Giugno 8th, 2012 Riccardo Fucile
DA SETTEMBRE IL QUOTIDIANO “PUBBLICO”…”E’ CAMBIATO TUTTO MA TRAVAGLIO VUOLE SOLO DEMOLIRE. E GRILLO E’ TRATTATO COME GESU'”
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un titolo.
Che a Luca Telese, però, è sembrato «un rutto: “Parmacotti”. Campeggiava sulla prima pagina de il Fatto il giorno dopo la vittoria del grillino Pizzarotti. Io tornavo dalla Francia, dalla festa per Hollande. L’ho letto e ho detto basta».
Il giorno della rottura ufficiale con il suo (oramai ex) giornale, Luca Telese, 42 anni compiuti ad aprile, sembra frastornato. Ma non impaurito.
Va via, dopo aver contribuito a fondarlo («esperienza indimenticabile»), dal quotidiano diretto da Antonio Padellaro.
E lo fa per un motivo: «La mission di quel giornale si è esaurita. Non è passato dalla protesta alla proposta. Quando il governo Berlusconi è caduto, ci siamo chiesti: ora cosa dobbiamo cambiare? Travaglio ha detto: nulla. Io ho risposto: tutto. Ecco perchè vado via. Perchè non puoi continuare, a guerra finita, a mozzare le teste di cadaveri sul campo. Non puoi solo demolire. È il momento di costruire».
Telese lascia il Fatto e fonda un nuovo quotidiano, che lui definisce «piccolo “centro studi” del cambiamento e della costruzione delle idee».
Si chiamerà Pubblico : 20 pagine in edicola dal 18 settembre, a 1,50 euro («Il coraggio si paga, ma per questo chiediamo a tutti di abbonarsi»).
Età media dei redattori: 35 anni.
Con lui andranno una squadra di sette giornalisti del suo ex giornale, tra cui Federico Mello e Manolo Fucecchi.
Ma anche Francesca Fornario ( l’Unità ), Tommaso Labate (già al Riformista ) e Stefania Podda ( Liberazione ).
E poi firme come Ritanna Armeni, Corrado Formigli, Mario Adinolfi, Marco Berlinguer e Carlo Freccero.
Ma «darei volentieri la rubrica del cuore alla mia ex collega di conduzione Luisella Costamagna».
Tra gli azionisti, Lorenzo Mieli e Fiorella Mannoia. Oltre allo stesso Telese.
Un «divorzio» che ha fatto scalpore, frutto soprattutto di dissidi interni con Travaglio. Che Telese ammette tutti: «Diciamo che al Fatto eravamo divisi tra Bosnia-Erzegovina e Croazia. E che politicamente, a un certo punto, hanno preso il potere i croati. Così dopo il primo turno delle amministrative Beppe Grillo è diventato Gesù. Casaleggio un guru. Ma il povero Tavolazzi non lo si poteva intervistare… Troppo per me».
Ci ha provato, dice, a cambiare la linea «nichilista-gesuitica» di Travaglio, «giovane vecchio che vive nei miti della sua infanzia. Due culture diverse avrebbero potuto convivere. Ma con Marco non si parla. In una discussione ha due reazioni: se è arrabbiato gira il collo a 37 gradi da un lato, tace e gli si gonfia una vena. Se non è d’accordo sorride. Non è interessato al dibattito democratico».
Tanti i punti di scontro tra i due.
Telese ricorda «la destituzione di Roberto Corradi, ideatore dell’inserto satirico Il Misfatto ».
E l’uscita dell’ex ad del Fatto Giorgio Poidomani, «un galantuomo costretto a dimettersi e che non collaborerà , purtroppo, con noi».
In entrambi i casi «Marco ha applicato la tecnica del capo tribù. A Corradi ha preferito Disegni. Mentre nel nuovo cda ha messo suoi fiduciari. Come il produttore Carlo Degli Esposti. O la “musa” Cinzia Monteverdi. Ragazza simpatica, però da qui a farla diventare amministratore delegato… Diciamo che rientra tra i giovani cooptati».
Ma come sarà Pubblico ?
«Costruito sul modello di un garage della Silicon Valley. Voce ai giovani contro la casta dei 60enni. Cambiare l’agenda di sinistra. E finalmente non sarò più vittima dell’ossessione di Travaglio, e di tutti i mafiologi, del “papello” di Spatuzza. D’altronde Marco ammetteva: il 75% di quello che scrivete non mi interessa.
