Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE DELLA FILIALE UBI DI SEGRATE VUOTA IL SACCO
I “conti” delle società riconducibili ad Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due revisori contabili per la Lega in Parlamento ora ai domiciliari assieme all’altro commercialista Michele Scillieri, erano “finalizzati a ricevere e immediatamente trasferire somme di denaro” e venivano ‘spogliati’ quasi “interamente della liquidità giacente”.
Lo ha messo a verbale Marco Ghilardi, il testimone ormai noto dell’indagine milanese ed ex direttore della filiale Ubi di Seriate (Bergamo), il quale ha raccontato ai magistrati che “la quasi totalità di movimenti” su quei conti, aperti nell’istituto di credito, era a “somma zero” e riguardava “entità collegate al partito della Lega”.
Il bancario, nella seconda deposizione davanti all’aggiunto Eugenio Fusco e al pm Stefano Civardi del 24 luglio, ha spiegato punto per punto le anomalie sui conti della Sdc srl e dello Studio Cld, che facevano capo ai due contabili leghisti.
“Anomalia numero uno: tutto ciò che entrava, nel giro di pochi giorni fuoriusciva a favore di società o persone collegate, chiudendo sempre a pareggio. Anomalia numero due – ha aggiunto il teste – assenza di uscite a titolo di spese per retribuzioni e compensi o distribuzioni di utili”.
Le entrate, ha chiarito, “provengono da Radio Padania e Barachetti service srl, mentre le uscite sono destinate a Di Rubba, Manzoni, Centemero e Studio Dea Consulting”.
In particolare, “dai flussi finanziari” sul conto della Sdc, tra marzo 2016 e settembre 2019, “emerge – ha detto Ghilardi – il ritratto di una società fantasma, senza margini di profitto nè amministratori, dipendenti, collaboratori”. E un “dato che mi salta all’occhio è l’improvviso azzeramento dell’operatività del conto, a partire da aprile 2018”.
“In buona sostanza – ha spiegato Ghilardi – dal 2009 al 2018, Di Rubba ha sempre spostato la portabilità dei suoi conti presso filiali da me dirette”.
E sul conto dello Studio Cld e sui movimenti tra gennaio 2016 e giugno 2019 il bancario ha ribadito: “Sia gli accrediti che gli addebiti registrati sono disposti da e verso persone fisiche e giuridiche collegate al partito della Lega”. Le entrate “provengono nella quasi totalità da Lega Nord, Sdc, Editoriale Nord e Barachetti; le uscite, invece, sono destinate quasi esclusivamente in favore di Di Rubba, Manzoni e Studio Dea Consulting”.
E ancora: “Tutto sempre a pareggio: in prossimità della ricezione di bonifici in entrata, lo stesso giorno e nei giorni immediatamente successivi, vengono disposti dei bonifici in uscita pressochè di pari importo in modo frazionato e con causali ‘pagamento fatture'”.
Il bancario li ha definiti conti per “meri rapporti di transito”. Una volta “ricevuti gli accrediti da entità collegate al partito Lega, dal conto dello Studio Cld vengono disposti dei bonifici, a titolo di pagamento ‘fatture’, in favore di Manzoni e Di Rubba, sebbene gli stessi siano anche soci e amministratori dello Studio Cld, è una cosa strana”.
Sono proprio queste alcune delle anomalie dei flussi finanziari su cui stanno indagando i pm milanesi, in contatto anche con quelli genovesi che hanno in mano il fascicolo sui 49 milioni spariti.
“L’unica ragione sottesa a questi pagamenti triangolari – ha messo a verbale Ghilardi – potrebbe risalire all’intenzione di trasferire soldi”. Negli stessi passaggi del verbale Ghilardi racconta di un’altra operazione, già nota, e che non andò in porto: in una telefonata del febbraio 2018 Manzoni gli fece una richiesta che gli rimase “impressa”, dicendogli “ho parlato anche con Alberto. Se ti interessa potremmo aprire presso la tua filiale i conti di Radio Padania e delle Sezioni provinciali o regionali della Lega”.
