Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
UNO DEI COMMERCIALISTI AVEVA AVUTO L’INCARICO DALLA LEGA: ACQUIRENTE UN IPERMERCATO
Michele Scillieri, uno dei commercialisti di fiducia della Lega arrestati nel caso Lombardia Film Commission, «si vantava delle amicizie che aveva con Di Rubba e altri esponenti locali della Lega, tanto da aver ricevuto un incarico per cercare di vendere la sede della Lega di via Bellerio».
Lo ha messo a verbale il presunto prestanome Luca Sostegni in un interrogatorio del 29 luglio. «Ricordo che c’era fretta di concludere l’operazione – ha spiegato Sostegni ai pm – perchè, trattandosi di un immobile di proprietà della Lega Nord, si correva il rischio del sequestro dalla Procura di Genova, in relazione alle indagini per la truffa sui rimborsi elettorali».
Sostegni ha raccontato che una mattina lui e Scillieri sono «andati a fare un sopralluogo presso la sede di via Bellerio». Di Rubba «è venuto a prenderci e ci ha portato dentro, si è parlato della volumetria e della somma che si sperava di realizzare».
L’intenzione, ha aggiunto, «era di vendere ad un ipermercato» e una parte «poteva ospitare degli appartamenti». Poi, «quando la Procura di Genova ha disposto il sequestro non se n’è fatto più nulla».
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
IL DIRIGENTE SCOLASTICO REPLICA: “I BANCHI ARRIVANO DOMANI, NON AVEVA SENSO PER UN GIORNO METTERE I BANCHI VECCHI”
Il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha pubblicato un post su Facebook, di bambini delle elementari in ginocchio nel loro primo giorno di scuola nell’era del coronavirus. «Cara Azzolina, questi sono gli alunni di una classe genovese, che scrivono in ginocchio perchè non hanno i banchi che avevate promesso. E non sarebbero gli unici purtroppo! I nostri bambini, le maestre e le famiglie — sottolinea Toti — non meritano questo trattamento. Un’immagine come questa non è degna di un Paese civile come l’Italia».
La foto dei bambini, ripresa da Toti, è stata scattata in un istituto del quartiere di Castelletto da alcuni genitori, ed è diventata virale sul web. Fino all’amplificazione portata dalla condivisione del governatore ligure.
Questa scuola non ha ancora ricevuto i banchi monoposto, una condizione che riguarda anche altri istituti, sono infatti circa 15 mila i banchi monoposto o a rotelle non ancora consegnati.
Il dirigente scolastico: «Bambini strumentalizzati. I banchi arrivano domani»
«I banchi, ordinati con largo anticipo, arriveranno domani pomeriggio e nel primo giorno di scuola, che è stato un giorno di festa, abbiamo solo evitato di rimettere quelli vecchi»: il dirigente scolastico dell’Istituto Castelletto di Genova, Renzo Ronconi ha spiegato il fatto.
«La foto – ha spiegato il preside – ritrae bambini che, durante una attività didattica stanno disegnando sereni in libertà : una ingenuità da parte dell’insegnante farla girare ma sbagliato e grave strumentalizzarla, strumentalizzando, con essa, soprattutto i bambini».
(da “il Secolo XIX”)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
VA DOVE GLI PARE, CON O SENZA ROSSETTO, NON SIAMO NELL’800… MA QUANDO SCENDERETE DAGLI ALBERI?
“Se una donna è bella per sua natura, ma se non si mette almeno un po’ di rossetto per addobbarla, ma dove va?”.
Parole di Luigi Perrone detto Gino: il candidato sindaco di Corato — già per due volte primo cittadino della città , nonchè ex senatore — tiene un comizio in piazza a pochi giorni dalle elezioni amministrative.
E il paragone è infelice, se non misogino: Perrone parla di verde urbano e opere necessarie per migliorare — o meglio, “addobbare” – l’immagine di Corato, e quando si sofferma sul degrado al cimitero parte il parallelo con la donna “bella per sua natura”, ma incapace di farsi notare “se non si mette almeno un po’ di rossetto”.
