd in una riga: cambiate tutto, facciamo assieme una nuova cosa, altrimenti, come direbbe Saviano, andate al diavolo? È questo che state dicendo?
Diciamo così: cambiate tutto, a partire dall’agenda e dalla linea: lotta alle disuguaglianze e immigrazione, innanzitutto. Spalancate le finestre per far entrare aria fresca e mandar via gli olezzi, e aprite le porte per cacciare chi rappresenta il potere per il potere per il potere, senza scrupoli e cambiamento. Bisogna essere radicali e far pace con questa parola perchè, come diceva la filosofa, solo il bene è radicale.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL CAPO DELLA CORRENTE GRILLINA “PAROLE GUERRIERE”: “NE’ VOTO SU ROUSSEAU NE’ COMITATO DEI 10, ORA CI VUOLE UNA LEADERSHIP COLLEGIALE”
Onorevole Dalila Nesci, ‘Parole Guerriere’, di cui lei è animatrice, è la prima corrente dentro M5s? Possiamo usare questa definizione?
Chiamateci come volete. ‘Parole Guerriere’ è un’area all’interno del Movimento 5 Stelle. È una delle tante anime, noi organizziamo convegni e abbiamo già una nostra mozione. Molti hanno definito ‘Parole guerriere’ un think tank e da quando sono stati annunciati gli Stati generali abbiamo deciso che avremmo proposto una nostra mozione per il futuro del Movimento 5 Stelle. È così che deve essere il nostro congresso: un confronto tra mozioni, votare sulla piattaforma Rousseau non è un passaggio imprescindibile.
Grillina della prima ora, deputata al secondo mandato, Dalila Nesci è tra i protagonisti di questa fase. Durante l’assemblea dei deputati e senatori ha preso la parola per dire “no ai caminetti” e a una “gestione verticistica altrimenti il Movimento non sopravviverà : “E’ già in corso una disgregazione. Ora per ricostruire l’unità servono le mozioni: prima le idee poi le facce”.
Quanti parlamentari fanno capo a lei e a Parole guerriere?
Siamo più di 30. Serve creare le condizioni affinchè gli Stati Generali seguano un percorso con regole democratiche e partecipative per rappresentare tutte le idee in campo all’interno del M5S. Ci siamo aggregati su una proposta di evoluzione dell’organizzazione interno per passare da una forma liquida ed eterodiretta ad una strutturata e democratica.
Cosa c’è scritto in questo documento e cosa ne farete?
Si tratta di otto punti. Uno statuto democratico, un’organizzazione capillare sul territorio, un patrimonio autonomo, simbolo e piattaforma di proprietà del Movimento, una scuola di formazione politica come strumento per salvaguardare l’esperienza maturata dentro le istituzioni.
Vi considerate di destra o di sinistra?
Siamo il Movimento 5 stelle, non siamo al di fuori. Vogliamo trasformare il movimento in un’organizzazione politica democratica.
L’assemblea di ieri è servita a fare chiarezza o ha aggiunto solo altra confusione? Non si capisce se ci sarà un voto, casomai chi voterà . Saranno sufficienti le mail inviate dai parlamentari con le loro opinioni?
Noi abbiamo detto che dobbiamo scongiurare una votazione su Rousseau e che non possiamo più fare comitati che non rappresentano alcuna sintesi delle posizioni esistenti. Prioritaria per noi è la raccolta delle mozioni.
Mozioni come quelle del Pd quando fa il Congresso di partito?
Anzichè nominare un comitato di dieci persone, formato da deputati, senatori, europarlamentari come propone Crimi, noi chiediamo di raccogliere le mozioni. Quindi per noi prima le idee e poi le facce: i promotori di queste mozioni, sottoscritte da un numero rappresentativo di parlamentari e iscritti, faranno parte del comitato che disegnerà il perimetro organizzativo degli Stati Generali.
Vi è il rischio scissione all’interno del Movimento? Sareste pronti, voi di Parole Guerriere, se non dovessero ascoltarvi ad abbandonare il Movimento?
Il nostro contributo è per un Movimento unito e vivo. Dobbiamo garantire il sostegno a questo governo. Vedo una disgregazione che già esiste e una diaspora continua di colleghi che vanno in altri gruppi parlamentari.
Per quale ragione?
