Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
PRESSIONI PER RINVIARE LA DECISIONE DEL MINISTRO… I BERLUSCONIANI VOGLIONO IMPEDIRE IL PROVVEDIMENTO PER SALVARE IL GOVERNATORE SCOPELLITI
‘Usciogghiunu”. È il tormentone che infiamma questi giorni di settembre Reggio Calabria.Il Comune sta per essere sciolto per mafia.
Lo ripetono come un brano rap consiglieri comunali e assessori che “’nnacano” lungo il corso cittadino per stringere mani e rassicurare elettori e fedelissimi.
Il terrore che agita le notti dei Demetrio Arena, detto Demi, e soprattutto del suo lord protettore Peppe Scopelliti, uno che in Calabria conta il 70% dei voti, è il tutti a casa decretato dal Viminale.
A casa perchè la ‘ndrangheta che succhia il sangue alla città è entrata in tutti gli angoli di Palazzo San Giacomo, dentro le società miste e le municipalizzate, ha suoi politici di riferimento, gente che ha chiesto i voti ai boss e li ha avuti: consiglieri comunali, assessori, uomini potenti che sono la vera macchina del consenso del Pdl.
C’è una relazione firmata dal prefetto Vittorio Piscitelli che in città definiscono “terribile”.
Una radiografia impietosa e allarmata su come i boss che da sempre comandano a Reggio hanno messo le mani sulla città .
Ma la partita ora si gioca a Roma ed è tutta politica.
Quelle pagine vergate dal prefetto e che portano a una sola, definitiva conclusione, lo scioglimento e il commissariamento per mafia, sono da settimane sul tavolo del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. Tocca a lei proporre una decisione definitiva a Monti e all’intero consiglio dei ministri.
La responsabile del Viminale, che nei giorni passati ha inviato i commissari antimafia a Taurianova e a San Luca, ha chiesto tempo, vuole riflettere, analizzare altre carte e dossier e per questo ieri ha convocato a Roma il prefetto Piscitelli.
La decisione è di quelle da far tremare le vene ai polsi, perchè mai, da quando esiste la legge sullo scioglimento per mafia dei comuni, è stata commissariata una città capoluogo di provincia.
Sarebbe una notizia mondiale.
Ma questa è solo una delle ragioni che hanno indotto la Cancellieri a chiedere un supplemento di indagine e a rinviare la discussione prevista nel Consiglio dei ministri di oggi.
L’altra è più politica e riguarda le pressioni che sul Viminale sta esercitando il Pdl.
Reggio è una roccaforte del partito di Berlusconi, una delle ultime in Italia e la prima nell’intero Mezzogiorno.
E Peppe Scopelliti è una delle giovani promesse del berlusconismo alla canna del gas.
In sua difesa è sceso in campo l’intero quartier generale del Pdl, con Gasparri e Cicchitto in prima fila.
“Ma la relazione del prefetto è una bomba —dice chi l’ha vista —, descrive in modo dettagliato la capacità di penetrazione delle cosche nel tessuto istituzionale della città . Ci sono nomi ed episodi. Decidere di voltarsi dall’altra parte e di non sciogliere è praticamente impossibile”.
L’attenzione è altissima e il ministro si trova con le spalle al muro: se scioglie viene crocifissa dal Pdl, se non lo fa rischia l’effetto Crotone.
Da mesi sul suo tavolo c’è un durissimo dossier del prefetto dove si propone lo scioglimento della Provincia per infiltrazioni mafiose.
Non è stato ancora discusso dal governo provocando l’intervento dell’ufficio di presidenza della Commissione antimafia che ha chiesto di acquisire l’intero incartamento.
Clima tesissimo a Reggio, con il sindaco Arena che l’altro giorno, davanti a migliaia di reggini in processione per onorare la Madonna della Consolazione ha tuonato contro i “nemici della città ”.
“Madre Santissima, intercedi affinchè la cultura disgregante e autolesionista, il male principale della nostra comunità , sia definitivamente debellato”.
Non una parola contro la ‘ndrangheta, la malapolitica, i consiglieri regionali che per quattro voti baciavano le mani a boss del calibro di Peppe Pelle da San Luca, gli assessori amici degli amici.
Tutti uniti nella difesa del Modello Reggio.
Peppe Scopelliti ha fatto tappezzare la città di manifesti dove i reggini lo ringraziano.