(da “La Stampa”)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IL TIMORE DI ESSERE LA VALVOLA DI SFOGO DI TUTTI I MALUMORI… INTANTO GRILLO FA PACE CON CASALEGGIO
Il capo politico, diventato bersaglio di tutti gli attacchi, rovescia il tavolo.
Siamo alla commedia dell’assurdo. Vito Crimi, reggente M5s, convoca un’assemblea con tutti i deputati e i senatori. Nel senso che manda una mail con la richiesta di partecipare all’incontro giovedì alle 18.
Ma ventiquattro ore prima dell’evento, che si prospetta infuocato, decide di non presentars, come confermeranno più tardi i capigruppo di Camera e Senato.
Insomma il padrone di casa potrebbe non aprire la porta d’ingresso. E lo fa regolamento alla mano.
Secondo quanto riporta l’Adnkronos, su Crimi è forte il pressing dei consiglieri regionali pentastellati, che vorrebbero essere presenti alla reunion capitolina. Quindi il reggente si è trovato di fronte a due possibilità : non andare alla riunione oppure prendere parte fissando un nuovo appuntamento con i consiglieri regionali, verosimilmente già lunedì. Alla fine ha optato per la prima.
A giustificare l’assenza ci pensa lo statuto del M5S, che all’articolo 7, che disciplina il ruolo del capo politico, prevede che coordini “gli eletti del M5S e, in particolare, concerti l’azione politica con i capigruppi parlamentari”.
Per questo, scrivono i capigruppo Crippa e Perilli, “l’assemblea rientra nella normale attività che i gruppi svolgono in autonomia e in linea con quanto previsto dallo statuto. All’ordine del giorno di domani sono stati posti anche gli Stati Generali e quindi, come è normale che sia, sarà argomento di confronto. I capigruppo riporteranno al capo politico l’orientamento dell’assemblea”.
Un escamotage, utilizzato da Crimi, per tenersi alla larga dalle accuse che gli potrebbero arrivare faccia a faccia. Accuse, neanche troppo velate, che viaggiano nelle dirette Facebook.
Il primo a dire che ci sono stati errori e che le elezioni regionali potevano essere organizzate meglio è stato l’ex capo politico Luigi Di Maio, tornato protagonista. L’assemblea, convocata per parlare del Congresso grillino, potrebbe trasformarsi nello sfogatoio post voto che ha visto i 5Stelle perdere tutte le regioni e inabissarsi al 10%.
C’è un Movimento da ricostruire. A sentire l’aria che tira dentro, Luigi Di Maio e Beppe Grillo non erano così uniti dai tempi dell’incoronazione a capo politico. Ma ci sarebbe un’altra novità , stando sempre alle voci raccolte in queste ore, anche Beppe Grillo e Davide Casaleggio hanno ricucito i rapporti.
Prova ne è il fatto che il fondatore del M5S, parlando a un convegno a Bruxelles, è tornato a difendere la piattaforma Rousseau e il sistema della democrazia diretta e, nei giorni scorsi, avrebbe visto Davide Casaleggio.
Tornando alle beghe interne il Garante M5s avrebbe visto Davide Casaleggio la scorsa settimana. I due hanno parlato di una grana alquanto spinosa, anche perchè, come è noto, i deputati e senatori in assemblea hanno intenzione di porre la seguente domanda: “Perchè versiamo i soldi all’associazione Rousseau? Che titolo ha Davide Casaleggio?”. Grillo prova a mediare e Casaleggio offre una proposta.
L’associazione Rousseau potrebbe diventare un ‘fornitore di servizi’, dunque figura esterna al Movimento, abbandonando gradualmente, un passo alla volta, il ruolo di colui che è considerato a tutti gli effetti detentore delle chiavi della piattaforma dove gli attivisti grillini possono esprimere il loro voto.
La exit strategy consentirebbe, in sintesi, di continuare a garantire a Milano il pagamento dei 300 euro mensili chiesti a parlamentari e consiglieri regionali, ma con una nuova formula. Basterà ?
Non è ancora dato saperlo ma i parlamentari sono più combattivi che mai. Tanto che la conta interna è iniziata. Per utilizzare le parole di Roberto Fico, la guerra per bande.