Perrone, al fianco di Raffaele Fitto sin dai tempi della nascita del suo Conservatori e Riformisti, è in corsa per il Comune (ora commissariato) con il sostegno di otto liste di centrodestra, che includono Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Udc
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
“INVITO TUTTI I PARLAMENTARI A FARE IL TEST ANTIDROGA INSIEME A ME”
Fedez e Chiara Ferragni sono al centro di una serie di polemiche in questi giorni.
Dal post sull’omicidio di Willy condiviso dalla Ferragni alla chiusura del profilo dell’autrice di quel post, l’attività social dei due si lega sempre più all’ambiente politico del paese.
Non tardando ad arrivare, dopo gli hater, anche i politici. Come riporta Il Tempo e come Fedez fa notare sui suoi profili social la Meloni ha affermato che Fedez e Chiara Ferragni «sono distanti anni luce da qualunque cultura. Escludo che abbiano mai letto un libro» aggiungendo «mi chiedo solo come mai la Ferragni e Fedez non facciano una bella campagna contro la diffusione della cocaina tra i giovani». Potrebbe essere l’inizio di una lotta social Fedez Meloni.
Sulla questione della droga Fedez è chiaro. Come si può vedere nelle sue storie, il rapper parte sottolineando la coerenza di Giorgia Meloni.
La leader di FdI parla di campagna antidroga da parte dei Ferragnez ma uno dei suoi è stato scoperto dai carabinieri ad acquistare droga.
Il titolo a cui fa riderimento Fedez — «Assessore comunale di Fratelli D’Italia sorpreso dai carabinieri ad acquistare cocaina» — è una notizia che riguarda Luca Cavalieri, esponente di Fratelli D’Italia.
Nelle ultime storie di Fedez si vede l’invito diretto a deputati e senatori a sottoporsi ai test antidroga insieme a lui.
Nelle sue stories Fedez fa anche vedere la libreria di casa sua in risposta alla provocazione della Meloni, che ha posto lui e sua moglie lontano anni luce dalla cultura. Tra i suggerimenti dati da Fedez e i libri nella sua libreria spunta anche “Quando c’era lui”, fumetto di Daniele Fabbri e Stefano Antonucci. Facendo ironia sul fumetto Fedez sottolinea: «Quelli di Casa Pound erano andati a spaccare il banchetto».
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
“DIVERSI PORTAVOCE DA MESI SONO VENUTI MENO ALL’IMPEGNO”… NESSUNO GLI VIETA DI CONTINUARE GRATIS, PER PURA MILITANZA
I parlamentari grillini non pagano i 300 euro alla piattaforma Rousseau e Davide Casaleggio taglia i servizi al Movimento Cinque Stelle. Il figlio del fondatore del Movimento ha preso carta e penna e scrive agli iscritti all’Associazione per mettere sotto accusa deputati e senatori morosi. “Caro iscritto, ti scrivo per comunicarti che, a causa delle protratte e gravi morosità di diversi portavoce del MoVimento 5 Stelle che da troppi mesi hanno deciso di venir meno agli impegni presi, saremo costretti a ridurre progressivamente diversi servizi e strumenti le cui spese di funzionamento, in assenza delle entrate previste, non risultano ovviamente più sostenibili”, spiega Casaleggio junior.
“All’atto della candidatura – ricorda . i portavoce del MoVimento 5 Stelle (ad eccezione degli eletti nei Comuni e nei Municipi) hanno sottoscritto l’impegno di versare un piccolo contributo, circa un quarantesimo della propria retribuzione (300 euro), al fine di garantire all’intera comunità del MoVimento 5 Stelle di potersi dotare dei servizi minimi e necessari per il mantenimento di quella che ancora oggi rappresenta la prima forza politica del Paese e soprattutto per poter consentire a tutti gli iscritti, che non rivestono posizioni economicamente e politicamente privilegiate come quelle dei portavoce in Parlamento, in Regione e in Europa, di poter avere strumenti gratuiti e accessibili di partecipazione alla vita politica”.
Il figlio del co-fondatore del Movimento continua: “Come Associazione Rousseau siamo riusciti, con fatica e sacrificio, a far sì che il MoVimento 5 Stelle potesse avere tutte le attività necessarie per il suo mantenimento utilizzando importi infinitamente inferiori (1,3 milioni) a quelli impiegati da altre forze politiche (Lega 8 milioni, Forza Italia 6,6 milioni e Fratelli di Italia 2,6 milioni) che vedono nei propri bilanci spese sensibilmente più elevate, fino a nove volte superiori, pur avendo, molti meno rappresentanti in Parlamento rispetto al MoVimento 5 Stelle”.