Silenzio sui tre consiglieri regionali della sua maggioranza in galera, due per rapporti con la mafia, il terzo perchè vendeva posti di lavoro farlocchi in cambio di voti.
Il Comune è sull’orlo del dissesto, ma negli anni del suo regno si sono buttati dalla finestra centinaia di migliaia di euro per portare starlette e figuranti del Grande Fratello.
Conta poco.
Nei giorni scorsi ha fatto arrivare da Milano Roberto Arditti, ex portavoce del ministro Scajola ed ex direttore del Tempo , per rivendicare in una intervista pubblica il suo modello.
Ha portato in città Lele Mora, Costantino, Belèn: “Grazie a loro siamo entrati in un circuito di notorietà ”
La festa è finita da tempo e la musica è cambiata.
Si canta il rap, “’u sciogghiunu”.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
LA MOGLIE DEL DEFUNTO CREDEVA CHE ANCHE IL METICCIO FOSSE MORTO
Si chiama Capitano e la sua storia ha commosso l’Argentina.
Nel 2005 Miguel Guzman rincasa con un regalo per il figlio Damian, un pastore tedesco dal pedigree un po’ anarchico.
La moglie brontola.
Un cane in casa significa altro lavoro, specie adesso che e’ cucciolo pero’ alla fine acconsente che faccia parte della famiglia.
Ma il 24 marzo del 2006 Miguel Guzman muore.
In quei giorni nessuno nota l’assenza del cane che ricompare solo qualche giorno dopo i funerali del suo padrone.
Annusa ogni angolo della casa e se ne va un’altra volta.
Ricorda la signora Guzman che si accuccio’ a mezzo isolato da casa sua. “Stava con le orecchie tese, vigile, come se sapesse che da un momento all’altro sarebbe ricomparso il suo padrone. Ogni mattina mi alzavo guardavo fuori dalla finestra e lo trovavo sempre li’. Sempre nello stesso posto. Sempre vigile e in attesa. Finche’ un giorno non lo vidi piu'”.
Penso’ che fosse morto o che era stato adottato da un’altra famiglia.
Capitano sembro’ uscire definitivamente dalla sua vita.
Un giorno Veronica Guzman e suo figlio Damian vanno al cimitero di Villa Carlos Paez.
Appena si avvicinano alla tomba di Miguel sentono latrare, quasi un pianto.
E’ il Capitano.
Quando e’ il momento di tornare a casa lo chiamano ma lui non li segue. Resta accanto alla tomba del suo padrone.
La cosa incredibile in questa storia e’ che Miguel Guzman mori’ nell’ospedale di Carlos Paez e da li’ fu immediatamente trasferito in una camera ardente molto distante dalla casa in cui aveva abitato.
Tutto lontano dagli occhi del Capitano.
Come il cane sia risalito al Cimitero e’ un mistero.
La domenica successiva la signora Guzman e il figlio tornano a far visita a Miguel.
Il Capitano e’ sempre li’. A vegliare il suo padrone.
Quando se ne vanno il cane accetta di seguirli, resta un po’ in casa con loro ma alla fine ritorna al cimitero.
Ad oggi, il cimitero di Carlos Paez e’ la nuova casa del Capitano.
Marta la fioraia del cimitero assicura che il cane fece la sua comparsa nel cimitero nel gennaio del 2007.
“Zoppicava perche’ aveva una zampa fratturata. Chiamai un veterinario che gli inietto’ degli antintinfiammatori mentre i miei figli gli steccarono la zampa. Si e’ fatto subito benvolere. I ragazzi gli danno da mangiare. Ho cercato piu’ volte di portarmelo a casa ma lui non si allontana mai dalla tomba del suo padrone. E’ commovente l’affetto che continua ad avere per lui”.
Veronica Moreno Guzman ricorda la prima volta che suo marito le porto’ in casa il Capitano: “Tutti dicono che e’ una grande storia. All’inizio non lo volevo, la casa era piccola, piu’ che un regalo vedevo quel cucciolo come una palla al piede. Ora – confida con occhi velati dalle lacrime – mi fa tenerezza. E so che non solo veglia mio marito. E’ come se Miguel fosse sempre accanto a lui”.
