Maggio 5th, 2012 Riccardo Fucile
I GIOVANI: “BOSSI DA CLANDESTINO NON POTEVA LAUREARSI”… DAL DATA BASE DELLA POLIZIA DI FRONTIERA ARRIVA LA CONFERMA: “RENZO BOSSI MAI ENTRATO IN ALBANIA”
I guai, l’imbarazzo e la polemica. La Procura di Tirana vuole vederci chiaro sulla laurea triennale presa da Renzo Bossi (e Pier Moscagiuro) all’Università privata «Kristal».
Gli inquirenti, poi, cercano anche di capire se il figlio del Senatur – chiamato a Tirana «Trofta» (trota, in albanese) – abbia mai messo piede nel Paese e come.
Secondo fonti della Polizia di frontiera nel «Tims» (il sistema che in Albania memorizza arrivi e partenze da porti e aeroporti) non ci sarebbe nessun documento riconducibile a Renzo Bossi.
E anche dall’Ambasciata italiana, in via preliminare, fanno sapere che a loro non risulta una comunicazione sull’arrivo dell’ex consigliere regionale lombardo.
Soprattutto dal 2010, anno del suo incarico al Pirellone.
«Per prassi – spiega un funzionario in servizio nell’ufficio diplomatico italiano a Tirana – l’arrivo nel Paese degli esponenti politici, nazionali e locali, ci viene comunicato».
Il «Trota», stando al certificato di laurea, è diventato «dottore» il 29 settembre 2010.
L’università privata «Kristal» giovedì sera ha confermato la veridicità del documento (che in Albania si chiama «diploma») e ha aggiunto che Renzo Bossi «si è laureato in Gestione aziendale.
È stato regolarmente iscritto, sulla base delle leggi albanesi, nell’anno accademico 2007/2008».
Più di un anno prima dell’esame di maturità superato nel 2009 non si sa come e dove.
Ma c’è di più.
«Come ha fatto il figlio del Senatur con gli esami in lingua albanese?», si chiedono ancora i magistrati.
Dall’università hanno deciso di non comunicare più con i giornalisti.
Ma una docente dell’ateneo ha detto che «le lezioni al “Kristal” sono quasi tutte in lingua locale e senza traduttori».
Poi c’è il giallo di uno dei professori che ha firmato il certificato di laurea.
Marenglen Spiro prima ha detto di non aver mai firmato quel documento, poi ha confermato che la sigla è la sua, aggiungendo che «Renzo Bossi ha studiato qui per ben quattro anni».
Il professor Spiro ai tempi era rettore del «Kristal». Ora fa lo stesso lavoro, ma in un altro ateneo privato di Tirana.
L’inchiesta italiana sull’ex tesoriere della Lega finisce per scatenare polemiche e accuse anche nell’altra parte dell’Adriatico.
Il leader socialista albanese Edi Rama – da Firenze, dove ha incontrato i connazionali che studiano in Italia – si è scagliato contro le «fabbriche dei diplomi a pagamento».
Mentre sul web molti lettori ironizzano sulla vicenda. «Ma il figlio di Umberto Bossi ha studiato da clandestino in Albania?», si sono domandati ieri decine di giovani albanesi di fronte al ministero dell’Educazione (che ha deciso di fare luce sull’ateneo privato).
Capeggiati da un partito appena nato, l’«Alleanza Rossonera», hanno chiesto le dimissioni del ministro Myqerem Tafaj.
«A noi in Italia ci fanno sputare sangue per avere il permesso di soggiorno per motivi di studio», hanno raccontato alcuni. «Renzo Bossi ce l’aveva quel pezzo di carta?».
A far luce sul caso ci penserà una task force della sezione «Crimini economici», hanno precisato dalla Procura di Tirana.
Nel gruppo «ci saranno alcuni esperti del ministero dell’Educazione».
Le indagini «si concentreranno soprattutto sul registro delle presenze dei corsi universitari per capire se Renzo Bossi sia davvero stato iscritto all’ateneo e se abbia mai frequentato una lezione».
Immersa tra grandi centri commerciali e altri atenei privati, la sede dell’università «Kristal» – fondata nel 2005, alla periferia della capitale albanese – vive negli ultimi giorni momenti di notorietà indesiderata.
È appoggiata da una tv privata, «Planet Television», che non manca di ricordare le eccellenze dell’ateneo.
E di far vedere la facciata della sede di Tirana (ce ne sono altre sparse in Albania) con il suo ingresso che vorrebbe ricordare un college americano.