Casaleggio, poi, prosegue: “Siamo orgogliosi come Associazione Rousseau di aver accompagnato il MoVimento 5 Stelle in tutti questi anni nel percorso che lo ha portato a diventare da forza politica di opposizione a forza di Governo e siamo orgogliosi di esserci presi cura di tutti quegli aspetti spesso non visibili, ma fondamentali, che hanno assicurato al MoVimento di poter percorrere questo viaggio sapendo di avere alle spalle qualcuno impegnato a proteggerle ogni giorno”.
E ancora, scrive il presidente dell’Associazione Rousseau: “In questi anni ci siamo dedicati, come compagni di viaggio silenziosi e affidabili, a costruire le fondamenta, a proteggere le mura e a promuovere la vita all’interno di una casa che potesse accogliere una comunità straordinaria di cittadini come quella del MoVimento”. Ma, conclude Casaleggio, “alla luce delle gravi inadempienze e del mancato rispetto degli impegni presi, saremo quindi costretti a ridurre risorse, strumenti e servizi non potendo più sostenere le spese e qualora tali condizioni permangano non sarà più possibile garantire l’infrastruttura organizzativa, amministrativa, tecnologica e comunicativa, nonchè la tutela legale e le attività di formazione necessarie per il MoVimento 5 Stelle. Il meccanismo di sostentamento attraverso il contributo dei portavoce di 300 euro è quello che abbiamo adottato negli ultimi due anni, dopo averne sperimentati diversi nei tredici anni precedenti senza mai aver attinto a finanziamenti pubblici dei quali con coerenza non faremo mai uso”.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
MANCA UNA LEGGE E QUANDO C’E’ UNA DENUNCIA NON VIENE REGISTRATA COME TALE
Michele Gaglione voleva dare una lezione alla sorella Maria Paola e al fidanzato, colpevole secondo lui di averla infettata in quanto transessuale. Quindi ha inseguito la coppia in motorino, sulla strada tra Acerra e Caivano, fino a speronarli. La sorella è morta, mentre il fidanzato Ciro è finito all’ospedale.
È questo l’ultimo delitto che ha come causa l’omotransfobia. Delitto in cui l’aggressore è mosso dall’odio nei confronti di un orientamento sessuale che non riesce ad accettare perchè diverso dal suo.
Ma quanti episodi simili accadono in Italia? Qualcuno lo si riesce a far emergere, perchè coraggiosamente denunciato.
Come per esempio è accaduto a inizio estate a un universitario di 25 anni a cui è stata spaccata la mandibola nel lungomare di Pescara. Il motivo? “Passeggiavo mano nella mano col mio fidanzato”, ha spiegato la vittima. O come la coppia più volte aggredita nel centro di Verona e minacciata fin nella loro abitazione tanto da dover provvedere da sola a difendersi con una sorta di recinto abusivo.
Altri casi purtroppo arrivano alle prime pagine dei giornali perchè hanno per epilogo l’omicidio. Proprio come nel caso di Maria Paola, o, per ricordarne un altro, quello di Umberto Rainieri, artista 53enne di origini abruzzesi col nome d’arte Nniet Brovdi. Rainieri è stato ucciso a Roma con un pugno in pieno volto che lo ha fatto cadere sull’asfalto dove ha sbattuto la testa. Il suo compagno non ha dubbi che la violenza sia stata scatenata dall’omofobia.
Ma la maggior parte delle aggressioni, delle minacce, degli insulti dovuti all’orientamento sessuale è difficile da registrare e da far emergere. Un po’ perchè manca la copertura normativa, un po’ perchè molte volte denunciare questi casi vorrebbe dire fare coming out.