Il Movimento è in crisi identitaria e Parole Guerriere lo dice dal 2017. Quando è morto Casaleggio per noi è stato chiaro che non c’era più una guida intellettuale, ci rendevamo conto che stavamo finendo la nostra esperienza di opposizione. Dovevamo trasformarci e non lo abbiamo fatto per questo abbiamo dato vita a un ciclo di seminari, ne abbiamo fatti 21.
Gli Stati generali dovranno portare a capo politico unico o a una gestione collegiale?
A una governance collegiale e forte.
L’alleanza con il Pd va portata avanti anche sui territori?
Non dobbiamo precludere nessun dialogo o ipotesi di alleanze. Il problema non è l’alleanza ma avere una forte identità altrimenti verremo assorbiti dal bipolarismo.
Come capo politico meglio con Di Maio o con Crimi?
Entrambi sono la dimostrazione dell’inadeguatezza della forma liquida del nostro Movimento. Non per incapacità personale, ma sistemica. Chiunque fallisce in un Movimento come il nostro che è liquido, verticistico ed eterodiretto. Quella forma funzionava prima, quando eravamo all’opposizione, adesso che siamo forza di governo è inadeguata. Dobbiamo evolvere.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
LE INTERCETTAZIONI NEGLI ATTI DELLA PROCURA DI MILANO
“Prova a chiamare assessore (Cattaneo di Varese amico di Orrigoni) (…) sembra che siano molto interessati ai camici (…) questo mi dice assessore al Bilancio Caparini”. Così Roberta Dini, moglie del governatore lombardo Attilio Fontana, scriveva il 27 marzo al fratello Andrea Dini, patron della Dama spa.
Il messaggio, assieme a molti altri, è riportato negli atti dell’inchiesta milanese con al centro la fornitura di camici e altri dpi per mezzo milione di euro assegnata il 16 aprile all’azienda di Dini, di cui la moglie del presidente lombardo detiene il 10 per cento, da Aria, la centrale acquisti regionale, e poi trasformata in donazione parziale quando emerse il “conflitto di interessi”.
Roberta Dini in sei messaggi di fine marzo spiega al fratello anche che l’assessore lombardo Cattaneo “sembra sia molto attivo nell’approvvigionamento (…) ho avvisato la moglie di Cattaneo (che conosco un po’) che vuoi dare una mano. Lei dice che lui sa il tessuto. Le ho dato il tuo numero”.
La Procura ricostruisce pure che l’ex dg di Aria, indagato assieme a una dirigente, a Fontana e ad Andrea Dini, ha messo a verbale che l’11 maggio “era stato convocato dall’assessore Caparini”, non indagato così come Cattaneo, “per una riunione sullo stato dell’arte delle forniture” nell’ufficio di Giulia Martinelli, capo della segreteria della presidenza della Regione.
E’ l’occasione, stando al verbale di Bongiovanni, nella quale l’allora dg di Aria “rende edotta” Martinelli “del legame tra la società Aria” e la famiglia Dini.
“La Martinelli – ha spiegato Bongiovanni ai pm – mi chiamò l’indomani per confermarmi che aveva svolto delle verifiche e che il legame societario con la famiglia del Presidente sussisteva”.
Per i pm c’è stato “un diffuso coinvolgimento di Fontana in ordine alla vicenda” con “volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti”. Il governatore, invece, ha sempre respinto le accuse.
“Buongiorno Dr. Dini. Ha ricevuto l’ordine per i camici dalla nostra centrale acquisti Aria? (…) noi contiamo su di lei, come sugli altri che hanno riconvertito la loro produzione, per rifornire l’intero sistema sanitario lombardo sulla base delle priorità indicate dai nostri colleghi della sanità “.
Così l’11 aprile scorso l’assessore lombardo Raffaele Cattaneo con un messaggio si rivolgeva ad Andrea Dini, cognato del governatore lombardo Attilio Fontana e patron della società Dama. Il messaggio è negli atti dell’inchiesta milanese sul cosiddetto ‘caso camici’.
Negli atti i pm indicano anche un audio inviato a Dini da Paolo Zanetta, direttore di produzione di Dama, il 6 maggio nel quale quest’ultimo, riassume la Procura, spiega che “un soggetto di Centrocot (Centro tessile cotoniero, ndr) ha avuto notizia da Raffaele Cattaneo che le aziende riconvertite hanno diritto a 10 milioni di euro da dividersi”.
Ci sono anche alcuni messaggi del 16 maggio tra Dini e Zanetta sulla trasformazione della “fornitura in donazione”, che avviene proprio quel giorno.