Intanto ai microfoni di Radio24 Matteo Salvini, europarlamentare del Carroccio, non ha nascosto il suo fastidio per la vicenda: «Mi incazzo con Renzo Bossi, con quelli che fanno furbate. Rispetto e capisco chi non ci voterà più dopo questi fatti. Preferisco perdere questo giro piuttosto che avere l’indifferenza degli elettori».
E il «Trota»? «Ha chiuso con la politica – ha risposto l’europarlamentare -. Se si dovesse candidare di nuovo glielo diranno gli elettori».
Leonard Berberi
(da “Il Corriere della Sera”)
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Maggio 5th, 2012 Riccardo Fucile
PARE DI VEDERLI, RENZO BOSSI E MOSCAGIURO, IN VIAGGIO DA CLANDESTINI SUL GOMMONE DA OTRANTO A TIRANA, MENTRE RIPASSANO A BORDO LE LEZIONI IN ALBANESE STRETTO
Dopo anni di calunnie e facili ironie, finalmente trionfa la verità : Renzo Bossi s’è
laureato davvero.
Il rampollo dell’ampolla, matricola accademica 482, è stato promosso “dottore in gestione aziendale” al prestigioso ateneo Kristal di Tirana il 29 settembre 2010, quando secondo il suo autista si trovava regolarmente in Italia.
Insieme con lui s’è laureato in Sociologia il bodyguard canterino di Rosi Mauro, Pier Moscagiuro.
Paghi uno, prendi due.
E pare di vederli, Trota e Pier, in viaggio sul gommone da Otranto a Tirana, che ripassano le lezioni in albanese stretto.
Non è stata una passeggiata, per l’enfant prodige del Senatur: ha dovuto superare ben 29 esami, tutti in lingua albanese e con voti altissimi (dall’8 al 10), in un corso di laurea che gli studenti normali completano in tre anni e lui invece ha bruciato in un solo anno (la maturità scientifica l’ha conseguita nel luglio 2009).
E un simile genio vuole lasciare la politica per fare “il contadino o il muratore?”.
Ma via, un po’ di autostima, che diamine.
Anche perchè ormai alla cultura il Dottor Trota ci ha preso gusto: punta alla seconda laurea in un’università privata di Londra dove — come ha giurato telefonicamente al padre Umberto la sera delle dimissioni, appena esplose lo scandalo — si sta laureando un’altra volta a tempo di record.
Alla fine impiegherà meno per due lauree che per il diploma, conseguito solo al terzo tentativo dopo due mortificanti trombature.
A conti fatti, l’investimento sostenuto a suo tempo da The Family, anzi da Belsito, anzi dai contribuenti per maturarlo si rivela azzeccato e a prezzi piuttosto modici: appena 99 mila euro e 69 centesimi, secondo i carabinieri del Noe (cui vanno aggiunti i 12 mila per la laurea albanese e i 130 mila euro per quella inglese).
Ormai la maturità del Trota travalicava la dimensione scolastica per diventare un fatto squisitamente politico, anzi razziale.
L’erede al trono padano, al secondo tentativo da privatista al collegio Bentivoglio di Varese, aveva presentato una dotta tesina su Carlo Cattaneo, l’incolpevole pensatore federalista usato dalla Lega per dare una pennellata di cultura alla secessione e alla devolution.
Ma il corpo docente, insensibile alle istanze indipendentiste, lo bocciò con la banale motivazione che “ha mostrato gravi lacune di preparazione in quasi tutte le materie”.
Parola del rettore don Gaetano Caracciolo.
Ma il Senatur, impegnato nel governo B. a ripristinare la meritocrazia, spiegò che dietro quel giudizio impietoso c’era ben altro: i professori terroni.
Invano il rettore fece osservare che, a parte lui, la commissione era composta da nove insegnanti del Nord e “la maturità è il risultato aritmetico di una serie di prove: purtroppo la somma di tutte non ha raggiunto i 60 punti, il minimo per la promozione”.
Di fronte a quegli aridi calcoli da bottegaio, il papà ministro delle Riforme istituzionali non battè ciglio e ordinò su due piedi una nuova riforma istituzionale: “Dopo il federalismo, bisogna riformare la scuola. Non possiamo lasciare martoriare i nostri figli da gente che non viene dal Nord. Il problema della scuola è molto sentito perchè tocca tutta la famiglia. È la verità , un nostro ragazzo (uno a caso, ndr) è stato bastonato agli esami perchè ha presentato una tesina su Cattaneo. Questi sono crimini contro il nostro popolo e devono finire: noi padani non siamo mai stati schiavi”.
Nemmeno la circostanza che la sua signora Manuela Marrone fa l’insegnante ed è siciliana lo smosse di un millimetro.
Anche lui, ai suoi tempi, dopo il diploma per corrispondenza alla scuola Radio Elettra, subì le angherie dei prufesùr terùn dell’università .