Le diverse ‘anime’ del Movimento si preparano all’appuntamento facendo l’elenco di ‘amici’ e ‘nemici’. “Ci sono riunioni informali in corso su più fronti. Bisogna tenere gli occhi aperti per non ritrovarci con decisioni confezionate calate dall’alto”.
La mappa del potere grillino è più che mai frastagliata. Animato dalla deputata Dalila Nesci, il think tank ‘Parole guerriere’ ha elaborato una sua proposta in vista degli stati generali, che in buona sostanza prevede la trasformazione del Movimento in partito: “È ormai necessario che il M5S superi lo stato di movimento liquido, verticistico ed eterodiretto e si evolva in un’organizzazione politica democratica, dotata di adeguati corpi intermedi e di una scuola di formazione politica, dove ruoli e responsabilità siano ben definiti”, si legge nel manifesto della corrente, che annovera diversi parlamentari vicini a Fico: da Giuseppe Brescia (presidente della Commissione Affari costituzionali) al sottosegretario al Viminale Carlo Sibilia, passando per Luigi Gallo. E ancora: Giorgio Trizzino, Maurizio Cattoi, Sergio Puglia, Fabio Berardini, Carlo De Girolamo, Mirella Liuzzi, Azzurra Cancelleri, Marinella Pacifico, Maria Laura Paxia, Mara Lapia.
La necessità di convocare al più presto un congresso è stata evidenziata più volte dall’ex capo politico Luigi Di Maio, favorevole all’ipotesi di una leadership forte e legittimata e di una gestione collegiale. Il ministro degli Esteri può tuttora contare su una nutrita pattuglia di fedelissimi, composta da molti parlamentari campani e non solo.
All’interno dell’esecutivo, il titolare della Farnesina — che negli ultimi tempi ha rinsaldato il rapporto con il premier Giuseppe Conte e con Fico, in un’ottica governista – gode dell’appoggio di ministri come Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora, Sergio Costa. Sono vicini a Di Maio anche il sottosegretario a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro, i viceministri Laura Castelli, Stefano Buffagni, Giancarlo Cancelleri e i sottosegretari Manlio Di Stefano, Alessio Villarosa, Alessandra Todde.
Tra i pentastellati più vicini a Fico, invece, c’è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà . Quest’ultimo, insieme al titolare del Mise Stefano Patuanelli, rappresenta uno dei principali ‘sponsor’ dell’alleanza con il Pd.
Un abbraccio, quello coi dem, sostenuto e difeso dal garante Grillo, oltre che da Fico, e avversato dalla componente più sovranista (basti pensare ai deputati veneti Alvise Maniero e Raphael Raduzzi).
È trasversale tra le due Camera invece la fronda ‘anti-Rousseau’, ovvero l’ala dei parlamentari critici nei confronti dell’attuale gestione della piattaforma di Davide Casaleggio. Lo scorso dicembre i senatori Primo Di Nicola, Mattia Crucioli ed Emanuele Dessì furono i primi a chiedere in un documento che Rousseau fosse posta sotto il controllo diretto del Movimento. Documento che potrebbe tornare in auge proprio giovedì durante l’assemblea.
Non ha riscosso molto successo il ritorno sulla scena di Alessandro Di Battista. A parte Barbara Lezzi e Massimo Bugani nessun esponente grillino si è schierato apertamente con l’ex deputato.
Anzi Carla Ruocco ne approfitta per sottolineare all’Adnkronos che “non si è mai messo in gioco realmente. In passato sono state fatte scelte che hanno penalizzato il M5S, si è fatto un gioco di ‘amichetti e caminetti’”. Ed è proprio lei che per prima evoca la parola “scissione”: “Può darsi, ma non è una questione di guerra tra bande. Ci sono requisiti che il M5S deve ritrovare, la gente non si è sentita sufficientemente coinvolta e valorizzata”.