Per dire, la frase di Stracquadanio sul “metodo Boffo” nasce da un’intervista al nemico che piace a Padellaro ma al quale Travaglio era contrario perchè “a quelli non bisogna dare manco una riga”. Ecco, nel nostro nuovo giornale si farà il contrario».
Angela Frenda
(da “Il Corriere della Sera”)
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Giugno 8th, 2012 Riccardo Fucile
SECONDO LA CORTE DEI CONTI QUESTA LA MAGGIORAZIONE CON LE MANOVRE TREMONTI E MONTI DEL 2011… I DIPENDENTI ITALIANI SONO I PIU’ TARTASSATI D’EUROPA E IN CAMBIO RICEVONO SOLO LE BRICIOLE: 890 MILIONI GLI SGRAVI FISCALI
Sulle tasse ci hanno (di nuovo) preso in giro.
La Corte dei Conti non lo scrive in questi termini ma il senso è chiaro: quella che nelle manovre susseguitesi nel corso del 2011 è stata sempre presentata come una redistribuzione del carico fiscale in realtà non è stato altro che l’ennesimo aumento della tassazione.
Nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica in cui denuncia il peso dell’evasione e gli effetti recessivi di un alto carico fiscale la Corte ci spiega anche che per il 2012 ci siamo beccati una patrimoniale sotto mentite spoglie da oltre 16 miliardi di euro (10,7 miliardi con l’Imu sugli immobili e quasi 6 miliardi sulle altre ricchezze), 8 miliardi di nuove accise e 7,5 miliardi di aumento Iva.
Quest’anno pagheremo insomma circa 30 miliardi di imposte in più rispetto al 2011 e non riceveremo nessuna contropartita.
La beffa è particolarmente amara per i lavoratori che restano i più tartassati d’Europa e che hanno ricevuto giusto poche briciole: 890 milioni di euro sotto forma di sgravi alla parte dei salari legata alla produttività .
Questo il “generoso” riconoscimento arrivato in cambio di una stretta sulle pensioni, delle nuove tasse e di un indebolimento delle tutele normative.
Neppure un quarantesimo rispetto a quell’alleggerimento delle tasse sulle buste paga da 38 miliardi che servirebbe per riportarci in linea con la media dei paesi europei.
E’ andata solo un po’ meglio alle imprese che tra aumenti della deducibilità Irap ed altri sgravi risparmieranno poco meno due miliardi e mezzo.
I carichi fiscali che gravano su lavoratori e imprese rimangono comunque il primo e il secondo d’Europa.
Quanto a tassazione sui patrimoni siamo passati dal settimo al secondo posto preceduti dalla sola Francia così come si è ridotto in modo significativo il gap rispetto agli altri paesi nel prelievo sui consumi a causa dell’incremento di Iva e accise.
Il risultato finale è sintetizzato così a pagina 59 del Rapporto: “gli spazi per un aumento del prelievo sono stati impiegati più per accelerare la dinamica del gettito complessivo che non per imprimere una decisa svolta redistributiva a sostegno della crescita economica”.
La Corte dei Conti riconosce che visto lo stato in cui versano le finanze pubbliche e il contesto economico internazionale i margini di manovra erano e sono estremamente ridotti.
Tuttavia qualcosa di più in temine si spostamenti dei carichi fiscale avrebbe potuto essere fatto.
Comunque purtroppo molto poco, spiega Raffaello Lupi che insegna diritto tributario all’Università di Tor Vergata e che aggiunge: “La Corte ha ragione quando afferma che gli spazi di azione sono minimi.
L’Iva è già al 21% e probabilmente salirà ancora e con il debito che abbiamo, che alla fine non riusciremo comunque a ripagare interamente, abbassare le altre tasse è quasi impossibile”.
Se poi, al di là delle valutazioni di merito, si volesse tassare di più la ricchezza e di meno i redditi ci troveremmo innanzitutto di fronte ad un problema di carattere organizzativo.
Lupi fa infatti notare che al momento “non esiste una banca dati centrale delle ricchezze da cui emerga un quadro completo e veritiero delle risorse economiche di cui dispone un singolo soggetto.
Si riescono a colpire singoli cespiti come gli immobili o il conto titoli, basandosi peraltro sui dati degli istituti di credito ma la pubblica amministrazione non è in grado di fare di più.