Per far credere alla prima moglie di essere dottore in medicina anche se aveva dato solo qualche esame, dovette inscenare ben due feste di laurea e uscire ogni mattina di casa con la valigetta da medico condotto, salvo poi fermarsi al bar dietro l’angolo per giocare al biliardo.
Altri tempi, quando ancora il Kristal era una marca di champagne.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 5th, 2012 Riccardo Fucile
SUL WEB IMPAZZANO ORA FOTOMONTAGGI SULLA “REPUBBLICA MARINARA DI PATERNO’”
Clamorosa svista in un programma elettorale per le amministrative, a Paternò: un candidato copia da un suo «collega» genovese e propone un porto per la cittadina dove il mare non c’è. Spiagge dorate con ombrelloni, tramonti con le palme, “noci di cocco dell’Etna”.
Sono le cartoline da Paternò, in provincia di Catania.
Dove c’è il mare, almeno secondo il programma elettorale di un aspirante consigliere comunale. In vista delle amministrative, infatti, l’uomo ha promesso di realizzare un porto in città : ma è stata una promessa a sua insaputa, visto che se n’è accorto solo dopo averla presentata.
Il “ragionier x”, infatti, ha fatto “copia e incolla” dal programma elettorale di un candidato di Genova che, lui sì, poteva promettere agli elettori mari e monti.
Un capoverso, infatti, recita: “Rifacimento dell’area portuale, dell’industria navale e del lungomare”.
Una svista, fatta da lui stesso o dai suoi collaboratori.
Ma, dopo la figuraccia, è iniziato lo sfottò dei suoi compaesani su Facebook: oggi il gruppo “Paternò a mare” – nato dal precedente “Sporchiamo il Comune?” contro l’affissione selvaggia – è formato da oltre 2mila persone.
Con un ricca gallery di fotomontaggi: si va da “Via dei Platani beach” dove c’è chi scorrazza sulla moto d’acqua, ai cartelli “Benvenuti a Paternò città del mare”, alla gara di off-shore.
I goliardi paternesi hanno modificato la cartina geografica della Sicilia creando il “Golfo di Paternò”, indetto un concorso pubblico per il “guardiano del faro”, segnalato gabbiani sui tetti, perfino proclamato la “Repubblica Marinara di Paternò”.
Senza dimenticare i prodotti tipici: l'”arancia di mare” di Paternò e, per la barca-simbolo dell’America’s Cup, il nuovo nome “Arancia rossa”.
Con un occhio alle cronaca, pubblicizzando crociere lungo le coste del paese, e raccontando perfino gli sbarchi dei migranti.
Satira pure sul fantomatico aeroporto da costruire in paese: visto che Paternò è conosciuto per le rane, la compagnia aerea non può che chiamarsi la “Larunghiairlines”.
Accanto ai messaggi ironici, pure un momento di riflessione: lo fa il sacerdote don Salvatore Alì che scrive in un post: “Se Paternò fosse stato un paese di mare sarebbe stato completamente diverso ma purtroppo la cruda realtà ci dice che è sempre un paese “da chiana”.
Comunque questa pagina ci aiuta a sognare e sognare fa bene”.
Eppure, facendo un giro per le strade della cittadina, qualche spunto reale si trova: a Paternò, per esempio, c’è la sede locale dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia.
(da “Il Corriere del Mezzogiorno”)
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Maggio 5th, 2012 Riccardo Fucile
SI VOTA IN OLTRE OTTOCENTO COMUNI E 26 CAPOLUOGHI DI PROVINCIA…GLI EVENTUALI BALLOTTAGGI IL 20-21 MAGGIO
Italia al voto, domani e lunedì, per eleggere i sindaci e rinnovare i consigli comunali di
oltre 800 municipi, fra cui quelli di Palermo e Genova, le uniche città coinvolte nella tornata elettorale a superare il mezzo milione di abitanti.
Oggi si voterà dalle 8 alle 22 e lunedì dalle 7 alle 15.
Nelle regioni a statuto ordinario sono 769 i Comuni interessati, di cui 22 capoluoghi di provincia: Alessandria, Asti, Cuneo, Como, Monza, Belluno, Verona, Genova, La Spezia, Parma, Piacenza, Lucca, Pistoia, Frosinone, Rieti, L’Aquila, Isernia, Brindisi, Lecce, Taranto, Trani e Catanzaro, cui vanno aggiunti, per la regione a statuto speciale della Sicilia, quelli di Palermo, Trapani e Agrigento, nonchè Gorizia per il Friuli-Venezia Giulia.
In totale, dunque, i capoluoghi di provincia chiamati al voto sono 26.