Dini scrive: “Ovviamente tutti dico tutti sono nella lista di fornitori di camici. Armani, Herno, Moncler. Gli unici coglioni siamo noi”. E Zanetta: “Ma lo mandi a cagare e fatturiamo lo stesso”. Dini replica: “Non posso”. Agli atti anche la testimonianza di Cattaneo: “Conoscevo il marchio Paul&Shark e la Dama perchè sono di Varese. Ho ricevuto una telefonata da una persona di cui non ricordo il nome, con la quale mi veniva manifestato l’interesse di Dini a rendersi disponibile e io l’ho contattato. Lo conoscevo di fama ma non avevo rapporti personali (…) il primo colloquio è avvenuto a marzo e lui mi ha detto che aveva fatto delle donazioni all’ospedale di Varese (…) avendo una impresa valida, l’ho indirizzato”.
Cattaneo ha spiegato anche che il 19 maggio, dopo che la fornitura era stata trasformata in donazione, sentì al telefono Dini: “mi ha comunicato di aver deciso di trasformare la commessa in donazione per ragioni di carattere familiare e che avrebbe proceduto allo storno della fattura”.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DIECI GIORNI PRIMA DEL CONTRATTO SUI CAMICI: “E’ STATO LUI A DIRMI DI CONTATTARTI”
La Procura di Milano ha acquisito i contenuti degli smartphone di 11 persone, tra cui la moglie del presidente della Regione Lombardia, Roberta Dini, socia di minoranza della Dama spa, di suo fratello Andrea.
I pm cercano ulteriori scambi di messaggi avvenuti durante il periodo di emergenza sanitaria, quando la società ha sottoscritto un contratto senza gara per la fornitura di camici con la Regione Lombardia
Si fa sempre più traballante la difesa del governatore della Lombardia Attilio Fontana, che avrebbe saputo dell’affidamento senza gara per la fornitura di camici per la Dama spa, di suo cognato e sua moglie, solo l’11 maggio per caso dal suo staff e poi a giugno dalle interviste di Report.
Come emerge dalle carte della procura di Milano, che sta esaminando i contenuti dei cellulari di 11 persone, tra cui quello di sua moglie Roberta Dini, dal cellulare di suo fratello Andrea è partito un messaggio il 16 aprile alle 15:22, giorno dell’affidamento da parte di Aria spa, diretto a sua sorella che le comunicava l’«ordine arrivato», aggiungendo che: «ho preferito non scriverlo ad Atti». A quell’sms, la moglie del presidente della Lombardia rispondeva: «Giusto, bene così».
Secondo i pm ci sarebbe un diffuso coinvolgimento nella vicenda di Fontana, che ha tentato di «evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediamente messaggi scritti». Messaggi come quello del 16 aprile tra sua moglie e suo cognato, scrivono gli inquirenti, dubbiosi sul fatto che durante tutto quel giorno Fontana non abbia mai parlato della vicenda con sua moglie
Il messaggio al fornitore
Un altro messaggio complica la posizione del presidente della Regione e risale al 6 aprile, dieci giorni prima della sottoscrizione del contratto sui camici, che farebbe pensare a un aiuto concreto da parte di Fontana per suo cognato.
Quel giorno alle 9:50, un fornitore di tessuti si scusa con Andrea Dini perchè non ha modo di fornirgli il materiale di cui ha bisogno. Il fornitore, secondo i pm, sarebbe stato indicato dall’assessore regionale Raffaele Cattaneo, responsabile della task force regionale, che avrebbe avuto un «ruolo decisivo per consentire a Dama spa di riconvertirsi e poter formulare un’offerta».
A quell’sms del fornitore, Dini aveva risposto: «Non capisco. È stato Cattaneo e mio cognato il governatore Fontana a dirmi di contattarla. Dirò che si sono sbagliati».
Alle 13:32 il fornitore scrive a Dini di aver parlato con Cattaneo e comunica che sono disponibili 50 mila mq di tessuto
Il conflitto di interessi e la donazione
Che Andrea Dini e sua sorella fossero consapevoli del conflitto di interessi con il contratto stipulato con la regione e la parentela con Fontana emerge da diversi messaggi.
In uno del 21 aprile alle 6:47, Andrea Dini scrive a Paolo Zanetta, procuratore della società : «Dobbiamo donare molte più mascherine e averne però prova certa. Se ci rompono per le forniture di camici causa cognato noi rispondiamo così».
A maggio la fornitura diventa una donazione, da lì l’intenzione di Fontana di fare il bonifico, poi fermato per i sospetti dell’Antiriciclaggio, di 250 mila euro a modo di risarcimento per il mancato introito a suo cognato.
