Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
DENUNCIA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEI GEOLOGI: UN ISTITUTO SU DUE NON HA IL CERTIFICATO DI AGIBILITA’….A RISCHIO IDROGEOLOGICO BEN 6122 SCUOLE DI CUI 994 IN CAMPANIA, 815 IN EMILIA E 629 IN LOMBARDIA
In Italia 27.920 edifici scolastici sono in aree potenzialmente ad elevato rischio sismico, di cui 4.856 in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria (il 100% del totale), 2.864 in Toscana, 2.521 nel Lazio.
Lo afferma Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi sulla base dello studio condotto dal Consiglio Nazionale dei Geologi su dati Cresme, Istat e Protezione Civile.
Ad elevato rischio idrogeologico, invece, sono 6.122 scuole di cui 994 in Campania e 815 in Emilia Romagna, 629 in Lombardia.
”Molte di queste scuole — sottolinea ancora il presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Graziano — sono state costruite prima del 1974, anno in cui sono entrate in vigore le norme antisismiche e addirittura alcuni edifici sono stati costruiti prima del 1900, come si evince anche dal rapporto di Legambiente. Molti edifici scolastici necessiterebbero di manutenzione urgente, con un Sud Italia e Isole che hanno un patrimonio edilizio scolastico vecchio. In alcuni casi abbiamo edifici che inizialmente erano nati come abitazioni o come caserme e quasi una scuola su due — afferma Gian Vito Graziano — non ha il certificato di agibilità ”.
Tuttavia, conclude il presidente dei geologi, “oggi rileviamo una accresciuta attenzione nei confronti della sicurezza delle scuole, anche da parte del Governo nazionale, che si sta sforzando di reperire le somme necessarie agli interventi, ma occorre anche un approccio programmato che modifichi il quadro complessivo”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
IL 30 OTTOBRE IL NUOVO PIANO DEL LINGOTTO, POSSIBILE IL TAGLIO DELLA PRODUZIONE ITALIANA
Dimenticare Fabbrica Italia.
Quello che appare un clamoroso autogol mediatico del Lingotto – ripetere con enfasi quanto finora si era detto sottovoce, e cioè che non si possono mantenere le promesse – diventa in realtà il prezzo necessario da pagare al doloroso passo successivo.
Che sarà , inevitabilmente, la riduzione della capacità produttiva installata in Italia.
Con tagli di personale o addirittura con nuove chiusure di stabilimenti?
Marchionne scioglierà il dilemma il 30 ottobre.
Ma da ieri nessuno può più fare il paragone con le promesse dell’aprile del 2010: quattro fabbriche (Mirafiori, Cassino, Melfi e Pomigliano) che funzionano a pieno regime e una produzione annua in Italia di 1,4 milioni di auto.
La crisi (e la scelta conseguente di ritardare il lancio di nuovi modelli) consegnano una realtà assai meno rosea: nel 2012 in Italia la Fiat produrrà 400 mila auto, un milione in meno dell’obiettivo di Fabbrica Italia.
Una capacità produttiva superiore di un milione di pezzi a quel che chiede il mercato significa avere tre stabilimenti su quattro in bilico.
Non ci sono, naturalmente, automatismi ed è auspicabile che Marchionne trovi una soluzione per evitare nuove chiusure dopo quella di Termini Imerese. Ma questo è l’ordine di grandezza dei problemi da affrontare.
Dicono i rumors che ieri mattina in America (il primo pomeriggio in Italia) l’ad del Lingotto abbia preso la decisione di intervenire dopo aver letto le dichiarazioni di sindacalisti (Camusso, Landini, Airaudo) e politici (Fassina, Vendola).
Tutti a ricordare il piano del 2010, i 20 miliardi di investimenti promessi, i nuovi modelli. Evidentemente con quel paragone, qualsiasi annuncio venga fatto il 30 ottobre è destinato a suscitare delusione e accuse al vetriolo.