Questo è solo un assaggio di ciò che succederà giovedì in assemblea. Peccato che sarà essente proprio il capo politico Vito Crimi.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA LEGA CREA UNA SEGRETERIA POLITICA PER FAR FINTA DI AFFIANCARE SALVINI… INTANTO LUI LITIGA CON TOTI E CERCA DI PIAZZARE LA BONGIORNO ALLE COMUNALI DI ROMA TRA UN ANNO, MA LA SCELTA SPETTA ALLA MELONI
Tutti i territori portano a Roma, intesa come Campidoglio, ma anche e soprattutto come Palazzo Chigi. E la strada verso l’obiettivo passa per una parola che a Matteo Salvini ha sempre dato l’orticaria: collegialità .
In una botta sola, sulla scia della “mancata vittoria” alle Regionali, la Lega si dota di ben due nuovi organismi.
Un coordinamento regionale tra i territori, una specie di “cabina di regia” o “governo ombra” – anche se ai leghisti questa definizione non piace – che dalla periferia raggiunga il centro senza lasciare aree di eccessiva “autogestione”.
E comincia a lavorare su una segreteria politica, che sarà varata ufficialmente tra 10-15 giorni e che affiancherà il leader nella definizione dell’agenda politica. Come quella che, all’epoca di Umberto Bossi, era guidata da Bobo Maroni.
In una lunga riunione con tutti i suoi coordinatori regionali — presenti anche i capigruppo di Senato Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, Giancarlo Giorgetti con cui il saluto è stato affettuoso — il leader è apparso rassegnato alla scadenza naturale della legislatura, ma pronto a qualsiasi evenienza se la crisi nei Cinquestelle finisse per acuirsi
Ecco perchè, bisogna contrattaccare. Anche per attutire i dubbi sorti dopo le Regionali. Se ieri è stato il giorno dello stordimento, oggi l’umore è virato all’ira.
Il Capitano si è sfogato con i suoi: mi sono impegnato senza risparmiarmi — la sostanza del suo discorso — non può essere che dove perdiamo è colpa mia e dove vinciamo merito di altri.
E stavolta, non ce l’aveva con Luca Zaia quanto con l’intervista di Giovanni Toti al Corriere della Sera, che attribuiva a Salvini i numeri, ma non la capacità di gestire la coalizione invitandolo a “togliersi la maglia della Lega” per indossare quella dell’intero centrodestra.
Un’esternazione che è stata considerata “fuoco amico”, ha lasciato stupefatto “Matteo” ha provocato molti mugugni tra i suoi colonnelli.
“Se non era per Matteo, Toti non sarebbe dov’è — ha sibilato Edoardo Rixi- E’ uno scivolone mediatico frutto di poca lucidità post ubriacatura elettorale”.
E il coordinamento regionale per funzionare dovrà imbrigliare e incardinare le velleità di governatori — e magari sindaci – troppo ambiziosi.
Viceversa, con Giorgia Meloni Salvini — dopo aver martellato sulla scelta sbagliata del “suo” Raffaele Fitto in Puglia — ha cercato la distensione: “Non credo si rivolgesse a me per il mancato gioco di squadra”.
La verità è che si ritrova esposto su tutti i fronti — con esponenti di Forza Italia che rivendicano l’assenza di un’area moderata tra le cause della debolezza della coalizione — e non può indebolire troppo l’asse “sovranista” con FdI.
La prossima tornata elettorale saranno le comunali del 2021: meno di un anno per costruire candidature comuni con radici solide. Roma è in cima ai pensieri: se Pd e M5S dovessero rimanere incagliati (e separati) su Virginia Raggi, la destra si vedrebbe servito il Campidoglio su un vassoio d’argento. Ecco perchè, sottotraccia, la mobilitazione è già partita.
La dichiarazione di Salvini che il potenziale sindaco possa provenire dal mondo delle imprese o delle professioni ha scatenato un putiferio nei dirigenti locali.
Anche perchè nella ripartizione interna delle caselle, quel posto spetta a Fratelli d’Italia, dove qualcuno l’ha letto come un endorsement per Giulia Bongiorno.