Come spiegano ad HuffPost dalll’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). Che ha come obiettivo proprio quello di fornire supporto alle persone vittime di reati a sfondo discriminatorio, ovvero i cosiddetti crimini d’odio. “Per i delitti che hanno come causa l’omotransfobia spesso ci troviamo di fronte a due fenomeni. L’under-reporting e l’under-recording. L’under-reporting è la mancata denuncia. Mentre l’under-recording è quando, essendoci la denuncia, il delitto non viene registrato con la sua matrice, in questo caso quella omofobica. Questo avviene perchè manca una norma specifica e quindi è impossibile avere statistiche ufficiali”.
A differenza per esempio dell’aggravante razziale o religiosa prevista dall’articolo 604 bis del codice penale. Norma su cui in Parlamento si sta discutendo affinchè si aggiunga anche quella per l’omotransfobia.
C’è chi però ha cercato di delineare un quadro preciso e il più completo possibile sull’omotransfobia. Il giornalista Simone Alliva ha infatti da poco pubblicato un libro inchiesta per Fandango libri, Caccia all’omo e ad HuffPost offre qualche numero frutto del suo lungo lavoro.
“Di dati ufficiali purtroppo non ne abbiamo per motivi ormai noti spiega -, da una parte perchè manca un reato di riferimento e dall’altro perchè denunciare presuppone fare coming out”. I dati raccolti da Alliva nel suo libro però non sono confortanti. “Cercando di appuntarmi ogni piccolo trafiletto anche nelle cronache locali e facendo una lunga ricerca sono riuscito ad arrivare a questi numeri certi. Nel 2017 abbiamo avuto 144 aggressioni. Nel 2018, 211. Nel 2019, 212 aggressioni e due omicidi. Mentre nel 2020 già abbiamo quattro omicidi”. Numeri che dovrebbero, almeno, fare riflettere.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
LE PAROLE DELLA MADRE ACCENDONO UN BARLUME DI SPERANZA NELL’IMMENSO DOLORE
Trarre qualcosa di buono dalle macerie. La storia di Maria Paola e Ciro è sotto gli occhi di tutti in questi giorni.
La morte della 22 enne ha acceso i riflettori, ancora una volta, sulla società maschilista in cui un uomo impedisce a una donna di scegliere con chi stare perchè la possiede — il diritto di un fratello sulla sorella — e su omofobia e transfobia.
L’ignoranza di base che anima questo paese sulla tematica transessualità l’abbiamo vista anche da come la delicata situazione è stata trattata nei giornali e telegiornali, con il Tg1 che è arrivato a chiamare il giovane Ciro con l’appellativo di Cira. Le parole dette dalla madre di Ciro sono una piccola goccia di luce in un mare di dolore.
Non solo il racconto aberrante di ciò che la famiglia di Maria Paola diceva su Ciro e sulla loro relazione ma anche le parole di Ciro, che nella vita ha già sofferto molto per la sua giovane età . Di se stesso e di chi è Ciro lo sa da quando aveva 15 anni. Già allora si sentiva un uomo dentro il corpo di una donna — un sentire che in molti nemmeno lontanamente provano a comprendere ma che tutti si sentono in diritto di giudicare — e per lui non è stato facile mai, in nessun momento. «Ne ho parlato subito con mia madre», ha detto Ciro, «ci ha messo cinque anni per accettarlo, ma non mi ha mai lasciato solo».
La madre di Ciro è una madre come tutte le altre. Ama suo figlio e lo ama profondamente. Mette l’amore davanti a tutto e le sue parole commentando questa penosa vicenda mostrano una donna che ha avuto bisogno di tempo per superare tutti i dogmi e i preconcetti di una cultura arretrata e primitiva ma che ha scelto di far vincere il giusto, l’amore.
«Non volevo ammetterlo, sono sincera. Ho sofferto. Ho pianto»: queste le parole di Rosa per descrivere i primi momento dopo aver scoperto la natura del figlio, parole familiari per tante persone LGBTQ che si sono trovate a parlare di se stesse con i propri genitori.
Rosa, però, ha una marcia in più: «Non l’ho mai trattato male. Non ci ho mai pensato a cacciarlo di casa. Mi sono sforzata di comprendere. Mi sono confrontata con le mie amiche. E anche se non ho studiato, ho capito. Meglio così, mi sono detta, che non avere più un figlio. Se si fosse ammalato, l’avrei perso. È la sua natura, è mio figlio». Le parole di questa madre distrutta e che ha sofferto insieme al figlio nella vita — non tanto per la natura di quel ragazzo ma per tutto il resto del mondo e il diritto di giudicare che misteriosamente tutti sentiamo nostro — sono una prova.