Meglio dunque mettere le mani avanti e sottolineare quel che si era già detto.
Non tanto il 27 ottobre 2011, quanto nella recente assemblea degli azionisti di primavera. Nell’ottobre di un anno fa infatti la scelta di abolire la dizione «Fabbrica Italia», era stata la risposta agli interrogativi della Consob che voleva sapere dove e quando il Lingotto avrebbe speso i famosi 20 miliardi promessi.
La Fiat aveva scelto di non rispondere alla domanda e per uscire dall’impasse aveva deciso di abolire l’espressione «Fabbrica Italia» sostenendo che non di un vero e proprio piano si trattava ma di una semplice ipotesi di lavoro.
Nella primavera scorsa invece era stato lo stesso Marchionne a dire agli azionisti Fiat che «in occasione dell’approvazione dei dati del terzo trimestre 2012» avrebbe presentato un vero e proprio piano alternativo a quello del 2010.
Mancano ora sei settimane al d-day del cda del 30 ottobre. La situazione sta diventando molto difficile.
Marchionne in questi mesi ha tentato diverse vie di uscita. Ha proposto ai giapponesi della Mazda di affittare una parte degli impianti italiani.
Ha chiesto che sia l’Ue a farsi carico del problema della sovracapacità produttiva dei costruttori europei.
Sta tentando la strada di produrre in Italia anche una parte delle auto da vendere in America. Nessuno può dire oggi quali di questi tentativi andranno a buon fine e con quale risultato sulla situazione italiana.
Certo, il quadro del 30 ottobre sarà assai meno roseo di quello rappresentato l’altro ieri dal presidente della Fiat, John Elkann, che ha parlato di «conti in miglioramento rispetto al 2011» e di un’azienda in buona salute.
Perchè ultimamente la buona salute degli azionisti non è andata di pari passo con quella dei dipendenti. Anzi.
Sembra proprio che la cassa integrazione dei secondi sia la premessa per gli utili in aumento dei primi.
E, forse non per caso, tocca all’amministratore delegato, che ci mette direttamente la faccia, ricordare a tutti che il cielo sopra Torino è più nuvoloso di quanto dicano i suoi azionisti.
Paolo Griseri
(da “La Repubblica”)
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Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
LA CASTA: SEVERINO RECCA PENSIONATO CON UN PASSATO NELLE TV LOCALI E’ IL FRATELLO DI ANTONIO CHE GUIDA L’ATENEO DAL 2006
La consulenza all’Ateneo? Assegnata al fratello del rettore.
Ma andiamo con ordine.
Lo scorso 23 maggio, l’Università degli Studi di Catania ha emesso un bando per “instaurare tre rapporti di collaborazione esterna”, della durata di un anno ma prorogabile per altri due.
Con un’ampia premessa del direttore amministrativo dell’ateneo, Lucio Maggio, veniva specificato che “il personale in servizio non può essere distolto dagli attuali compiti senza pregiudizio alla struttura”, e per questo le nuove 3 figure dovevano essere ricercate tra esperti in possesso di una laurea generica e indirizzato a professionisti con esperienza nel campo della produzione, del palinsesto, della regia. Per tale mansione il compenso lordo annuo è di 18.000 euro e l’attività inizierà il 15 settembre.
I VINCITORI
L’evolversi del bando, scaduto il 23 giugno scorso, è stato seguito in questi mesi dalla redazione di Ustation.it, che con stupore ha prontamente comunicato, dopo aver letti nel sito ufficiale dell’Università , i nomi dei vincitori.
Tra questi c’è il dottor Severino Recca, fratello minore di Antonino che dal 2006 è magnifico rettore dell’Università di Catania.
Severino, pensionato catanese 58enne, ha un passato nelle emittenti di Antenna Sicilia e Teletna, televisioni catanesi su scala regionale appartenenti all’imprenditore Ciancio Sanfilippo.
Gli altri due vincitori sono la trentunenne dott.ssa Rosario Macauda, anche lei catanese, e il trentacinquenne dott. Bonatesta Christian, nato a Nardò.