“Servirebbe — conclude Lupi — una profonda opera di riorganizzazione ma queste sono cose che richiedono tempo e che non si possono fare con un semplice decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale”.
Mauro Del Corno
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Giugno 8th, 2012 Riccardo Fucile
SE FATTA NEL MODO GIUSTO PUO’ ESSERE INDISPENSABILE.. IN FRANCIA SE CROLLA UNA CASA ABUSIVA NIENTE RISARCIMENTO
C’è un diluvio, on line , contro «la tassa sulla iella». Insulti, invettive, rivolte.
Ma la spinta all’assicurazione contro i disastri naturali è davvero, come scrive qualcuno, «l’ultima porcheria della Casta»?
Mah… Se fatta nel modo giusto, la svolta potrebbe dimostrarsi indispensabile.
Non solo per sgravare un po’ lo Stato da un peso ormai insopportabile ma anche per battere l’abusivismo e, soprattutto, salvare la vita delle persone
Partiamo da qui: ce lo possiamo permettere ancora, noi italiani, dato che le pubbliche finanze sono la nostra «cassa comune» e non un’entità astratta, di pagare i danni di ogni calamità ?
Anche di quelli magari aggravati dalla stoltezza di chi ha consapevolmente costruito la sua casa senza rispettare le norme antisismiche?
Anche di chi l’ha tirata su più o meno abusivamente, nell’alveo di un torrente che una o due volte al secolo straripa o sui sedimenti di una vecchia frana o sulle pendici del Vesuvio?
No: abbiamo un problema.
E la Casta stavolta non c’entra.
Anzi, la distribuzione di soldi pubblici dopo le calamità è stata per decenni un affarone dei politici più spregiudicati, corrotti e clientelari.
Che sarebbero i primi a perderci in un sistema misto che funzionasse bene.
Quanto siano costati nei decenni gli interventi dello Stato per le ricostruzioni di case, fabbriche, laboratori privati (quelle delle strutture pubbliche è un’altra faccenda, ovvio) non è chiaro.
«Il danno medio annuo stimato al patrimonio abitativo da eventi sismici e alluvionali», dice un «Working papers» di Deloitte Consulting, «ammonta a circa 2,8 miliardi di euro».
Ma la stessa Protezione civile pare non essere d’accordo.
E scrive in un rapporto del 2010 di «un valore orientativo complessivo dei danni causati da eventi sismici in Italia pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni». Solo per i terremoti.
Poi ci sono le frane, le alluvioni… Franco Gabrielli lo ha detto: «Purtroppo, per il futuro dovremo pensare alle assicurazioni perchè lo Stato non è più in grado di fare investimenti sulle calamità ». Di qui il contestatissimo decreto legge 59. Dove si dice che, dopo l’avvio di un percorso, la definizione di regole e «un regime transitorio» si dovrà arrivare all’«esclusione anche parziale dell’intervento statale per i danni subiti da fabbricati».
«Mostruoso», strillano sul web. E sono in tanti ad affilare i coltelli per fare a pezzi il progetto governativo.
Chi con la speranza di incassare voti, chi con motivazioni più serie come Salvatore Settis che scrive d’una «abdicazione dello Stato al suo compito istituzionale primario, la messa in sicurezza del territorio (…)
Il teatrino dell’assicurazione obbligatoria pretende di archiviare decenni di inadempienze dietro uno scaricabarile indegno».
E si chiede: «Che farà chi è troppo povero per pagare le alte tariffe che verrebbero richieste?
E chi pagherà l’assicurazione degli edifici abusivi o fabbricati con materiali scadenti, il costruttore (colpevole) o il proprietario (spesso innocente)?
Quale stato di polizia va instaurato per obbligare i riluttanti a pagare, anche se disoccupati, il dovuto balzello alle imprese private?»
Messa così, non fa una piega.
E la stessa Legambiente, pur ammettendo che «in linea di principio l’assicurazione obbligatoria è corretta», ha dei dubbi: «Potrebbe forse aver senso in un Paese con standard di sicurezza antisismica già elevati e una attività di prevenzione seria e avanzata. Da noi si rischia l’effetto opposto: lo Stato metterebbe un balzello in più sulla casa, non spingerebbe i privati ad adeguare le costruzioni agli standard antisismici e si sentirebbe anzi deresponsabilizzato rispetto ai suoi compiti di messa in sicurezza del territorio».