Hector Baccega, il direttore del cimitero conosce questa storia in tutti i suoi dettagli: “E’ venuto qui da solo e da solo ha trovato la tomba del suo padrone. Passeggiamo per il cimitero tutto il giorno ma alle sei in punto Capitano e’ sempre accanto alla tomba di Miguel. Capitano ci regala una grande lezione di cui dovremmo fare tesoro. Dovremmo imparare ad apprezzare di piu’ il ricordo dei nostri cari estinti. Noi li dimentichiamo in fretta, distratti dalla vita, dalle nostre preoccupazioni, dal nostro egoismo. Gli animali ci insegnano invece una dedizione affettiva, una fedelta’, una riconoscenza che noi umani abbiamo smarrito da troppo tempo”.
Lorenzo Cairoli
da La Zampa.it
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
DA VERONA L’ASSALTO ALLE PRIMARIE: “VOGLIO I VOTI DEI BERLUSCONIANI”… PARLA CONTRO L’ART.18, L’ALCOA, I SINDACATI, VENDOLA E DI PIETRO… E’ UNA VIA DI MEZZO TRA VELTRONI E BERLUSCONI
Ma di quale partito è Matteo Renzi, se il segretario del Pdl Alfano dice: “Se perdi, vota noi”?
Il sindaco di Firenze appare alle 11 e 47 e alle sue spalle non c’è il simbolo del Pd. Solo nome, cognome e l’abusato slogan “Adesso” che per sua stessa ammissione fa tanto Eros Ramazzotti, “e ci sei, adesso tu”.
Renzi si candida ufficialmente alle primarie democrat e alla guida del Paese con una macedonia che mischia tantissime cose.
Parla per un’ora precisa e sembra di ascoltare un Frankenstein tra Veltroni e Berlusconi.
Le emozioni, innanzitutto, anche se da Ramazzotti a Lucio Battisti il passo è davvero lungo: “Buongiorno a tutti, essere qui e adesso è un’emozione. La politica deve regalare un’emozione ed è un’emozione cominciare questo viaggio”.
Chiamale se vuoi emozioni, appunto.
Ma ci sono anche “un orizzonte per allargare il respiro”, la fortuna di “cogliere il momento opportuno”, parafrasando Joseph Conrad, e la scoperta che “oltre la politica ci sono la vita e i sentimenti”.
È l’ultima frontiera del buonismo, che passa da una generazione all’altra.
Renzi comincia la sua avventura da Verona, nell’auditorium di piazza Brà , perchè vuole imitare il suo corregionale Dante Alighieri.
Il Sommo Poeta venne qui in esilio e nel 1315 rifiutò un compromesso, anzi “un baratto”, per ritornare a Firenze.
Il Sommo Rottamatore, invece, dice no a un altro baratto: quello di “stare fermo in un angolo e aspettare il proprio turno”.
Davanti a un migliaio di persone, il Matteo Renzi show prende di petto tutto e tutti. Una sua vittoria sarebbe una mutazione genetica più che generazionale del principale partito della sinistra.
Contro l’articolo 18, i sindacati, Vendola e Di Pietro: “Al Palazzaccio, per la consegna dei referendum contro la Fornero, sono riusciti a fare una foto persino più brutta di quella di Vasto. La foto del Palazzaccio è la foto della sinistra che non governerà mai”.
Contro i lavoratori del Sulcis e dell’Alcoa, “il carbone non rende e basta con le multinazionali che prendono solo soldi”.
Renzi vuole scrivere la storia italiana dei prossimi 25 anni, fino al 2037, e le emozioni servono fino a un certo punto.
Spazio quindi alle metafore calcistiche: “Se non ci chiudiamo in difesa e rifiutiamo la logica del catenaccio, il centrosinistra rischia di vincere le elezioni e di stupire”.
Poi altra suggestione o citazione canora per enfatizzare l’impegno da rottamatore: “Il rischio non è tirare il calcio di rigore, ma rimanere in panchina”.
Stavolta è il De Gregori della leva calcistica del ’68.
A proposito, un altro comandamento renziano è quello di spazzare via la “subalternità ” culturale al sessantottismo e ai sessantottini. Via tutto.
La crisi è un’opportunità per cambiare e trasformare la società italiana, non si potrà mai più tornare alle certezze di prima.
Renzi attacca. Il verbo più usato è giocare. Vale per un calciatore ma anche per un bambino. Attacca e infila le linee avversarie.