«Le operazioni di scrutinio avranno inizio il 7 maggio, subito dopo la chiusura della votazione e l’accertamento del numero dei votanti», precisa il Viminale.
In caso di effettuazione del turno di ballottaggio per l’elezione dei sindaci, si voterà domenica 20 maggio sempre dalle 8 alle 22 e lunedì 21 maggio dalle 7 alle 15, mentre le operazioni di scrutinio avranno inizio nella stessa giornata di lunedì, al termine delle votazioni e dell’accertamento del numero dei votanti.
Nei Comuni con oltre 15.000 residenti, la scheda elettroale di colore azzurro reca i nomi e i cognomi dei candidati alla carica di sindaco, scritti entro un apposito rettangolo, al cui fianco sono riportati i contrassegni della lista o delle liste con cui il candidato è collegato.
L’elettore può votare: per una delle liste, tracciando un segno sul relativo contrassegno e il voto così espresso si intende attribuito anche al candidato sindaco collegato; per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo rettangolo, non scegliendo alcuna lista collegata e il voto così espresso si intende attribuito solo al candidato alla carica di sindaco; per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per una delle liste collegate, tracciando un segno sul relativo contrassegno e il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di sindaco sia alla lista collegata; per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per una lista non collegata, tracciando un segno sul relativo contrassegno e il voto così espresso si intende attribuito sia al candidato alla carica di sindaco sia alla lista non collegata, per il cosiddetto ‘voto disgiuntò.
L’elettore potrà anche manifestare un solo voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale, scrivendo sull’apposita riga stampata sulla destra di ogni contrassegno di lista il nominativo (solo il cognome o, in caso di omonimia, il cognome e nome e, ove occorra, data e luogo di nascita) del candidato preferito appartenente alla lista prescelta
Per il ballottaggio, invece, il voto si esprime tracciando un segno sul rettangolo entro il quale è scritto il nome del candidato sindaco prescelto.
Nei Comuni fino a 15.000 abitanti, la scheda elettorale di colore azzurro reca i nomi e i cognomi dei candidati alla carica di sindaco, al cui fianco è riportato il contrassegno della lista con cui il candidato è collegato.
L’elettore può votare: per una delle liste, tracciando un segno sul relativo contrassegno; per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo nominativo; per un candidato a sindaco, tracciando un segno sul relativo nominativo, e per la lista collegata, tracciando un segno anche sul relativo contrassegno. In tutti i casi, il voto si intenderà attribuito sia al candidato alla carica di sindaco sia alla lista collegata.
L’elettore può anche esprimere un voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere comunale compreso nella lista collegata al candidato alla carica di sindaco prescelto, scrivendone solo il cognome o, in caso di omonimia, il cognome e il nome e, ove occorra, data e luogo di nascita, nella apposita riga stampata sotto il medesimo contrassegno.
I dati definitivi sul corpo elettorale sono riferiti al 15° giorno antecedente la data delle votazioni.
Le elezioni nei 769 Comuni di Regioni a statuto ordinario interesseranno 7.198.326 elettori, di cui 3.464.185 maschi e 3.734.141 femmine, mentre saranno complessivamente 8.645 le sezioni elettorali. Il ministero dell’Interno ricorda che «gli elettori, in occasione delle elezioni comunali di domenica 6 e lunedì 7 maggio, per poter esercitare il diritto di voto presso gli uffici elettorali di sezione nelle cui liste risultano iscritti, dovranno esibire, oltre a un documento di riconoscimento, la tessera elettorale personale a carattere permanente».
Chi avesse smarrito la propria tessera personale, «potrà chiederne il duplicato agli uffici comunali che, a tal fine, saranno aperti domenica 6 e lunedì 7 maggio, giorni della votazione, per tutta la durata delle operazioni di voto».
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Maggio 5th, 2012 Riccardo Fucile
OGGI 46 MILIONI DI FRANCESI ALLE URNE PER IL BALLOTTAGGIO DELLE PRESIDENZIALI TRA IL FAVORITO HOLLANDE E IL PRESIDENTE IN CARICA SARKOZY…ATTESI I RISULTARI PER LE 20
Una vittoria al fotofinish, un’elezione che potrebbe giocarsi in un pugno di voti.
Tra poche ore si saprà chi sarà il prossimo presidente della Francia, tra Nicolas Sarkozy e Franà§ois Hollande.
I risultati sono attesi alle 20, anche se già dopo le 18.30 ci dovrebbero essere le prime indiscrezioni sull’andamento del voto come già al primo turno del 22 aprile scorso.
L’ultimo sondaggio di Ifop pubblicato per Paris Match ha confermato la possibile vittoria del candidato socialista con il 52% contro il 48% di Sarkozy, in netta ripresa.