La prova che un genitore che ama il figlio non ha bisogno di essere progressista, laureato, istruito, di ampie vedute per accettarlo.
Gli basta essere un essere umano decente.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
UNA FOTO FATTA CIRCOLARE DAI SOVRANISTI TAGLIANDO LA DIDASCALIA MOSTRA SOLDATI CON UNA BANDIERA… MA ERA STATA SCATTATA PROPRIO PER FESTEGGIARE LA SCONFITTA DEI TERRORISTI A SULUK
Il web offre un’opzione molto semplice per verificare se quel che ci viene proposto sia reale, sia una bufala o sia frutto di una completa disinformazione: la ricerca per immagini. Si parla della fotografia che sta facendo il giro dei social in cui si accomuna una bandiera dei gruppi Antifa a quella dell’Isis. Lo scatto, decontestualizzato, viene utilizzato per accusare di terrorismo (seguendo la linea trumpiana) i militanti. Ma la realtà offre una versione diametralmente opposta delle ricostruzione comparse sul web. Il rapporto Antifa Isis non esiste. Anzi, la foto mostra una vittoria nei confronti dei terroristi dello Stato Islamico.
Questo è la foto Antifa Isis che ha provocato molte reazioni sui social.
Si mostrano quattro soldati che posano con la bandiera ‘Antifaschistische Aktion’ davanti al vessillo dell’Isis (che, purtroppo, è ben noto per via degli atti di terrorismo, sangue e morte portati avanti negli ultimi anni). E così decontestualizzata, sui social è partito l’attacco ai militanti Antifa, rei — secondo questa disinformazione — di lavorare a sostegno dello Stato Islamico. Insomma, come terroristi. Ma questa immagine, in realtà , mostra l’esatto opposto. Eccola con la didascalia.
L’immagine, in realtà , risale al 2018 ed è stata scattata dopo la riconquista della città Siriana di Suluk da parte dei soldati dell’IFB (International Freedom Battalion). Con tanto di rivendicazione social.
Insomma, bastava una rapida ricerca su Google per arrivare alla verità attorno a quella foto che mette in correlazione Antifa Isis. E, invece, quello scatto è stato talmente stravolto dal suo senso originario: si celebrava una vittoria sull’Isis (le battaglie sono state raccontate anche da Rolling Stone nel luglio del 2018), non il contrario.
(da agenzie)
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Settembre 14th, 2020 Riccardo Fucile
100.000 PERSONE IN PIAZZA ANCHE IERI, OLTRE 700 PATRIOTI ARRESTATI DAGLI SGHERRI DEL REGIME SOVRANISTA: “QUANDO CI FERMANO CERCHIAMO DI TOGLIERE LORO IL PASSAMONTAGNA, VOGLIAMO SAPERE DOVE VIVONO LE LORO MOGLI E FIGLI, COSI’ HANNO PAURA CHE GLI ROVINIAMO LA VITA”
C’è una cosa che rende fieri tutti i bielorussi in questi giorni di grande speranza per un cambio epocale: l’unità . “Non era mai successo prima che fossimo così uniti. Le persone che prima protestavano si potevano contare sul palmo della mano ed erano visti come pazzi. Nessuno sembrava poter avere il coraggio di reagire. Oggi invece mi sento fiero”, commenta Denis, 38 anni. “Abbiamo superato le nostre paure. Il luogo comune del ‘non facciamo nulla per non peggiorare le cose’. Ora la gente non ha paura di esprimere il proprio pensiero” racconta invece Tom, 36.
A dimostrazione che la popolazione non ha più paura, molti si riuniscono nei cortili delle case e nei quartieri per cantare, discutere, ascoltare musica popolare. È un momento conviviale, dove famiglie portano da mangiare, allestiscono bancarelle.