Qui si arriva al cuore del comizio, apertura di una campagna che lo porterà nelle 108 province del Paese: “Cari amici che avete votato Berlusconi, non abbiamo paura di venirvi a stanare nelle vostre delusioni, voi che volevate un milione di posti lavoro e vi ritrovate un figlio precario”.
Così qualche maligno ricorda la sua vittoria alle primarie per concorrere alle elezione a sindaco di Firenze.
In quell’occasione alcuni voti dei simpatizzanti pidielle pare siano arrivati. Eccome. Ma la morale è: “Vogliamo venirvi a prendere”.
È un’altra citazione, dal cinema questa volta: Rambo. Renzi Rambo e Rottamatore vuole andare a prendere tutti i delusi berlusconiani e leghisti.
Un’impresa da rivoluzionario.
Lui la chiama rivoluzione della speranza.
Qualcuno prima di lui la definì rivoluzione liberale.
Sì, Renzi scimmottia un po’ di tutto: Veltroni (nel racconto di ieri tante le storie di persone normali citate per nome) ma anche il Cavaliere e perfino Grillo, quando se la prende con chi va a fare le immersioni (Fini) o la spesa (Anna Finocchiaro) accompagnato dalla scorta.
Con il suo programma a tre punte (Europa, futuro, merito), il sindaco trentasettenne di Firenze vuole ribaltare un paese in cui la classe media non guadagna più da classe media. La borghesia era il 72% nel 2001, con la crisi è scesa al 35.
Per questo Renzi si converte al berlusconismo più spinto con il solenne impegno di abbassare le tasse, annunciando l’ennesima lotta all’evasione fiscale.
La dichiarazione più attesa arriva alle 12 e 20. Poggia le mani sul podio, imposta il tono della voce e proclama: “Annuncio ufficialmente la mia e la nostra candidatura a guidare l’Italia nei prossimi cinque anni”.
Con le emozioni c’è “la lista della spesa” del programma, compresa la civil partnership per quanto riguarda i diritti civili. Renzi punta Bersani e le primarie, ringrazia il segretario ma le primarie non sono una concessione, bensì un elemento costitutivo del Pd.
Il Rottamatore vuol vincere senza parlare male degli avversari e degli amici.
E guai a sottovalutarlo: “La burocrazia forte e autorevole del nostro partito ha la certezza di avere già vinto, ma abbiamo già avuto altre gioiose macchine da guerra che hanno perso”.
Forse l’eco di tali parole è arrivato a D’Alema, che immediatamente ha profetizzato: “Secondo un sondaggio il 55% vuole Bersani, il 22-23% Renzi”.
Intanto il “secondo”, qualora dovesse vincere, rassicura subito i poteri forti: “Monti ha dato l’idea di fare le cose e non rinviarle. Farò lo stesso”.
Si chiama continuità . Veltroniano, berlusconiano, montiano.
Una macedonia,appunto.
Il governo tecnico però è l’occasione per un altro schiaffo agli oligarchi del partito: “È l’umiliazione di un gruppo dirigente che, quando il governo dell’altra parte va a casa perchè ha fallito, non riesce a trovare una proposta e un’alternativa credibili tanto da costringere il capo dello Stato a una soluzione tecnica”.
E se perde, invece, il Renzi rossoblu modello States?
Finalino buonista: “Non faremo l’ennesimo partitino, ma saremo in prima fila a dare una mano a Bersani”.
Alle 12 e 50 è tutto finito.
Il camper di Renzi è partito.
Il piatto forte della ditta è la macedonia.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ DI CUI E’ PRESIDENTE LO SPIN DOCTOR DI GRILLO E’ IN PERDITA DI 57.800 EURO…. LA SOCIETA’ REALIZZA E VENDE SOFTWARE, PRODOTTI EDITORIALI E I DVD DI GRILLO E TRAVAGLIO
Mentre volano in alto i consensi, almeno secondo i sondaggisti, per Beppe Grillo e il suo MoVimento 5 Stelle, crollano i conti di Gianroberto Casaleggio, lo spin doctor del comico genovese finito di recente nella bufera per le dichiarazioni (il famoso e discusso fuorionda) di Giovanni Favia, consigliere regionale grillino in Emilia Romagna.
I CONTI
Il guru milanese è anche presidente (e titolare con il 28,5%) della Casaleggio Associati, andata in rosso nel 2011 per la prima volta dalla fondazione nel 2004. Infatti, l’ultima riga del conto economico, come ha rivelato il sito del settimanale Il Mondo, espone una perdita di 57.800 euro.