Ma l’esperienza di altri Paesi dice che oltre ai contro ci sono anche dei pro.
In Francia, spiega la Deloitte Consulting, «i privati che stipulano una polizza incendio obbligatoriamente devono sottoscrivere una clausola di garanzia contro le catastrofi naturali».
Premio fisso: il 12% del contratto base.
E se arriva una catastrofe troppo grave per un’assicurazione privata? Subentra la Caisse Centrale de Reinsurance (CCR), pubblica.
Per capirci: non sono le assicurazioni a scegliersi il cliente (tu sì, tu no, a seconda dei rischi e di quanto paga il cittadino) e lo Stato «fornisce garanzia illimitata».
Insomma, dice il Cineas, il Consorzio universitario del Politecnico di Milano che promuove la cultura del rischio, «un sistema ibrido: da una parte si rinvia al meccanismo classico dell’assicurazione, per cui i risarcimenti vengono erogati direttamente dalle compagnie; dall’altra è lo Stato che interviene in maniera significativa stabilendo l’obbligatorietà dell’assicurazione, la definizione di un premio unico per tutti gli assicurati e una specifica garanzia».
E qui viene l’aspetto più interessante.
Nel 1995 il governo francese ha imposto agli enti locali l’obbligo di darsi dei «Piani di prevenzione del rischio naturale».
E dal 1997 «le compagnie assicurative possono rifiutare la speciale copertura ai beni situati in aree definite ad alto rischio, nel caso gli insediamenti risalgano a epoca successiva all’approvazione dei Piani».
Più semplice: chi «dopo» quei piani di prevenzione che lo hanno messo in guardia ha costruito senza rispettare le regole non può assicurarsi.
Quindi se la sua casa fuorilegge casca, affari suoi. L’assicuratore non paga e lo Stato non mette un quattrino. È un sopruso? Difficile da sostenere.
Anche in Spagna, grosso modo, va così.
E «l’obbligatorietà di questa copertura assicurativa è presente fin dall’epoca della guerra civile». E così altrove.
Negli Stati Uniti, dove «i premi per catastrofe naturale vengono stabiliti secondo le normali regole del mercato assicurativo» com’è ovvio date le tradizioni, «il programma sulle inondazioni garantisce ai cittadini delle aree a maggior rischio l’accesso a condizioni di favore (fino al 45% di sconto sulla polizza), purchè il governo locale abbia aderito agli standard indicati dal programma di prevenzione».
In sintesi: dove le cose sono fatte bene lo Stato usa questo sistema per imporre alle assicurazioni (vuoi entrare nel business?
Accetti, a patti chiari, anche i clienti a rischio) e agli enti locali un sistema di regole. Sistema che innesca una spirale virtuosa spingendo i cittadini, gli amministratori e le compagnie a studiare meglio il territorio, prendere atto dei pericoli sismici o idrogeologici, fissare norme precise e rispettarle risanando via via ciò che può essere risanato. Insomma: fermi restando i doveri dello Stato nei soccorsi e nel ripristino delle opere di tutti, privati e enti locali sono chiamati ad assumersi più responsabilità . Un’indagine del Cineas afferma che gli italiani non sono contrari a priori: «Il 54% si dichiara propenso a sottoscrivere una polizza contro i rischi da calamità naturali per assicurare l’abitazione.
Tale percentuale, se lo Stato si facesse carico di prevedere una defiscalizzazione dell’importo, crescerebbe fino al 72%».
Certo, non è un percorso facile. E il progetto governativo, con l’assicurazione «su base volontaria» non convince.
«Non risolverebbe nulla», polemizza il presidente del Cineas Adolfo Bertani, «anzi, metterebbe le compagnie assicuratrici nella condizione di prendersi i rischi migliori, scegliendo chi e come assicurare e incrinando il basilare “principio di mutualità ” delle assicurazioni»
«Le aree a elevato rischio sismico sono il 50% del territorio nazionale e il 38% dei Comuni; quelle a elevata criticità idrogeologica il 10% del territorio e l’82% dei Comuni. Nelle prime risiedono 24 milioni e 147 mila persone, nelle seconde 5 milioni e 772 mila persone; 6 milioni e 267 mila edifici risiedono in area sismica, 1 milione e 259 mila in area a rischio idrogeologico», scrive al Parlamento il presidente nazionale degli architetti Leopoldo Freyrie.