I COMPITI
I tre consulenti si occuperanno di gestire il nuovo canale telematico dell’Università etnea, che si aggiungerà a quelli già esistenti di Milano, Torino, Pisa e Roma.
La web tv, costituita con fondi PON 2007/2013 per costo totale di 350.000 euro, avrà la sede in via Umberto 285, luogo nella quale sorge già il Centro di Documentazione Europea (CDE) di Catania.
Sfogliando il “capitolo telematico” redatto dal professor Alfio Lombardo, già docente straordinario al dipartimento di Ingegneria Informatica e delle Telecomunicazioni, viene evidenziata in 76 pagine tutta la strumentazione che bisognerà acquistare per predisporre la costituzione della nuova web tv.
Nulla è lasciato al caso.
Sono annotati tutte le caratteristiche dell’impianto video, di quello sonoro e audio, le telecamere “di prima serie” in HD, i monitor, l’impianto studio e quello di regia, finendo con gli arredi e senza tralasciare nemmeno i cavalletti.
I DUBBI
All’interno del capitolo 3.1, quello relativo all’impianto video, ci sono persino 9 pagine scritte in lingua inglese che introducono le “caratteristiche SPG/TSG”, quelle del “frame”, dei “distributori”, e della “TBC” che sembrano decisamente scopiazzate dal web, come si può tranquillamente confrontare andando nel sito californiano della www.ensembledesigns.com, un gruppo di consulenti informatici specializzati.
Anche se questa volta la consulenza esterna non è per nomina diretta, la vittoria del fratello del Rettore farà comunque discutere sulla trasparenza e sulla scelta dei candidati.
Saul Caia
(da “il Corriere del Mezzogiorno“)
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Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
PDL: NIENTE PIU’ ADOZIONI E AFFIDI
“Per quanto concerne la richiesta di audizioni la Commissione ha escluso di procederne allo svolgimento”. Due righe, nemmeno, una e mezza.
È la risposta che la Commissione Giustizia del Senato ha dato all’Associazione Italiana dei Magistrati Minorili e della Famiglia.
Chiedevano di essere sentiti perchè a Palazzo Madama si discute un disegno di legge che semplicemente svuoterebbe le competenze dei Tribunali dei minori.
Via, più di metà del lavoro: niente più adozioni, affidamenti, decisioni sulla potestà dei genitori.
È tutto scritto nel disegno di legge presentato da Maria Elisabetta Alberti Casellati, senatrice veneta del Pdl. Avvocato.
Una rivoluzione per la giustizia che si occupa dei soggetti più giovani — e più indifesi — che, però, sta procedendo spedita al Senato nel silenzio generale.
Chissà , forse anche perchè i minori non votano.
I testi in materia presenti in Parlamento sono tre (ce n’è anche uno Pd), ma quello del centrodestra ha subìto un’accelerazione, potrebbe arrivare all’approvazione prima di fine legislatura.
Che cosa prevede il disegno targato Pdl?
Luciano Spina, presidente dell’Associazione Italiana dei Magistrati Minorili, spiega: “In pratica tutte le competenze civili che oggi sono svolte dai Tribunali dei Minori passeranno a sezioni specializzate della famiglia e della persona da costituirsi presso i tribunali e le corti di appello. I tribunali per i minorenni perderebbero la competenza civile che significa, appunto, adozioni, affidamenti, decisioni sulla potestà dei genitori”.
Insomma, il cuore del lavoro, oltre la metà dei compiti di un tribunale.
Resterebbero soltanto le competenze penali.
Ma soprattutto sparirebbe una delle grandi risorse della giustizia minorile: occuparsi di ogni aspetto della vita del minore, avendo come principale obiettivo il recupero della persona.
Una rivoluzione con molte incognite.