Un bel balzo indietro rispetto all’utile da 87 mila euro di un anno prima.
Per non parlare di quando (era il 2007) i profitti superavano i 660 mila euro.
E il fatturato viaggiava attorno ai 2,5 milioni. Adesso, invece, il giro d’affari è calato: i ricavi si sono fermati a quota 1,4 milioni.
La società realizza e vende software, hardware, prodotti editoriali e multimediali come i dvd, per esempio quelli di Grillo o Marco Travaglio.
Inoltre, fa consulenza per il marketing politico abbinato al web.
Però, dal bilancio non è possibile sapere quanta parte del fatturato derivi dalla vendita (anche al dettaglio) e quanta dal consulting.
In ogni caso, per coprire le perdite Casaleggio e soci (tra i quali il figlio Davide) hanno deciso di usare parzialmente il credito che vantavano nei confronti della società per utili del passato, ancora da distribuire.
Fabio Sottocornola
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
LO SCANDALO FIORITO E L’ASSEDIO AL DENARO PUBBLICO
E’ lo scandalo della casta ciociara, ma la guerra civile del Pdl laziale per il malloppo è anche l’evidenza della dissoluzione, proprio nella Roma della Marcia e dell’Impero, della destra italiana sopravvissuta alla storia e definitivamente corrotta dal danaro pubblico.
Infine, i 100 milioni di spese annuali del consiglio regionale del Lazio contro gli 86 della Campania, i 38 dell’Emilia Romagna e i 32 della Toscana sono l’ultima prova, nel super laboratorio romano, che il finanziamento dei partiti è in realtà un crimine da Banda Bassotti, una vera aggressione all’erario e, a Roma come a Napoli e come nella Varese di Bossi, l’evoluzione moderna dell’accattonaggio come professione.
Gessato e gilè sul collo aperto, 180 chili di peso e 1,91 di altezza, l’ex capogruppo ed ex tesoriere Pdl nella regione Lazio, Francone Fiorito, ha dunque maneggiato senza controllo più di otto milioni di euro di danaro pubblico in due anni e va fiero di averlo fatto con metodi spicci: «M’emporta poco dei regolamenti e della costituzione, a me me piace la politica, qui famo amministrazione» dichiarò a Radio Radicale.
Figlio di un impiegato della Winchester, 41 anni, Fiorito attaccava i manifesti per le campagne elettorali di Biagio Cacciola che del Msi è la memoria storica e di lui dice: «Non ce lo vedo come ladro, semmai come lussurioso satrapo».
Ma Fiorito ha messo in conto alla Regione i suoi week end a Porto Cervo, 109 bonifici a favore di 5 conti esteri intestati a se stesso, cravatte di Marinella, 1200 euro, per tutti…
E non mancano le solite ostriche. Anzi, dalle ricevute, sembra che ai suoi colleghi non facesse mangiare altro. I molluschi, pelosi o lisci che siano, sono ormai un must per il neo arricchito italiano di danaro pubblico.
Ostriche e capesante sono infatti i cibi eccessivi di chi viene dai ghetti sociali, la voglia di rifarsi del ciociaro che era l’attacchino del Msi e poi a Roma è diventato portaborse del siciliano Urso.
Ecco: in quel vecchio mondo missino Adolfo Urso passava per colto e dunque alla gola di Fiorito era già un’ostrica, cibo prelibato e perla coltivata nell’Osservatorio Parlamentare, parodia delle scuole d’èlite in versione destra italiana.
E però all’origine di tutto non c’è solo l’antropologia di guerra e di popolo sudato della Ciociaria, ma c’è il più occulto finanziamento pubblico della politica, un macigno nascosto, una cassaforte dentro un’altra cassaforte.
Oltre ai famigerati rimborsi, la casta del Lazio assegna infatti ben 210mila euro l’anno per ogni consigliere regionale, erogati tutti al capogruppo e non ai singoli.
Quelli del Pdl sono 17.
Ebbene, l’entità di questo bottino ha scatenato la battaglia: i viterbesi di Forza Italia guidati da lontano da Antonio Tajani, contro i ciociari di An, legati ad Alemanno.
È una guerra tra le genti romane, la gens nova contro la gens antica, la Ciociaria contro la Tuscia. E Fiorito è stato detronizzato. Ha perso il posto di capogruppo.