Il presidente-candidato è convinto che tutto sia ancora possibile e che la partita “si giocherà sul filo del rasoio”.
Arrivato secondo dopo Hollande quindici giorni fa (27,18% contro 28,63%), Sarkozy è riuscito a recuperare due punti nelle ultime due settimane.
La sua caccia ai voti del Front National, che al primo turno ha ottenuto il 17,9%, sembra aver funzionato nonostante la presidente del Fn, Marine Le Pen, abbia annunciato che voterà scheda bianca.
Anche la posizione del leader centrista, Franà§ois Bayrou, che a sorpresa ha annunciato di voler votare Hollande, non sembra aver spostato preferenze dell’elettorato moderato verso la sinistra.
L’attuale scarto tra i due candidati, applicando il margine di errore dei sondaggi, rende incerto il pronostico.
Ci sono 7 milioni di francesi che sarebbero ancora indecisi.
Gli istituti paventano l’incubo di un risultato “too close too call” che renderebbe difficile
la proclamazione del vincitore alle fatidiche ore 20.
Non sarebbe la prima volta che la Francia elegge un presidente con un vantaggio risicato.
Nel 1974, il gollista Valery Giscard d’Estaing vinse con il 50,81 contro Franà§ois Mitterrand. Sette anni dopo, nel 1981, Mitterrand riuscì a batterlo con il 51,8%.
Nei territori d’Oltremare i francesi hanno già incominciato a votare.
Oltre 46 milioni di elettori sono chiamati alle urne in quella che è la nona elezione presidenziale della Quinta Repubblica.
La scelta è tra la continuità con il Presidente uscente, il postgollista Sarkozy al potere dal 2007, o il “cambiamento” proposto dal socialista Hollande, alla sua prima candidatura, già segretario del Ps tra il 1997 e il 2008.
Nel giorno del silenzio elettorale i due protagonisti della corsa all’Eliseo si sono presi una pausa dopo l’incessante e agguerrita campagna elettorale.
Sarkozy è rimasto nella sua casa parigina accanto alla moglie Carla Bruni e alla figlia Giulia.
Il candidato della gauche è invece tornato nella sua città di Tulle in Corrèze, dove si è unito alla gente passeggiando di prima mattina al mercato.
“Sono ansioso della vittoria” ha confidato.
Sarkozy e Hollande hanno 57 anni, si conoscono da molto tempo, entrambi sono stati alla guida dei rispettivi partiti.
Il socialista avrebbe voluto già candidarsi nelle presidenziali del 2007, ma venne scavalcato dalla sua allora compagna, Sègolène Royal.
Fortemente determinato, si è lanciato nella corsa all’Eliseo già un anno fa, quando ancora il favorito nei sondaggi era l’economista e direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn.
Dopo che Strauss-Kahn è stato messo fuori gioco dall’accusa di stupro a New York, Hollande ha vinto in ottobre le primarie del partito contro la Segretaria Martine Aubry.
Con un programma improntato alla sinistra riformista, è riuscito a rimanere sempre in testa ai sondaggi.
Se eletto, sarebbe il secondo presidente della gauche all’Eliseo, dopo Mitterrand.
Ma la rimonta del suo sfidante, che si è dichiarato meno di tre mesi fa, alimenta la suspence sull’esito finale.
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Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile
MANIFESTAZIONI SOTTO IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, CHIESTE LE DIMISSIONI DEL MINISTRO: “UN CASO CHE DIMOSTRA IL DEGRADO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO ALBANESE”
La notizia della laurea conseguita da Renzo “Trota” Bossi all’Università Kristal di
Tirana, arrivata nel 2010 a un anno dalla maturità dopo tre bocciature, ha provocato scandalo anche in Albania dove la Procura generale della Repubblica ha deciso di avviare verifiche sul caso, per verificare se il figlio del Senatùr si sia recato nel Paese per seguire gli studi.
Stamane il partito di ispirazione nazionalista Aleanca Kuqezi ha manifestato davanti al dicastero dell’Istruzione per chiedere le dimissioni del ministro Myqerem Tafaj, responsabile, secondo loro, del degrado del sistema universitario del Paese dove “lo scandalo del figlio di Umberto Bossi rappresenta solo l’ultima vergognosa vicenda”.
Nel frattempo l’Ateneo privato albanese, fondato nel 2005, ha diffuso un comunicato che ha del surreale: “I cittadini italiani Pierangelo Moscagiuro e Renzo Bossi sono stati iscritti regolarmente a questa Università , presentando regolare documentazione in conformità con la legislazione albanese”. Secondo l’amministrazione della Kristal, il Trota si sarebbe iscritto ai corsi di business managment a partire dall’anno 2007-2008.