E spiega che «è perciò evidente che, come peraltro ammesso da Ania nella trasmissione Skytg24 Economia , nessuna compagnia di assicurazione stipulerà una polizza su un edificio in zona sismica che non sia stato edificato secondo i criteri di legge. Il risultato sarà che coloro che hanno a subire gli effetti devastanti di un terremoto non potranno assicurarsi e tanto meno i più poveri, che abitano in case che hanno avuto minor manutenzione e nelle zone più depresse del Paese, che sono proprio quelle più esposte al rischio sismico e idrogeologico».
Servono le pinze.
E si torna sempre lì: allora è lo Stato che deve farsi carico di tutto?
Anche se, come è sotto gli occhi di tutti, non ce la fa? La soluzione è il buon senso. Da una parte, come sostiene Lorenzo Pallesi già presidente dell’Ina, «bisogna evitare che i cittadini vivano quest’obbligo come una ulteriore forma di tassazione» cominciando con l’abolire o almeno ridurre l’imposta sui premi assicurativi del ramo incendio ed eventi catastrofali «attualmente del 22,25%: una delle più alte d’Europa». Poi consentendo ai cittadini di scaricare la polizza dalle tasse.
E ripetendo, suggerisce Ermete Realacci, l’esperimento delle energie alternative con incentivi che incoraggino le famiglie a mettere in sicurezza la loro casa.
E tante altre cose ancora, come appunto il sistema francese, da definire. Ma un punto deve essere chiaro a tutti: le distribuzioni di pubblico denaro di una volta, visti i conti, sono diventate impossibili.
Gian Antonio Stella
(da il “Corriere della Sera“)
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Giugno 8th, 2012 Riccardo Fucile
ECCO CHI PUO’ RUBARE A BERSANI LA CANDIDATURA A PREMIER… NON PUO’ DORMIRE SONNI TRANQUILLI
Sosteniamo il governo Monti fino al 2013”, ha detto (e ribadito) Pier Luigi Bersani smentendo seccamente il suo responsabile economico, Stefano Fassina, che aveva rotto il tabù del voto anticipato.
Sostenuto da Massimo D’Alema che liquidava come una “sciocchezza” l’uscita di Fassina, ma anche di Matteo Orfini, nella fattispecie il figlioccio politico del Lìder Maximo.
Eppure al segretario potrebbe personalmente convenire il voto a ottobre. Sì, perchè lui, con l’etica della responsabilità che tira fuori in ogni situazione è pronto a presentarsi di nuovo davanti al giudizio degli elettori e sottoporsi a primarie per scegliere il candidato premier.
Una mossa a due facce: da una parte Bersani potrebbe ottenere una blindatura vera, certamente maggiore di quella di ora, dall’altra le primarie, se sono aperte (e così le ha presentate il leader Pd) possono sempre riservare qualche sorpresa.
Quel che è certo è che gli incubi di Bersani sono molteplici: tra le fronde e le provocazioni interne, gli aspiranti leader in casa, i nomi “nuovi” pronti a venir fuori, siano essi tecnici o amici di Repubblica e il fattore Grillo che erode dall’esterno non c’è certo da dormire sogni tranquilli.
E dunque, partendo dalle primarie.
Pronto a sfidare Bersani è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che sono mesi e mesi che (cerca) di porsi come leader alternativo.
L’avvento di Monti l’ha un po’ rimandato nell’ombra, ma sono settimane che lui ha rimesso in piedi una campagna politica e di comunicazione in grande stile.
Tra i candidati a sorpresa ci potrebbe essere Rosy Bindi: non sarebbe neanche la prima volta: nel 2007 sfidò Veltroni.
Espressione di un’area più cattolica dei Democratici, è la presidente del partito, ma è anche un volto (e una politica) che ha da sempre un seguito e degli estimatori.
E che non esita neanche a porsi criticamente rispetto alla linea della segreteria.
Poi, tra minoranze, giovani scalpitanti, montiani convinti, vuoi che non esca qualche altro nome dal cilindro?
Se le primarie dovessero essere di coalizione, poi, la candidatura di Nichi Vendola è già annunciata.
Ma la leadership di Bersani non se la deve vedere “solo” con questi contendenti più o meno scontati. L’altroieri Ezio Mauro ha detto che il Pd dev’essere “un partito scalabile”.
