“CHE FAI TE NE VAI?†ERRORI E SEDIE VUOTE ALLO SHOW DI BERLUSCONI
IL LEADER PDL TORNA ALL’AUDITORIUM DOVE SI CONSUMà’ LA ROTTURA DEFINITIVA CON FINI… MA QUESTA VOLTA NON È LUI A CACCIARE LE PERSONE, SONO LORO CHE SE NE VANNO
Un buon piazzista sa quando fermarsi, finire e non scocciare più il cliente.
Il crepuscolo di Silvio Berlusconi è soprattutto nella platea che inizia a svuotarsi alle 19 e 50. Il Cavaliere sta parlando dalle 18 e 20 e concluderà alle 20 e 20 passate.
Un vecchietto in diciottesimo fila, combattivo all’inizio contro fotografi e giornalisti in piedi, “Voglio vedere e sentire il Presidente”, il vecchietto dicevamo anche lui ore e cinque minuti.
Auditorium di via della Conciliazione, laddove Gianfranco Fini sfidò Berlusconi, “Che fai mi cacci?”.
Questa è la strada che dopo poche centinaia di metri termina davanti San Pietro. Ma la Chiesa, per Berlusconi, è più lontana di quanto appaia.
Il cardinale Bagnasco, capo dei vescovi italiani, ha appena detto che “gli italiani non si faranno più abbindolare”.
Chiaro riferimento alle balle elettorale travestite da promesse del Cavaliere.
L’ultima : quattro milioni di posti di lavoro. Berlusconi la spara in mattinata, quando è buio già si corregge.
Dice che i 4 milioni sono un’ipotesi non una promessa. La marcia indietro avviene nella prima mezz’ora.
Cabaret puro, l’unica specialità che ormai riesce all’ex premier.
Berlusconi imita Bersani, con la cadenza emiliana: “Berlusconi ha detto un’altra stronzata. Ma la stronzata di oggi è la più grande di tutte”.
Segue la contorta spiegazione perchè i 4 milioni di posti di lavoro sono un’ipotesi, “una pensata”, e non una promessa, possibile grazie, dice lui, agli imprenditori-eroi che dovrebbero assumero un giovane a testa (dalla platea gridano: “Solo italiano”) senza pagare contributi e tasse.
Berlusconi vive su un altro pianeta, in cui la “rimonta straordinaria è in atto”.
Concede un’altra gag a beneficio del segretario-maggiordomo Angelino Alfano, seduto di fronte a lui e che ride sempre, anche quando chiude gli occhi stordito dall’oratoria del Capo.
B. dice che “Angelino è il migliore di tutti” e che “presto toccherà a te”, poi lo invita ad alzarsi per ringraziare degli applausi e lui, “Silvio”, si accuccia per scomparire, dietro al podio:
“Mi è venuto di fare così”. Come a dire: “Finchè ci sono io non ci sarà spazio per nessuno, devo solo scomparire”.
Appunto.
Del resto, all’auditorium esiste solo e soltanto lui, il Cavaliere candidato per la sesta volta.
Il ventre sempre più gonfio trattenuto dal doppiopetto blu, la maschera di cerone, i capelli di un marrone luccicante.
Una marionetta inquietante che si entusiasma “come ai bei vecchi tempi” del ’94.
Il discorso è un condensato dei comizi degli ultimi cinque anni: la giustizia, la sinistra che odia e che invidia, il rito stantìo delle domandine (“volete voi…?”), l’appello ad andare “a convertire le genti come missionari di verità , libertà e democrazia, andate e convincete”, la solita ed estenuante spiegazione dell’iter legislativo tutto in mano “ai giudici di sinistra della Corte costituzionale”.
Rispetto al passato, però il Cavaliere ha un’ansia da prestazione.
La sua fluvialità è nervosa, vuole dire tutto a tutti, facendosi capire per recuperare voti.
Per questo parla per due ore, anche quando la gente è andata via, e per questo se la prende con le tv “non amiche” che danno solo cinque minuti a lui che si alza alle cinque di mattina per iniziare a lavorare.
Il passaggio clou sulla crisi economica è l’apologia del suo conflitto d’interessi: “La pubblicità ha registrato un meno venti per cento e senza stimoli televisivi i consumi non aumentano e di conseguenza gli imprenditori licenziano”.
Per la prima volta, poi, c’è anche chi lo contesta.
Un signore, che spesso applaude, lo interrompe quattro volte “sull’invenzione dello spread” e le dimissioni del novembre 2011.
Berlusconi si stizzisce, fa finta di non capire e continua con le sue gaffe.
Parole storpiate o sbagliate una dopo l’altra: “termorealizzatore” al posto di “termovalorizzatore”, “spirale recessionista” e poi un sublime “Badesburg”.
Voleva richiamare la Bad Godesberg dei socialdemocratici. Nel maggio di due anni l’aveva trasformata in “Bad Gotesborg”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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