Le bandiere a strisce bianche e rosse — che rappresentano la bandiera nazionale prima che il presidente Alexander Lukashenko cambiasse i colori in verde e rosso — sventolano ovunque. “Finalmente la popolazione si è svegliata. Ha capito che deve combattere per i propri diritti e che ha il potere di scegliere chi votare” dice Aleksej, 38. Da questi incontri partono poi tutti i cortei giganteschi, chiaramente proibiti dalla legge (e la polizia lo fa notare con il megafono molto spesso, ricevendo come risposta una ola di fischi e grida di felicità ).
Questa reazione, tanto attesa da molti, è dovuta però passare attraverso un periodo di tensioni e di incertezza, caratterizzato dalla repressione brutale delle forze dell’ordine, delle prime manifestazioni dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto scorso, dalle quali il presidente — in carica dal 1996 — ha ottenuto l’80% dei voti insieme all’accusa, però, di brogli elettorali. Ed è proprio la violenza che ha scatenato la reazione gigantesca, inaspettata.
È sabato pomeriggio. La gente siede fuori dai bar, beve o mangia. La temperatura lo permette ancora. Telegram suona in continuazione. I vari siti di informazione non ufficiali (ovvero non governativi), pubblicano sulle loro pagine del social criptato. Sono diventate virali, contando più di 2 milioni di persone. È uno dei simboli di questo cambio.
L’appuntamento è alle 3 del pomeriggio in piazza di fronte al palazzo del comune di Minsk. Inizia così la marcia delle donne. “Visto che la polizia si comporta in maniera violenta contro gli uomini, ci siamo attivate noi donne, sperando che si comportino meglio. Siamo pacifiche. Il presidente non ha capito che è un punto di non ritorno e più protestiamo più la gente si unisce” commenta Irina, 32. Sono le donne ad essersi messe in gioco per proteggere i propri mariti, spesso picchiati a sangue e torturati.
Di fronte all’edificio del comune sventolano bandiere bianche e rosse, gridando tutte insieme. All’improvviso, uno squadrone di Amon, le temute forze speciali della polizia composte da agenti alti, piazzati e con la faccia coperta da passamontagna neri, esce da furgonicini Volkswagen blu senza targa o da Van mercedes verde militare. Si fiondano sulla folla.
Alcune donne vengono portate nelle auto con la forza, mentre dall’altro lato della piazza entrano tre Autozag, i così chiamati camion militari verdi per trasportare prigionieri, che circondano il perimetro.
I ristoranti continuano a servire. Ma chi fa foto o filma se la dà a gambe. I giornalisti pure. Gli Amon arrestano tutti. A volte anche passanti.
Le donne in prima linea si asserragliano, mettendosi a braccetto. Ma non è sufficiente. A decine vengono arrestate. Quando i camion sono stracolmi di prigionieri, ripartono fra le grida della gente. Nessuno demorde. Dopo qualche minuto, un altro assembramento si crea appena più sotto, nel parco di fronte alla cattedrale. È un nuovo corteo infinito, che canta e grida all’unisono “lunga vita alla Bielorussia”, una frase che fa imbestialire le autorità perchè non è lo slogan ufficiale.
“La brutalità della repressione, le contromisure quasi inesistenti contro il coronavirus e i brogli elettorali, sono state fra le ragioni che hanno fatto reagire così tante persone”, continua Denis. Essendo produttore cinematografico, è stato testimone in prima persona degli accadimenti dei primi tre giorni di proteste fra il 9 e il 12 agosto, quando la polizia ha picchiato, incarcerato e torturato molte persone.
Sono gli Amon ad essere l’elemento di forza che permette ancora al governo di fare la voce grossa. Incutono terrore, catturando prigionieri come fossero prede per portarli nelle numerose carceri, la più temuta di queste Akrestino, dove si narrano cose terrificanti avvenute nelle settimane precedenti. Ma tutto ciò sembra aver avuto l’effetto opposto, incitando le persone a protestare più fortemente.
Il giorno dopo, domenica, è quello della grande manifestazione organizzata. Quello in cui le persone si radunano in massa. Gli Amon hanno un gran da fare. Già di mattina, orde di poliziotti preparano le loro corazze. Gli Autozag raggiungono in massa le arterie deserte centrali della capitale. Sembra che una guerra sia in procinto di iniziare.