Per esempio: “Scomparirebbero i giudici onorari, cioè quelli non togati. Nei Tribunali dei minori italiani ci sono circa 200 magistrati di carriera e 600 onorari. Sono medici, psicologi, assistenti sociali, insegnanti. Le loro competenze sono essenziali per tutelare i minori”.
Il motivo del terremoto? Difficile da dire.
La riforma dovrebbe avvenire a “invarianza finanziaria”, cioè senza risparmiare un euro.
Laura Laera, uno dei più esperti magistrati minorili italiani, commenta: “Se passasse questo disegno di legge sarebbe un arretramento culturale e storico. Con alti costi, economici e sociali. Perchè la sinergia tra lavoro civile e penale sui minori consente di recuperare i ragazzi, di seguirli nel migliore dei modi”.
A scorrere i dati del Dipartimento della Giustizia Minorile e della fondazione britannica Howard League si scopre infatti che la tanto bistrattata giustizia italiana, pur tra tanti problemi, ha ancora delle eccellenze.
In Italia soltanto 544 minori sono rinchiusi negli istituti di pena, mentre in Inghilterra sono 11.554.
Qualcuno potrà sostenere che in Italia siamo più di manica larga, gli esperti soprattutto stranieri invece concordano che nel nostro Paese la prevenzione nei confronti dei minori funziona. Nonostante i tagli selvaggi, con tribunali di grandi città che hanno bilanci da poche migliaia di euro per le spese vive di un anno.
Con magistrati che fanno collette per comprarsi carta, toner e, addirittura, per anticipare gli stipendi a impiegati.
Ma all’orizzonte si presenta la rivoluzione chiesta dagli avvocati.
Tanto rappresentato in Parlamento.
“E pensare — racconta un operatore — che il Piano Nazionale di azione per l’infanzia e l’adolescenza prevede il rafforzamento dei diritti dei minori e l’istituzione di un unico organo giudiziario per i minori e la famiglia. Con la riforma in discussione invece si andrebbe nella direzione opposta”.
Aggiunge: “Le linee guida del 2010 del Comitato dei mnistri del Consiglio d’Europa indicano la necessità di un unico organico giudice in questa delicatissima materia”.
Spina aggiunge: “All’estero guardano all’esperienza italiana come a un esempio e noi rischiamo di cancellarla”.
Intanto la Commissione Giustizia nega perfino un’audizione agli esperti che ogni giorno si occupano di questi problemi e vivono a contatto con i minori.
Perchè? “Dicono che ci hanno già ascoltato. Ma è stato tre anni fa, e riguardo a una questione molto più limitata”, replica Spina.
La Commissione Giustizia deve davvero essere oberata di lavoro per negare perfino un’audizione.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
E’ PARI AL 23% DELLA POPOLAZIONE COMUNITARIA… VALORI MASSIMI IN BULGARIA, ROMANIA, MINIMI NEI PAESI DEL NORD EUROPA… L’ITALIA APPENA SOPRA LA MEDIA
Nel 2010 il 23% della popolazione comunitaria risulta socialmente escluso, con valori minimi nella Repubblica Ceca e nei paesi del Nord Europa e valori massimi in Bulgaria, Romania e nelle Repubbliche Baltiche (Lituania e Lettonia).
In totale le persone che si trovano in questa condizione sono 115.718 milioni.
Lo dice il Quaderno della Ricerca Sociale n. 17 “Povertà ed esclusione sociale: l’Italia nel contesto comunitario. Anno 2012”, che rileva la situazione della povertà negli Stati membri attraverso il nuovo indicatore comunitario.
Per la maggioranza dei paesi la componente principale dell’indicatore è il rischio di povertà , cui si aggiungono, più o meno sovrapponendosi, le altre due componenti: deprivazione materiale ed esclusione dal mercato del lavoro.
A livello europeo, infatti, il rischio di povertà da solo individua circa il 70% del complesso delle persone coinvolte da una delle tre dimensioni di esclusione considerate.