In realtà , un’intesa di coalizione potrebbe essere facilmente raggiunta sul nome di Guido Crosetto, coordinatore nazionale meloniano corteggiato anche dai padani con la benevolenza dei forzisti. Se non fosse che l’ex sottosegretario alla Difesa, oltre a essere piemontese di nascita, è assai poco propenso.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
QUESTA MATTINA I MILITARI SONO ANDATI A CASA DI FONTANA, DELLA SUA SEGRETARIA (EX MOGLIE DI SALVINI) E DI GALLERA PER FARE LA COPIA FORENSE DEI LORO CELLULARI
I militari della guardia di finanza di Pavia sono andati stamani a casa del presidente della Regione Attilio Fontana e della responsabile della segreteria del governatore lombardo, Giulia Martinelli (ex moglie di Matteo Salvini), per effettuare copia forense dei cellulari di entrambi, cioè hanno copiato su file il traffico telefonico e i messaggi. Stessa procedura a casa dell’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera.
Una decisione presa dalla procura di Pavia che sta indagando per peculato e turbata scelta del libero contraente nella vicenda dell’affidamento diretto di 500 mila test sierologici alla società Diasorin, seguito di una sperimentazione avvenuta nei laboratori del Policlinico di Pavia San Matteo.
Fontana e Martinelli non risultano indagati. I pm della procura pavese – che avevano iscritto nel registro degli indagati i vertici del San Matteo e della società – sono alla ricerca delle chat e delle comunicazioni scambiate tra i vertici della Regione e quelli del San Matteo.
“Il presidente Fontana non è indagato ha subito una perquisizione presso terzi. Non gli è stato sequestrato nulla, è stata effettuata copia del contenuto del cellulare”, dichiara Jacopo Pensa, avvocato del governatore.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“IL SOVRANISMO PORTA SOLO VOTI A LEGA E FDI, MA IMPEDISCE AL CENTRODESTRA DI ANDARE AL GOVERNO”
In un’intervista a Il Mattino, la vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia Mara Carfagna ha dichiarato che “il centrodestra, in tutte le sue componenti, è a un bivio. Può continuare a inseguire il progetto sovranista fondato sulla critica pregiudiziale all’Europa e il ‘no’ ai suoi aiuti oppure ammettere che il quinquennio d’oro del populismo è finito: porta ancora molti voti a Lega e Fdi ma spaventa i moderati e quindi chiude la via del governo”.
“I nostri candidati sono stati quasi eroici in questa campagna elettorale: più di quel che hanno fatto, non potevano fare. Ma la zavorra ha pesato. E per zavorra intendo una classe dirigente locale che si è giocata le elezioni come un regolamento di conti interno, avallato e spesso sollecitato da una classe dirigente nazionale preoccupata più di eliminare quelli che vengono considerati avversari interni scomodi che di far crescere Forza Italia. Una classe dirigente degna di questo nome farebbe un’assunzione di responsabilità . Sarebbe utile per il futuro dei moderati italiani. E poi basta usare Berlusconi come alibi: lui è stato eroico come sempre”, aggiunge.
“È oggettivo che da questo voto il governo esce rafforzato – conclude la presidente di ‘Voce libera’ – e, salvo imprevedibili incidenti, gestirà le risorse europee nel prossimo biennio. Chi aspira a rappresentare i moderati italiani deve decidere. O resta alla finestra e continua a gridare ‘governo ladro’, oppure fa un onesto tentativo, per il bene del Paese, di formulare proposte costruttive per gestire le risorse in arrivo dall’Ue”.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“IL CENTRODESTRA UNITO E’ UN’ILLUSIONE, SERVE UN CONGRESSO FONDATIVO CHE DEFINISCA VALORI, ANIME E PROGRAMMI”
“Matteo Salvini non è e non è mai stato il leader del centrodestra. Ha preso decisioni unilaterali, parlando solo per la Lega. Non ha mai seguito lo stile di Silvio Berlusconi e, ha ragione oggi Giovanni Toti, non si è mai fatto carico di fare la sintesi di un centrodestra plurale”.
Renato Brunetta, economista, berlusconiano di ferro, ex ministro della Pubblica Amministrazione celebre per la battaglia contro i “fannulloni”, oggi è deputato di Forza Italia (di cui è stato capogruppo) e dirige il supplemento economico del “Riformista”. Oltre a sparare “con simpatia” ma a zero sul Capitano, invoca subito una svolta a destra: “Il centrodestra unito è un’illusione. Serve una costituente, un congresso fondativo che definisca valori, anime e programma. Forza Italia ha uno straordinario gruppo dirigente, ma purtroppo in nome dell’unità del centrodestra non ha più una linea politica”.