Cosa diversa dalla lista civica, targata Repubblica e Saviano, che Bersani sarebbe stato pronto anche ad appoggiare, a patto, però, che non venisse messa in discussione la sua leadership.
E dunque, scalabile da chi?
Saviano (per ora) ha escluso di candidarsi, ma ha assicurato il suo patrocinio.
Netto diniego da Stefano Rodotà , il giurista tirato in ballo da Eugenio Scalfari.
Tra i “papabili” rimangono il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e Concita De Gregorio.
Ma i possibili aspiranti non finiscono qui: tra i tecnici ritorna il nome di Fabrizio Barca, economista e ministro molto vicino a Napolitano, che ha mangiato a casa pane e politica per una vita (il padre Luciano è stato, deputato e poi senatore del Partito comunista italiano, e direttore dell’Unità ).
Il 23 maggio scorso Barca ha confessato a “Un giorno da pecora” che alle ultime elezioni ha votato ” a sinistra del Pd”.
E a Silvio Berlusconi dichiarò che “essere comunisti è una malattia di famiglia, una malattia incurabile”.
La voce è arrivata anche in tv allo stesso Bersani, che a Porta a Porta a una domanda su un’eventuale premiership di Barca aveva risposto: “Lo stimo tantissimo, gli voglio molto bene”.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 8th, 2012 Riccardo Fucile
CONVOCATO L’UFFICIO DI PRESIDENZA DEL PDL DOPO IL RICHIAMO ALL’OPERAZIONE VERITA’
Il confronto interno al Pdl si appresta a vivere un importante passaggio. E’ convocata per le 10 di domani mattina, venerdi 8 giugno, una riunione dell’ufficio di presidenza del partito.
Sul tavolo, inevitabilmente, la richiesta di “un’operazione verità ” 1fatta a Berlusconi e alla dirigenza del Pdl dal presidente del Senato, Renato Schifani, attraverso un’intervista al Foglio .
Ovvero, riportare il Pdl nel solco della responsabilità e della moderazione, offrendo a un elettorato confuso quei riferimenti una volta chiari che oggi pagano la divisione interna al Pdl tra diverse anime, dagli estremisti anti-Monti, a partire dalla Santanchè, al grillismo di destra, fino a chi attende inutilmente Casini.
Un richiamo, quello di Schifani, che Angelino Alfano, prende molto sul serio.
“Le parole del presidente del Senato sono serie, forti e talvolta dolorose, ma vere. Occorrerà agire, e subito, ed anche per questo abbiamo convocato domattina l’ufficio di presidenza del Pdl” dichiara il segretario del Pdl, mentre con Schifani si schiera apertamente il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto.
“Condivido la lettera al Foglio del Presidente Renato Schifani. Essa va al cuore del
problema politico che riguarda il centrodestra”, commenta Cicchitto, “è indispensabile, sotto la guida di Alfano, e con il contributo di Silvio Berlusconi rilanciare rinnovandolo il Pdl sia nell’azione che esso deve condurre per fare tutto quello che è possibile per modificare la linea di politica economica del Governo Monti – salva la verifica che andrà fatta nei tempi e nei modi dovuti – sia per ristabilire forti rapporti con il blocco sociale del centrodestra”.
“In tutto ciò, come dice Schifani, sono da evitare estremismi e grillismi ma anche l’accreditamento di liste improbabili e ancor di più la cosiddetta separazione concordata fra gli ex di Forza Italia e An – aggiunge Cicchitto -. Il sottoscritto ebbe, a suo tempo, qualche dubbio sulla formazione del Pdl, poi felicemente realizzata, in primo luogo grazie all’iniziativa del Presidente Berlusconi. Adesso che questa aggregazione si è compiuta sarebbe un tragico errore smontarla, anche perchè si tradurrebbe in una lacerazione”.
Plaude convinto anche l’ex ministro Gianfranco Rotondi, membro dell’ufficio di Presidenza del Pdl. “Da Schifani viene un atto di amore per il Pdl, ma anche un contributo da uomo delle istituzioni a ripristinare il valore dei partiti come centro e motore della politica democratica. E’ un intervento che si colloca nella tradizione dei grandi presidenti del Senato, da Fanfani a Morlino e Mancino, uomini che mai persero la terzietà pur contribuendo attivamente alla vita del loro partito”.
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