Anche la grave deprivazione materiale gioca un ruolo fondamentale nel definire la popolazione socialmente esclusa soprattutto in paesi come Bulgaria, Romania, Lettonia e Ungheria, dove costituisce il primo motivo di esclusione.
Nei paesi a bassa esclusione sociale il peso della componente legata alla deprivazione materiale è invece, tranne il caso della Repubblica Ceca, molto limitato; qui è la terza componente, ossia la bassa intensità di lavoro nella famiglia, ad avere un impatto maggiore; e costituisce comunque il primo motivo di esclusione solo in Irlanda (22,9%).
Ma presenta valori alti anche nel Regno Unito (13,3%); Belgio (12,6%) e Germani (11,1%).
L’Italia è appena sopra la media comunitaria (un punto in più), per il rischio povertà ed esclusione (24,5%); mentre le famiglie a bassa intensità di lavoro sono il 10,2% e la deprivazione materiale è al 6,9%.
Un altro fattore di grande rilevanza nella determinazione del rischio di povertà è la tipologia familiare.
Nella larga maggioranza dei paesi (19 su 27) la presenza di figli dipendenti innalza il rischio di povertà ; tra i paesi in cui più elevato risulta lo scarto rispetto alle famiglie senza figli troviamo, dopo Romania e Lussemburgo, l’Italia. Il nostro Paese si colloca, infatti, tra i paesi a più alta incidenza di povertà tra le famiglie con figli dipendenti (22,6%, al 5° posto dopo Romania, Spagna, Grecia e Lettonia), nel caso di assenza di figli l’incidenza della povertà è invece ampiamente al di sotto dell media comunitaria (13,9% contro la media UE27 del 14,5%).
Il rapporto mette in evidenza anche un aspetto particolarmente rilevante della deprivazione materiale, quello che attiene alla condizione abitativa, che considera da un lato le condizioni materiali dell’abitazione, dall’altra l’adeguatezza della stessa al nucleo familiare (due concetti misurati rispettivamente dagli indicatori di “deprivazione abitativa” e di “sovraffollamento”).
Il primo indicatore si muove da valori al di sotto del 5% (Paesi Bassi, Cipro, Irlanda, Spagna e Belgio) a valori superiori al 40%, in particolare tra i nuovi stati membri; gli individui che vivono in case con almeno un sintomo di deprivazione abitativa si muovono invece dal 10% di Slovacchia, Finlandia e Danimarca, al 50% della Romania. In Italia i due tassi si posizionano rispettivamente al 23,9% ed al 22,6%, contro medie UE27 del 17,6% e del 22,1%.
(da “Redattore Sociale“)
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Settembre 15th, 2012 Riccardo Fucile
IL LEADER DELL’IDV CERCA DI AGGANCIARE GRILLO: “IL DISSENSO COMUNE DIVENTI POLITICA COSTRUTTIVA”
Se in futuro ci fosse la possibilità di coordinare e coagulare il dissenso intorno a una proposta politica costruttiva, noi non solo parteciperemmo, ma ne saremmo promotori”.
Sembra un ex Dc qualsiasi, invece è Antonio Di Pietro: non si è trasformato in Enrico Letta, sta solo parlando a Beppe Grillo, uno che in genere morde.
Meglio dunque essere prudenti.
Onorevole Di Pietro, i sondaggi danno M5S e Idv insieme al 25 per cento. Potreste essere il primo partito.
È un dato di fatto che la maggioranza non solo relativa, ma anche qualificata degli italiani non crede più alla classe politica tradizionale, a quelli che in un modo o nell’altro si mettono sempre d’accordo, com’è stato per il governo Monti. Doveva essere una situazione transitoria per rispondere alle sollecitazioni dell’Europa e si è trasformato in un governo di lungo corso sostenuto da una coalizione di partiti che si erano presentai su fronti opposti. E adesso si parla pure di Monti bis.
Quindi che fa, si allea con Grillo?