Sono le 18:48 del 25 maggio quando Roberta Dini scrive a suo fratello: «Mi chiama Attilio (già ti dice il cervello) per chiedermi numero fattura perchè ti ha fatto bonifico ma manca il numero della fattura».
Andrea risponde che il bonifico tra privati non va bene: «Digli di non farlo, fa più danni». La moglie di Fontana non riesce a ottenere informazioni sul bonifico, ipotizza sia stato fatto direttamente alla società .
A quel punto suo fratello si preoccupa: «Ma anche così è peggio. Mica posso fatturarglieli». E in un altro messaggio aggiunge: «Mette l’azienda nei casini. Calma e vedremo».
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
L’EX GOVERNATORE ANALIZZA GLI ERRORI DELLA LEGA: “NON CI SI PUO’ ASTENERE SULLA CONDANNA A LUKASHENKO”
“Salvini aveva parlato di un 6-0. Dichiarazione un po’ improvida”, questo il commento di Roberto Maroni sulle regionali appena passate. “Mi aspettavo un 4-2 e non un 3-3. Pensavo che Fitto avrebbe vinto”.
In un’intervista rilasciata a QN, l’ex governatore della Regione Lombardia analizza gli errori commessi dal suo partito e dal leader Matteo Salvini.
â€³È un momento delicato. Salvini ha una grande passione, è un grande comunicatore, sa quali sono i temi di cui si dibatte e sa come conquistare il consenso. Ha un solo difetto, ma grande: non ascolta chi lo critica. In questo è molto diverso da Bossi”.
Un esempio concreto a questa considerazione per Maroni viene proprio dal recente referendum cosituzionale (per il quale, “ho votato SI. È stata una vittoria anche della Lega non solo di Di Maio”). Giorgetti, pochi giorni prima del voto, si era schierato con il NO: se Salvini lo avesse ascoltato magari adesso la Lega si trovava in una condizione migliore. Salvini era in tempo a cambiare, a indirizzare la campagna elettorale in modo diverso e adesso ci troveremmo con la vittoria dei No, la fine dei grillini, la crisi di governo e le elezioni in primavera”.
Un altro errore, ribadito ancora una volta anche da Giorgetti, è stata l’astensione al Parlamento europeo sulla condanna a Lukashenko. Così, viene il dubbio che la scelta sovranista e antieuropeista abbracciata da Salvini possa non essere lungimirante.
“Col senno di poi sì, specie se non sei al governo e rischi di finire emarginato. noi siamo sempre stati per l’Europa dei popoli, mai antieuropeisti. Quella è la Le Pen. Salvini dopo le europee del 2019 avrebbe dovuto raccogliere l’invito di Conte e nominare lui il commissario europeo, Giorgetti o Garavaglia. Sarebbe stata tutta un’altra storia”.
Se la linea politica della Lega in Europa non lo convince, quella nazionale è sicuramente più positiva (“fino alle europee, adesso è in difficoltà ”).
Giudica il neo vincitore Luca Zaia un politico “bravo e appassionato del Veneto, un vero federaista”, ma non vede alcuno scontro interno per la leadership perchè Salvini “se riuscirà a superare questa fase difficile, resta il segretario senza competitori interni”. E, al Sud, la Lega dovrà molto probabilmente giocare di alleanze per ottenere dei risultati.
“ll voto al Sud è molto diverso da quello del Nord. Sono consensi che erano di Alleanza Nazionale e di Forza Italia. Credo che di qui al 2023 sarà Fratelli d’Italia a crescere da quelle parti. Vedo la Meloni in grande espansione al Sud”.
Infine un chiosa sul suo ruolo. Se non si vede sindaco di una città come Roma (alle elezioni il prossimo anno), allettante è l’idea di Milano.
L’altro giorno era a Roma e in molti mi hanno detto ‘vieni a fare il sindaco di Roma così le cose le mettiamo a posto’. Tranquillizzo i romani: non farò il sindaco di Roma. Milano? Me lo chiedono in molti. Credo sia presto per parlarne. In ogni caso Milano per il centrodestra è assolutamente contendibile”.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
COSI’ PENALIZZANO L’ITALIA RALLENTANDO I TEMPI
“Abbiamo urgente bisogno di un accordo globale sul pacchetto”, vale a dire sul quadro finanziario pluriennale Ue e il Recovery Fund, ma le trattative procedono “troppo lentamente” e così “corriamo il rischio di ritardare anche il Recovery Fund”.