Dopo le Regionali, la domanda obbligatoria per il centrodestra è: quanto è solida la leadership di Matteo Salvini?
Lo dico senza polemica, anche perchè lo ripeto da oltre due anni: Salvini non è il leader del centrodestra. Non lo è mai stato. L’unica regola che il centrodestra si era dato alle scorse elezioni politiche era che il leader del partito che prendeva più voti, se la coalizione vinceva, diventava automaticamente candidato premier. Su queste basi, nel 2018 è stato indicato Salvini. Ma nonostante Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni glielo avessero chiesto con grande determinazione, lui non ha voluto cercarsi i voti mancanti per Palazzo Chigi: ha detto che non intendeva “andare per funghi”. E ha preferito allearsi con il M5S, ridandogli centralità dopo la sconfitta nelle urne, e rompendo il centrodestra.
Adesso, l’accusa di avere ridato centralità ai Cinquestelle viene rivolta al Pd.
Vero, ma il primo è stato Salvini diventando junior partner del governo Conte I. Con il risultato di grandi disastri: lo sfregio alla Costituzione, confermato dal referendum, era un punto fondamentale del loro contratto. In quell’occasione Salvini si dimostrò un leader non unificante: se ci avesse ascoltato, la legislatura avrebbe avuto un senso diverso. E con quel governo, Forza Italia cominciò a perdere voti cannibalizzata dalla Lega.
La scelta del governo gialloverde non fu condivisa da voi. E’ stato l’unico momento in cui il Capitano ha mostrato poca voglia di unità ?
Ma no. La mozione che aprì la crisi di governo nell’agosto 2019 era firmata solo dal suo partito. Agli altri non ha chiesto niente. Sono state tutte decisioni unilaterali dicendo “se volete è così, sennò vado da solo”. I risultati li abbiamo visti. Ha ragione, oggi, Giovanni Toti: non si è mai fatto carico della sintesi, di un centrodestra plurale. Ha sempre parlato per la Lega: abbiamo un consigliere in più, una città in più. E se perde, è colpa degli altri.
E’ anche il leader del partito più grande e più esposto ai riflettori. Non è inevitabile?
Come ha sempre sostenuto Berlusconi, il centrodestra per vincere deve essere plurale e con pari dignità , senza leader leonini.
Berlusconi non è mai stato leonino?
E’ stato l’esatto contrario. Umberto Bossi con il 4% gli strappava tutto. E poi c’è un problema di offerta politica: se il centrodestra è solo sovranista rimarrà perdente.
Questo è un punto. Ma come può, in concreto, l’attuale centrodestra pensare di cambiare volto, avendo come punte due leader — Salvini e Meloni — che sono sovranisti e populisti?
Serve subito una costituente del centrodestra. Un congresso fondativo che definisca valori, anime, programmi. Una convention che decisa cosa fare su Europa, Mes, politiche migratorie, utilizzo dei soldi del Recovery Fund.
Berlusconi è d’accordo sul fare una costituente del centrodestra?
Certamente, ne abbiamo parlato. Non si può più andare avanti così. Il centrodestra unito è un’illusione. Le interviste di Salvini e Meloni di oggi lo confermano. Ma lo sanno gli italiani che per il Sì al referendum i voti del centrodestra sono stati decisivi? Se Lega e FdI si fossero schierati per il No, quest’ultimo avrebbe prevalso. E il centrodestra avrebbe vinto gioco, partita, incontro: salvato la Costituzione, messo in crisi il governo andando verso elezioni a primavera, eletto subito dopo il presidente della Repubblica. Invece, ha prevalso il richiamo salviniano della foresta rispetto a un contratto con M5S già stracciato, che non ha senso.
Insomma, quella di Salvini è una storia di occasioni perse?
Non solo. E’ una storia di masochismo. Oggi avremmo i Cinquestelle azzerati e il governo in crisi.