Se ci fosse la possibilità di coagulare il dissenso l’Idv se ne farebbe carico, ma è evidente che in queste ore è la priorità della politica è individuare una legge elettorale che permetta l’ennesima truffa: un voto ognuno per sè e poi un bell’inciucio post elezioni tra partiti che si presentano in alternativa di giorno e si accoppiano di notte.
Non si voterà con il Porcellum?
La legge elettorale ci sarà . Questa attuale non risponde più agli interessi dei partiti tradizionali. Oggi c’è la necessità è fermare la disperazione e il dissenso non dal punto di vista delle risposte, perchè non sanno come darle, ma isolando la contestazione anche se rappresenta la maggioranza relativa dei cittadini.
Cioè voi, i non allineati. Però Il M5S non vuole allinearsi proprio con nessuno.
Non intendo tirare in alcun modo la giacchetta al Movimento 5 Stelle, perchè ha fatto la scelta di esprimere e raccogliere la protesta contro la vecchia politica. Noi dell’Idv, che la protesta l’abbiamo fatta prima di loro, diciamo solo: attenzione, di sola protesta si muore, bisogna costruire un’alternativa e aver il senso di responsabilità per mettere insieme tutte le forze che possono trovarsi intorno a un programma. Se stai da solo questi ti fregano, paradossalmente il voto di mera protesta toglie la possibilità alternativa.
Consigli a Grillo? Non è uno che li accetta in genere…
L’errore è che personalizzare: Grillo oggi, come Di Pietro ieri. Chi vota l’uno o l’altro sta votando non la persona ma un’idea di politica diversa, personalizzare e ghettizzare il voto su Grillo o Di Pietro serve solo all’informazione malata .
E il dibattito sulla democrazia interna al Movimento?
Anch’io quando ho fondato l’Idv ero da solo. Prova a seminare un campo di grano, all’inizio è un chicco di grano, poi da chicco nasce chicco. Ora anche il M5S si sta strutturando e radicando sul territorio. Un processo del genere va aiutato, non criminalizzato una cosa del genere. Se tanta gente vota Movimento 5 Stelle, bisogna chiedersi il perchè. Al di là della stima personale che ho per Beppe e Casaleggio, sto cercando di trovare una via per costruire un’alternativa, una massa critica alternativa. E non parlo solo di Grillo, anche la raccolta di firme per il referendum contro la riforma Fornero del lavoro va nella stessa direzione, una proposta di programma politico ma anche un messaggio ai partiti che a parole dicono sempre di voler stare dalla parte dei più deboli. Con chi vuoi stare, con D’Alema che vuole Casini al governo e dunque rafforzerà la riforma Fornero o con noi?
Matteo Renzi, a proposito della foto che la ritrae insieme a Vendola dopo il deposito delle firme, dice che è “brutta”, il simbolo “di una sinistra che non governerà mai”.
L’Italia dei Valori non intende parlare solo al popolo di sinistra, questa schematizzazione è l’ennesima furbata per sfuggire al merito. Renzi, piuttosto, ci dica se un lavoratore che viene illegittimamente licenziato debba essere o no reintegrato sul posto di lavoro se una sentenza riconosce che è stato leso un suo diritto. Questo è il punto. Bisogna dire da che parte si sta.
Enrico Letta invece si è arrabbiato con Vendola: “Niente scherzi”, dice.
Una cosa è la dirigenza del Pd, una cosa sono gli elettori del Pd. Preferisco parlare con loro. In questo momento sto per partecipare alla festa della Fiom di Torino. Fuori mi stanno aspettando i lavoratori della De Tomaso, uno dei 150 tavoli di crisi aperti al ministero. Sono quasi mille persone, prese in giro da un imprenditore malfattore [Gian Mario Rossignolo, agli arresti domiciliari perchè accusato di truffa ai danni dello Stato, ndr] che aveva promesso mari e monti e poi li ha lasciati in mezzo a una strada. Su questi temi è inutile cercare di non disturbate il manovratore. Bisogna intervenire in modo concreto.
Stefano Caselli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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