Difficile crederlo dato che è riuscito a diplomarsi (dopo due bocciature ufficiali, più una contestata) nel luglio 2009, all’età di 21 anni.
Ciò nonostante anche l’ex rettore della Kristal, Maringlen Spiro, quello che ha apposto la propria firma sul diploma del Trota, in un’intervista alla tv nazionale albanese continua a sostenere che Renzo ha “frequentato per quattro anni gli studi accademici”.
In attesa di chiarire la vicenda, la polemica politica continua a gonfiarsi anche sulla sponda est del Mare Adriatico.
Il leader del Partito socialista albanese Edi Rama mette sotto accusa tutto il sistema universitario: “Qui le Università sono diventate delle fabbriche di diplomi illegali”.
E sull’attestato del dottor Trota non ha dubbi: “E’ stata comprata”.
Anche secondo Rama, il casi del figlio del Senatur e dell’autista tuttofare di Rosi Mauro sono emblematici per capire in che stato versi il sistema universitario del Paese.
A partire almeno dal 2005, quando la riforma della scuola ha dato il via alla proliferazione di atenei privati sullo stile della Kristal, dove il controllo dello Stato non è mai stato molto severo.
C’è più di un dubbio che queste scuole siano effettivamente dei terminali del “traffico di certificati”.
E la timidissima reazione del ministero dell’Educazione di Tirana sembra confermarlo: nessuna dichiarazione ufficiale e la timida promessa di fare qualche controllo sulla scuola del Trota.
Il portavoce della Procura generale della Repubblica Plator Nesturi ha inoltre aggiunto di volere costituire un gruppo tra inquirenti ed esperti del ministero dell’Educazione che si occupino delle verifiche sul caso.
La prima potrebbe essere realizzata sul sistema elettronico di controllo che registra le entrate e le uscite dalle frontiere albanesi, per vedere se il figlio di Bossi sia venuto o meno a Tirana per seguire gli studi.
E le polemiche sono affiorate anche sui siti dei principali media albanesi, in cui i lettori hanno ironizzato sui leghisti e il loro razzismo antialbanese, e sugli esami in lingua albanese che ‘il Trota’ avrebbe sostenuto.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile
L’EX TESORIERE DELLA LEGA HA DETTO AI PM DI AVER CONSEGUITO UN DIPLOMA DI RAGIONERIA IN UNA SCUOLA PRIVATA DI FRATTAMAGGIORE CHE PERO’ RISULTA ESSERE STATA CHIUSA UN ANNO PRIMA DELLA DATA DEL SUO PRESUNTO DIPLOMA… CHI HA PERMESSO CHE PER DUE ANNI SUL SITO DEL GOVERNO UN SOTTOSEGRETARIO SENZA DIPLOMA POTESSE DICHIARARSI LAUREATO IN SCIENZE POLITICHE?
Dopo la laurea di Renzo Bossi in Albania, sospetti anche sul diploma in ragioneria dell’ex tesoriere leghista Francesco Belsito.
Il particolare emerge dalle inchieste sui fondi della Lega.
I pm, che vogliono capire quali titoli avesse l’ex amministratore per gestire la tesoreria, avrebbero scoperto che la scuola privata a Frattamaggiore (Napoli) in cui Belsito sostiene di aver preso il diploma era già fallita all’epoca.
Dubbi pure sulla laurea che dice di aver conseguito in un’università telematica.
Belsito avrebbe messo a verbale, davanti ai pm milanesi, di essere un “tributarista” e di essersi diplomato in ragioneria presso una scuola privata a Frattamaggiore.
Gli inquirenti milanesi, confrontandosi con gli investigatori delle altre Procure (Milano e Napoli) che indagano sui fondi del Carroccio, avrebbero però elementi per ritenere che quella scuola campana, all’epoca in cui l’ex tesoriere dice di essersi diplomato, era già fallita e non esisteva più.
Dalle prime analisi, inoltre, risulta che il diploma – che fra l’altro è stato anche acquisito agli atti – potrebbe essere fasullo, perchè le firme apposte sembrano false.
In più Belsito avrebbe raccontato agli inquirenti di essersi laureato in scienze politiche all’Università telematica (con corsi online) John Kennedy di Milano.
Ma anche sull’esistenza di questa università ci sono dubbi.
Così dopo i sospetti sulle lauree in Albania del ‘Trota’ e di Pierangelo Moscagiuro, caposcorta di Rosy Mauro, che potrebbero essere state pagate coi soldi del partito, anche i titoli di studio di Belsito sono finiti sotto la lente di in gradimento degli inquirenti.