Mentre si avvicina pericolosamente la scadenza per un’intesa sul bilancio europeo 2021-27 (fine anno), l’ambasciatore tedesco presso l’Unione Europea Michael Clauss lancia l’allarme con un’apposita nota.
Ancora una volta i freni arrivano dall’est dell’Europa: Viktor Orban minaccia di ritardare l’arrivo dei fondi del recovery fund. Ma l’ungherese non è l’unico.
Oggi nella riunione degli ambasciatori degli Stati membri, ben 7 paesi non hanno dato la luce verde: oltre all’Ungheria, anche la Polonia, che chiedono di non avere condizionalità sullo stato di diritto; e poi frugali che vogliono garanzie sui rebates.
Si fa presto a dire che per l’Italia sono previsti 209 miliardi delle risorse stanziate dall’Unione Europea a luglio per far fronte alla crisi finanziaria da covid. Ma da qui all’erogazione dei fondi ci sono ancora passi da compiere, per niente scontati.
Non ci riferiamo solo ai progetti che il governo dovrà presentare per avere accesso alle risorse. Prima di tutto ciò — i progetti definitivi dovranno essere presentati a partire da gennaio, esaminati entro aprile 2021 — è necessario che il Parlamento europeo raggiunga un’intesa con la presidenza tedesca dell’Ue, in rappresentanza del Consiglio degli Stati membri, sul bilancio europeo, la ‘culla’ del recovery fund.
L’Eurocamera però sta chiedendo di rafforzare le condizionalità che legano l’uso dei fondi al rispetto dello stato di diritto: una mossa che punta a colpire gli Stati dell’est, in particolare Polonia e Ungheria, da tempo nel mirino dell’Unione per queste violazioni, ma mai sanzionate dal Consiglio Europeo. E qui si è impantanato il negoziato. L’ungherese Orban non ci sta.
L’ungherese vuole che passi l’accordo raggiunto a luglio con gli altri leader europei, formula molto blanda sul rispetto dello Stato di diritto. Come contromossa, il premier di Budapest minaccia di non approvare in Parlamento il capitolo del recovery fund sulle risorse proprie, istituzione di nuove tasse comuni sul digitale, sul carbone, sulle transazioni finanziarie a garanzia del debito europeo da recovery fund. Ma se questo capitolo non viene approvato dai Parlamenti nazionali degli Stati membri, il recovery fund non parte.
Non solo Orban. Con lui, la Polonia. Ma oggi la faccenda si è complicata nella riunione degli ambasciatori degli Stati membri (Coreper). Sette Paesi non hanno sostenuto la proposta di una procedura scritta per l’adozione del capitolo ‘risorse proprie’, che avrebbe aperto la strada alle ratifiche dei parlamenti nazionali, per il Recovery Fund, spiegando di voler prima vedere l’insieme del pacchetto, compresa la decisione del Bilancio 2021-2027.
Secondo quanto si apprende da fonti diplomatiche europee, a negare la luce verde, per motivi diversi, sono stati i Paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia), la Finlandia, Polonia e Ungheria. In particolare i Frugali temono di vedere ridotti o cancellati i ‘rebates’ (gli sconti sul Bilancio) nella trattativa col Consiglio, mentre Polonia e Ungheria intendono vederci chiaro sulla condizionalità sullo stato di diritto.
Sono questi i passaggi ancora incompiuti che gettano un’ombra sulle risorse del ‘Next generation Eu’ o almeno sui tempi dell’erogazione effettiva. Lunedì ci sarà un nuovo round negoziale tra Parlamento europeo e presidenza tedesca. L’ambasciatore tedesco Clauss fa appello ad “aumentare notevolmente il ritmo dei negoziati”. Il bilancio comunitario per il 2021-2027 e il Recovery Fund “sono politicamente e tecnicamente inseparabili” e “il tempo stringe, scrive. “L’Europa deve mantenere la sua parola”, avverte Clauss sottolineando che la spaccatura più importante è sulla condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto.