Verso le 2, ora d’inizio della manifestazione, tre signore si fanno strada verso Stella, un monumento sovietico, dove tutto dovrebbe cominciare. Mentre l’auto scorre nel traffico, raccontano. Nelly, 71, parla anche inglese. “Io vado a protestare perchè non voglio che i miei nipoti lascino il Paese. Ma con questo presidente è impossibile”.
È così emozionata che dice di sentire il bisogno di piangere. Ogni bielorusso che crede nel cambio vede dell’incredibile in ciò che sta succedendo. Pare quasi un sogno. “La gente si è riversata in piazza perchè non ne poteva più — commenta invece Helen, al volante —chi è disoccupato deve pagare le tasse. E nelle campagne, chi guadagna meno di 100 dollari al mese deve pagarne 400 di tasse all’anno. Molti si sono suicidati. Per non parlare dei numerosi cervelli in fuga. Chi può, scappa”.
Stella è protetta da centinaia di soldati dell’esercito che mettono musica sovietica al massimo volume per depistare le persone. Alle 2, la manifestazione ha inizio. Il segnale Internet non funziona più. Nessuno può comunicare. Molti si perdono nel corteo, da decine di migliaia di persone. Dai balconi, le persone gridano incitando i manifestanti. Tutti rispondono a tono per ringraziarli. Ci sono anche i contrari, che sputano. Su molte finestre sono appese bandiere rosse e bianche.
I passanti in macchina suonano il clacson e mostrano le due dita a “v”, in segno di vittoria e pace. Tutti gridano dalla gioia. Sembra una festa. Tuttavia, la mattina gli Amon hanno già incarcerato decine di persone. Nessuno però si ferma. Intere famiglie con bambini piccoli, anziani, giovani. Tutti sono presenti. Le bandiere sventolano, c’è chi si traveste. Chi porta acqua per dissetare i manifestanti. I canti, però, fanno capire anche la frustrazione: “Vattene a fare in c**o e muori” (cfr. Lukashenko) o “Lukashenko nell’Autozag”. Tutto scorre tranquillo. Poi, all’improvviso, macchine della polizia con Autozag irrompono nel mezzo della gente. Bisogna scappare in fretta.
L’obiettivo del corteo è quello di arrivare fino a Drozdy, il quartiere periferico dove vive l’èlite del Paese. All’entrata, però, è posto un grandissimo battaglione di poliziotti. Nessuno reagisce. I poliziotti non attaccano la massa, aspettano. Il corteo torna indietro, gridando “Torneremo”. Non appena i gruppi diminuiscono, gli Amon entrano in scena attaccando. Alla fine della giornata più di 750 persone sono state arrestate.
Le forze speciali però non sembrano aver spezzato la fermezza di una popolazione convinta che sia necessario una grande cambiamento. Anzi, gli Amon sono stati la vera causa dell’aumento esponenziale della popolazione presente alle manifestazioni. “C’è un elemento in più penso, Olga Tikhanovskaya. La sua lotta, per difendere suo marito e liberarlo candidandosi a presidente alle elezioni, ha motivato un sacco di persone” afferma Denis.
In tutto questo, Minsk sembra vivere normalmente. La gente esce la sera, i caffè sono pieni di gente che beve per strada. Anche se, all’improvviso, piccoli focolai di persone si radunano, protestano, cantano.
Davanti a gente che pranza gli Amon escono dai furgoni, arrestano due o tre persone e se ne vanno. Molti, per difendersi, cercano di togliere loro i passamontagna per mostrare il viso. Alcuni, smascherati, sono stati idientificati.
Su Telegram appaiono alcune loro foto in abiti civili e vengono pubblicate con nome, cognome, data di nascita e indirizzo di casa.
“L’obiettivo è quello di rovinare la loro vita. Vogliamo sapere dove vivono le loro mogli e dove vanno a scuola i loro figli. Così hanno paura”, conclude Nelly. Non possono più uscire senza che qualcuno sappia chi siano.
Per ora la popolazione è convinta di continuare sulla via del pacifismo. Ma il governo non ha dato molti segni di cedimento e Lukashenko sembra avere la mano ferma sulla situazione. Le sanzioni e una popolazione sempre più frustrata però potrebbero essere troppo. “Potrà continuare per mesi ma ce la faremo”, conclude Tom.
(da agenzie)
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