Va bene. Ma la realtà non è che senza una componente moderata, liberale, la chiami come vuole, il centrodestra è destinato a non uscire dal recinto dell’opposizione? E che questa componente, con l’uscita dalla scena politica di Berlusconi, oggi è un buco nero?
Berlusconi ha fatto una scelta generosa di unità , mal ripagata da Salvini. Forza Italia ha dimezzato i voti dal 14 al 6-7%, indebolendo l’intero sistema. Certo, la coalizione che cannibalizza se stessa non può crescere nè tantomeno vincere. E Salvini — lo dico senza astio — non è il leader: non lo ha mai voluto e non è mai stato deciso. Non ha mai seguito lo stile di Berlusconi. Del resto con la Lega, anche di Bossi, è sempre stato così: o i candidati sono leghisti, e allora non sbagliano mai, o devono essere subalterni. Io stesso ne porto le cicatrici: a Venezia, la Lega non mi ha votato. Come è successo adesso in Puglia e Campania. Questo voto, anzi, certifica la rinascita della Lega Nord.
Allora, come leader moderato vi toccherà Luca Zaia? O Toti come “federatore”?
Bisogna rimettere in moto un processo. Un rassemblement, una federazione. Con uno statuto che dia pariteticità . Poi il leader può essere Tajani, Zaia, Toti, Brunetta, Carfagna, Gelmini… Forza Italia ha uno straordinario gruppo dirigente politico e parlamentare. Purtroppo, in nome dell’unità del centrodestra, non ha più una linea politica.
Primo tema dell’agenda politica?
Il Mes: il centrodestra unito voti sì, per il bene del Paese. Poi bisogna ascoltare i ceti produttivi, essere europeisti e garantisti, rivedere il trattato di Dublino senza paraocchi nè rigidità sovraniste. Poi, ci sono quasi 8 milioni di No trasversali al referendum, penso con prevalenza del centrodestra: facciamoli diventare materia di dialogo politico con il centrosinistra a favore della democrazia parlamentare, dei contrappesi istituzionali e della nuova legge elettorale. E’ un territorio straordinario per ripartire evitando derive grilline. Senza nessuna ambiguità a sinistra, solo per fare le riforme che servono all’Italia.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
SALVINI LO AVEVA GIA’ ANNUNCIATO COME “IL PRIMO SINDACO PUGLIESE DELLA LEGA”, MA PIUTTOSTO CHE VOTARLO LA MAGGIORANZA DELLA CITTADINA NON E’ ANDATA ALLE URNE E MOLTI HANNO VOTATO SOLO PER REFERENDUM E REGIONALI, RIFIUTANDO LA SCHEDA DELLE COMUNALI
“Un sindaco pugliese lo abbiamo già eletto ancor prima del confronto elettorale”, aveva detto Salvini. Ma le cose sono andate diversamente
Elezioni non valide a Lesina, in provincia di Foggia, per le elezioni amministrative. Un solo candidato sindaco in lizza, Primiano Di Mauro, scelto dalla Lega, e presente con la lista civica Lesina Azzurra.
La presenza di una sola lista richiede il quorum del 50% che non è stata raggiunta per una sessantina di voti. L’affluenza alle comunali è stata del 49,01%.
Una scelta voluta da molti cittadini,
Infatti al referendum l’affluenza è stata più alta (60,52%). Quindi a Lesina l’amministrazione sarà retta da un commissario.
Buona la prima, invece, per il nuovo Comune di Presicce Acquarica, in provincia di Lecce, nato dalla fusione tra i due piccoli centri. L’affluenza è stata del 55,97%.
La vittoria di Di Mauro era stata data per scontata da Matteo Salvini. “Un sindaco pugliese lo abbiamo già eletto ancor prima del confronto elettorale”, aveva detto lo scorso 23 agosto il leader leghista in riferimento al caso di Lesina.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
BORIS JOHNSON PERDE UN’OCCASIONE PER TACERE: “DA NOI PIU’ CONTAGI CHE IN ITALIA PERCHE’ NOI AMIAMO LA LIBERTA'”: CERTO, QUELLA DI CONTAMINARE IL PROSSIMO
Italia promossa a pieni voti per la gestione della pandemia dal Financial Times. Dieci e lode al governo e ai cittadini rispettosi delle regole. La “dura lezione” imparata dall’Italia durante l’esplosione della pandemia, ha consentito al Paese di “tenere sotto controllo la seconda ondata” del virus.