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Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile
PER RECUPERARE I CAPITALI ESPORTATI ILLEGALMENTE, L’AGENZIA DELLE ENTRATE STUDIA UNA CONVENZIONE SUL MODELLO DI GERMANIA E REGNO UNITO… MA L’ANONIMATO DEL CONTRIBUENTE SAREBBE GARANTITO ANCHE PER IL FUTURO
L’accordo per tassare i capitali degli evasori in Svizzera, l’ha detto Mario Monti,
dipende dalla tregua sui frontalieri: il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente il trattato che prevede di trasferire risorse ai Comuni di frontiera i cui cittadini lavorano e pagano le tasse in Svizzera ma consumano servizi pubblici italiani.
Per il solo 2010 si tratterebbe di 28 milioni di franchi, circa 23 milioni di euro, che sono rimasti in Ticino invece di arrivare nelle casse di Comuni italiani.
Proprio per le tensioni sui frontalieri il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha annullato (o almeno rinviato) una visita di Stato in Svizzera.
Ma non è questa l’unica ragione di prudenza del governo di Roma sull’accordo fiscale che permetterebbe di recuperare almeno una parte di quei 120-150 miliardi esportati illegalmente in Svizzera da contribuenti italiani.
L’Agenzia delle entrateda mesi vaglia con attenzione pro e contro di un accordo fatto sul modello di quelli approvati da Germania e Gran Bretagna (un forte prelievo una tantum, tra il 30 e il 40 per cento che sana il pregresso, poi un’aliquota annuale sopra il 26 per cento per i rendimenti. In cambio gli evasori e la Svizzera restano protetti dal segreto bancario). L’Agenzia delle entrate è preoccupata perchè la Convenzione — anche se con aliquote di imposta analoghe a quelle italiane, quindi non di favore — si presenti come una sanatoria.
E questo, secondo il Fisco, rischia di avere un impatto mediatico negativo perchè apparirebbe proprio come un condono, anche se molto oneroso.
nfatti la Svizzera agirebbe da sostituto di imposta ma l’anonimato del contribuente sarebbe garantito non solo per i rapporti pregressi, quelli sanati dal prelievo una tantum, ma pure per il futuro.
E comunque, notano i funzionari che rispondono ad Attilio Befera, non è bello trattare con un paradiso fiscale che sta ancora nella black list.
Tra le preoccupazioni dell’Agenzia delle entrate ce n’è anche una molto concreta: sul gettito c’è una grande incertezza, perchè il fatto che Berna agisca come sostituto di imposta è comodo, tutti i costi burocratici sarebbero a carico degli svizzeri, ma il perdurare del segreto bancario comporta che l’Italia non è in grado di sapere se gli svizzeri dicono tutta la verità . Per questo l’Agenzia prevede due strumenti di tutela: il primo è un meccanismo aggiuntivo di salvaguardia di scambio di informazioni, nel caso gli ispettori del Fisco, durante un’indagine scoprano una transazione con la Svizzera.
Tradotto: se gli ispettori o la magistratura italiana hanno fondate ragioni per sospettare che un italiano abbia un conto in Svizzera, Berna dovrebbe dimostrare che quel conto paga le tasse — tramite il governo elvetico — o sono guai.
Insomma, gli strumenti per capire se la Svizzera non collabora ci sarebbero.
La vera garanzia però è l’acconto, pagato subito da Berna, prima di raccogliere direttamente dai conti (e solo da quelli, le cassette di sicurezza sarebbero al riparo) le imposte previste dall’eventuale accordo. In attesa della gallina domani, l’uovo sarebbe certo.
Ma piccolo: 1-2 miliardi su 150 depositati nei forzieri di Ginevra e Lugano.
Ci sono delle precauzioni ulteriori che l’Italia può adottare e su cui i tecnici del governo stanno ragionando, soprattutto per limitare lo spettro della sanatoria ed evitare che l’operazione diventi un gran regalo ai criminali: il prelievo una tantum non dovrebbe sanare i cosiddetti “reati mezzo” commessi per esportare i capitali, tipo appropriazione indebita e falso in bilancio.
E dovrebbero essere perseguibili anche i “reati fine”, commessi utilizzando i soldi, tipo evasione, riciclaggio e corruzione.
Il problema più serio è un altro: risalire ai beneficiari ultimi dei conti o degli strumenti di investimento è complesso, senza meccanismi che garantiscano di superare gli schermi giuridici si rischia che il gettito sia quasi zero, come è successo in questi anni in cui era in vigore una direttiva europea non troppo dissimile dagli accordi di Germania e Gran Bretagna. Ma qualunque scelta faccia il governo Monti deve fare in fretta o rischia di trovare i forzieri vuoti.