“Siamo pronti ad accelerare i negoziati ma il Consiglio non mostra alcuna reale volontà di trattare”, risponde Johan Van Overtveldt, presidente della Commissione Bilancio dell’Europarlamento. “Gli Stati membri – continua – devono muoversi e presentare serie controproposte sulle integrazioni per i programmi dell’UE e sulle risorse proprie. Naturalmente il Parlamento non vuole giocare d’azzardo, il Trattato prevede una rete di sicurezza in caso di mancato accordo, un piano di emergenza, che sia la Commissione che il Consiglio si sono finora rifiutati di prendere in considerazione, che consentirebbe ai programmi di entrare in funzione il 1 ° gennaio 2021 sulla base degli importi 2020″. Cioè con meno soldi.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
IL NEW YOTK TIMES CITA VERTICI MILITARI CHE SI STANNO INTERROGANDO SU COSA FARE SE IL MILIARDARIO DOVESSE ORDINARE L’INVIO DELLE TRUPPE IN CASO DI PROTESTA POPOLARE
Un anti-democratico pronto a trascinare gli Stati Uniti nel caos: Donald Trump continua a ripetere che potrebbe non riconoscere eventuali risultati per lui negativi delle elezioni di novembre, ed al Pentagono crescono i timori che il presidente, in caso di caos e disordini post elettorali, possa mobilitare l’esercito.
E’ quanto scrive oggi il New York Times citando vertici, anonimi, militari che ammettono che si stanno interrogando tra loro sul comportamento da tenere nel caso che Trump – che anche in caso di sconfitta elettorale rimarrà presidente fino al prossimo gennaio – dovesse ordinare l’invio delle truppe per le strade.
Cosa che potrebbe fare invocando Insurrection Act, la legge che autorizza il dispiegamento di forze federali all’interno del Paese, come aveva più volte minacciato di fare durante i momenti più intensi delle proteste, la scorsa estate, di Black Lives Matter.
Allora sia il ministro della Difesa, Mark Esper, che il capo degli Stati Maggiori Riuniti, il generale Milley, si opposero e Trump alla fine rinunciò.
Ma secondo i media americani da allora Trump accarezza l’idea di liberarsi anche di questo capo del Pentagono, con i consiglieri che lo stanno esortando a non fare un cambiamento del genere prima delle elezioni.
Alle domande dei giornalisti che gli chiedevano delle sue precedenti dichiarazioni riguardo all’eventuale transizione, Trump ha ripetuto che “bisogna stare attenti alle schede, c’e una grande truffa, dobbiamo essere sicuri che elezioni siano oneste, ed io non sono sicuro che potrà essere con tutta questa situazione”. “Milioni di schede non richieste”, ha concluso ribadendo le accuse, senza portare prove, di brogli con il voto per posta.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2020 Riccardo Fucile
SOVRANISTI CHE NON ACCETTANO IL RESPONSO POPOLARE, ROBA DA MANICOMIO CRIMINALE
Trump e Bannon minacciano la guerra civile in caso di sconfitta alle elezioni Usa, che si terranno a novembre 2020.
Il presidente e il suo ex consigliere, infatti, hanno entrambi evocato scenari “apocalittici” qualora il tycoon non dovesse essere riconfermato alla guida della Casa Bianca. Alla domanda di un giornalista su come si sarebbe comportato in caso di vittoria di Biden, infatti, Trump ha di recente risposto: “Abolite le schede per corrispondenza e tutto sarà pacifico. Non ci sarà trasferimento dei poteri, francamente, ci sarà continuità ”.
Già da diversi mesi, infatti, il presidente uscente parla di possibili brogli alle elezioni presidenziali da parte dei democratici. Alla convention repubblicana, Trump aveva affermato: “L’unico modo per cui non vinceremo è solo se faranno brogli elettorali, e noi vinceremo”.
Opinione condivisa anche da Steve Bannon, ex consigliere della Casa Bianca, che ha profetizzato: “Ci sarà l’equivalente di una guerra civile, che comincerà la sera del 3 novembre, quando si rifiuteranno di dichiarare Trump presidente”.
Bannon lo ha dichiarato a un seminario il cui titolo non lascia spazio a interpretazioni: “I democratici stanno rubando queste elezioni”. Secondo l’ex stratega di Trump, recentemente arrestato con l’accusa di frode, i democratici intendono manipolare le elezioni presidenziali attraverso il voto postale.
“Il Covid è stato creato dal Partito comunista cinese, e i democratici pensavano che li avrebbe fatti vincere. Durante le primarie però si sono accorti che avevano terrorizzato così tanto i loro elettori, da rischiare la sconfitta. Il 69%, infatti, non vuole andare ai seggi. Allora hanno pensato questo complotto per rubare le elezioni, basato sul voto postale, inviando tra 60 e 80 milioni di schede da manipolare”.
(da agenzie)
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