E’ quanto scrive il Financial Times in un articolo pubblicato sull’edizione online, nel quale vengono elogiate sia la gestione del governo Conte che il comportamento disciplinato degli italiani.
“Mentre la Spagna, la Francia e il Regno Unito soffrono una ripresa del Covid-19, il Paese ha saputo adattarsi dopo la prima e brutale fase” della pandemia, scrive il quotidiano finanziario.
Gli esperti interpellati dal Financial Times indicano “tre ragioni principali” alla base della “resilienza” italiana. La prima ragione ha a che fare col fatto che l’Italia è stato il primo Paese in Europa ad affrontare l’emergenza e,”il sistema sanitario e il governo hanno avuto più tempo per pianificare la fase post-lockdown e l’allentamento delle misure restrittive è stato più graduale” rispetto ad altri Paesi, “consentendo al governo maggiore agilità nel reintrodurre le restrizioni, laddove necessario”.
Altra ragione del successo italiano, scrive ancora il Financial Times, “l’alta adesione dei cittadini” alle regole imposte con la pandemia e “severi controlli” da parte delle autorità . Infine, in Italia è stato realizzato un “efficace” sistema di test e monitoraggio e per questo “c’è fiducia sul fatto che gli sforzi dell’Italia possano continuare a tenere il virus sotto controllo”.
A Westminster il premier britannico, Boris Johnson, ha lasciato di stucco i parlamentari britannici. Il laburista Ben Bradshaw gli aveva chiesto perchè Germania e Italia hanno molti meno casi di covid rispetto alla Gran Bretagna, ipotizzando che fosse merito del sistema di tracciamento.
“Noi amiamo la libertà ”, è stato invece il ragionamento di Johnson, “e quindi è più difficile far rispettare le regole”. Il Parlamento ha reagito con un silenzio imbarazzato.
Ma quale libertà ? Quella di contaminare il prossimo?
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEGLI STUDENTI IN UN VIDEO… MA CI VOLEVA TANTO A METTERLI AL COPERTO?
Le previsioni meteo davano pioggia e temporali (anche) su Roma, a partire dalla giornata di lunedì. Eppure quanto accaduto al Liceo Plinio Seniore della capitale, non lontano da via XX Settembre, è molto grave.
A denunciare l’accaduto sono stati gli stessi studenti dell’Istituto (indirizzo Scientifico) che hanno inviato il video alla nota pagina Instagram Welcome to Favelas.
I giovani hanno immortalato le immagini che arrivano dal cortile interno delle scuola: ed ecco comparire i nuovi banchi monoposto (quelli a rotelle) lasciati sotto la pioggia (senza alcune protezione).
Non sappiamo quando le sedute innovative sono arrivate al Liceo Plinio Seniore, ma l’evidenza del video pubblicato sulla pagina Instagram non lascia alcun dubbio.
I nuovi banchi a rotelle lasciati sotto la pioggia che si è abbattuta (e si sta abbattendo ancora oggi) sulla capitale.
Quelle sedute, probabilmente, sostituiranno ben presto i vecchi banchi presenti nelle varie classi. Operazione impossibile da fare durante le lezioni quotidiane. Quindi si procederà con la distribuzione nella aule quando gli studenti torneranno a casa. Ma resta comunque il peso di questa immagine.
«Nuovi metodi di sanificazione»
E sui social è scattata ironia e indignazione. In molti hanno commentato — con amara comicità — sottolineando come questo sia il nuovo metodo di sanificazione per quei banchi nuovi.
Altri, giustamente, sottolineano come lasciare agli effetti delle intemperie quelle nuove sedute sia un qualcosa di illogico e, soprattutto, potrebbe arrecare gravi danni ai banchi stessi. Ancor prima che gli studenti possano iniziare a utilizzarli per seguire le lezioni in classe.
(da agenzie)
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