Con i capitali emigrati nelle filiali asiatiche delle grandi banche svizzere.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 4th, 2012 Riccardo Fucile
UNO STUDIO DELL’UNIVERSITA’ OLANDESE DI LEIDEN CONFRONTA LE REGOLE SUI PARTITI IN EUROPA: ANALOGIE E DIFFERENZE
“Il sistema italiano? Troppe leggi, pochi controlli e la democrazia interna non è tutelata. In tutta Europa, in questo momento, c’è un dibattito sul finanziamento pubblico perchè i partiti ovunque registrano un calo del tesseramento. In parte sono in difficoltà per la crisi economica, ma il problema principale è che il senso d’appartenenza alle forze politiche è diminuito”.
Daniela Romèe Piccio è una ricercatrice italiana che lavora all’università di Leiden, in Olanda. Da due anni partecipa a un progetto – sostenuto dall’European research council – sui partiti e sugli strumenti con cui si finanziano.
Con quattro colleghi, ha esaminato anche i dettagli delle legislazioni europee ma c’è un primo dato – politico – che vuole sottolineare: “Stiamo studiando la situazione dei 27 membri dell’Ue più Islanda, Croazia, Serbia, Ucraina, Norvegia, Svizzera. Solo in Italia, però, la discussione è dominata da toni di così forte delegittimazione. Nel resto d’Europa si parla, magari, di riduzione di fondi. Di controlli più stringenti. Ma tendenzialmente il finanziamento pubblico non viene messo in discussione. E anche in Paesi come Gran Bretagna e Malta — in cui i partiti vivono di donazioni private – è in corso un ripensamento”.
Molte delle attuali proposte di legge puntano proprio a valorizzare le donazioni private. E’ la Gran Bretagna il punto di riferimento per questo modello?”
Sì. Ma ma anche lì i partiti non vivono solo di finanziamenti dei cittadini. Ci sono agevolazioni statali per lo svolgimento dell’attività politica e poi un dotazione riservata all’opposizione”.
Come viene garantita, generalmente in Europa, la trasparenza dei finanziamenti privati?
“Quindici Paesi dell’Unione europea hanno un tetto massimo per i contributi privati. E poi, ovunque, esistono soglie oltre le quali la fonte della donazione deve essere resa pubblica. La media europea è di 3.500 euro. In Belgio c’è il tetto più basso, l’anonimato vale fino ai 125 euro. In Italia invece è molto alto: solo oltre i 50 mila euro scatta l’obbligo di una dichiarazione congiunta di donatore ed ente ricevente presso la tesoreria della Camera dei deputati. Anche la Germania, comunque, ha una soglia piuttosto alta, con i suoi 10 mila euro”.
In Italia molti, in questo momento, invocano il modello tedesco anche per il finanziamento pubblico. Come funziona?
“In effetti è un sistema interessante: il finanziamento pubblico in parte è collegato ai voti validi ottenuti, in parte dipende dalla capacità di autofinanziamento perchè è proporzionale alle donazioni raccolte. Questo aiuta i partiti a rimanere ancorati alla società civile: li spinge a cercare non solo il voto ma anche la motivazione più profonda dei simpatizzanti, fino al versamento di un contributo privato. Per accedere ai soldi pubblici basta aver ottenuto lo 0,5 dei consensi – in Italia la soglia è dell’un per cento – ma attenzione: la legge tedesca disciplina rigorosamente la democrazia interna, quindi i soldi pubblici vanno solo a quelle forze politiche che accettano regole precise per esempio sulla selezione della leadership, degli organi interni, perfino sulla tutela del dissenso sulla minoranza. Tutti aspetti che nel sistema italiano sono assenti, visto che non è mai stato attuato l’articolo 49 della Costituzione proprio sulla democrazia dei partiti. E questa è sicuramente un’anomalia”.
Quali sono le altre anomalie del sistema di finanziamento italiano?
“Nella maggior parte degli altri Paesi i controlli sono affidati a commissioni indipendenti speciali, con una continuità nel tempo. Da noi invece le verifiche – come ha dimostrato la cronaca – sono solo formali, procedurali, non entrano mai nel merito, le voci di spesa non sono separate. E poi la regolamentazione del finanziamento pubblico in Italia viene affrontata in almeno 8 leggi diverse, una frammentazione francamente eccezionale. Mentre il Greco 2 (nrd, l’organo contro la corruzione del Consiglilo d’Europa) incoraggia l’attuazione di una singola legge che racchiuda tutte le informazioni, in modo chiaro e accessibile”.
A giudicare dal proliferare di proposte di legge 3 in materia è una raccomandazione – quella del Greco – destinata a restare inascoltata.
Tiziana Testa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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