Ma, non contento di avergli rubato la lucrosa poltrona, il suo successore Franco Battistoni, già noto come abile compilatore di dossier fratricidi, ha preparato il libro nero della gestione Fiorito che ha reagito – « me fate ribrezzo » – compilando a sua volta un libro nero contro Battistoni e contro un altro traditore, De Romanis «uno che mi ha minacciato perchè come capogruppo non ho voluto finanziare festini con donne semivestite con abiti romani spacciandoli per manifestazioni storiche».
Troppi, in effetti, i 48.000 euro di preventivo per «il grande evento storico» che De Romanis avrebbe voluto al teatro 10 di Cinecittà , «la straordinaria occasione di rivivere il passato » schiave e matrone, lupe e Cornelie sul set di Roma antica.
Fiorito esibisce al collo quattro collane etniche di corda intrecciate, collane serbe e collane croate «perchè ama i simboli che si fanno la guerra sotto il suo mento» come le collane degli Hutu e dei Tutsi che si scannarono nel Ruanda.
E però questo guerriero ciociaro, che ora rischia il carcere, nel Pdl è trattato come nella Margherita trattarono Lusi.
Tutti lo rinnegano.
Da Crosetto a Giro gridano «al ladro al ladro», e il partito lo consegna nelle mani sagge, nientemeno, di Denis Verdini, che è un Fiorito nazionale, un Fiorito ripulito e rinverdito, il paradigma dei Fiorito d’Italia.
E tutti capiscono che è come affidare la refurtiva a Gambadilegno, è la giustizia alla rovescia, quella che mandò in galera Geppetto, il trionfo del comparaggio, il dettaglio divertente che contiene tutto l’oltraggio della verità .
Fiorito, come Verdini, è stato infatti una risorsa del Pdl, un buon investimento perchè aveva quel consenso che evidentemente in politica non è più un valore assoluto.
Sono i Fiorito e i Verdini l’antropologia vincente della destra di questi lunghi anni di declino e di degrado italiano, la versione moderna e disarmata dei mendicanti napoletani di Domenico Rea, gente che ha fantasia nell’arraffare, nobilita con la furba spavalderia la vecchia povertà e gli ambienti rancidi di fame, con la corsa alle ostriche al posto della corsa agli spaghetti del Totò di “Miseria e Nobiltà ”.
È l’unità d’Italia degli accattoni della politica, senza più differenza tra il maledetto toscano, il guappo ciociaro, il bravaccio padano e il mendicante napoletano a cui la Regina Giovanna concedeva il diritto all’arraffo.
E infatti tutti elogiano il turpiloquio come codice che sta a metà tra le allusioni e la chiarezza, un po’ servizi segreti e un po’ servizi igienici, «nun ci avevate l’onestà che ve passava per cazzo quando ve pagavo er soggiorno con l’amante ».
La reazione di Fiorito è il cortocircuito tra l’indignazione e la coda di paglia, la resa dei conti dell’accattonaggio politico come professione che sarà giudicata dalla storia. Fiorito portò in dote al Pdl ben 26mila voti «strappati uno ad uno nel Frosinate» perchè è missino da sempre ma è anche e soprattutto ciociaro appunto, e quindi della scuola di Ciarrapico che si dichiarava fascista ma raccoglieva voti per la Dc di Andreotti dicendo «non voto Msi perchè nun c’è sta più Mussolini».
Anche Fiorito ama i simboli fascisti ma è un raccoglitore di voti alla democristiana.
E manda gli auguri di Capodanno con il motto della X Mas.
Da sindaco votatissimo di Anagni, che è la città dello schiaffo ed è la sua città , addobbò la sala del Consiglio con due targhe in ricordo della marcia su Roma e di Sua Eccellenza Benito Mussolini.
E si dichiara futurista, apre la pagina di Facebook con un quadro di Boccioni, cita Marinetti e D’Annunzio.
Ma seriamente nessuno gli rimprovera il fascismo e infatti i viterbesi di Forza Italia non lo inchiodano al saluto romano, ma raccontano che già da sindaco di Anagni non si negava le ostriche.
Si concesse, per esempio, un viaggio in Giappone, 17 mila euro del comune, per seguire i mondiali di calcio.
Ma Fiorito replica raccontando le cene degli altri, quelle di Battistoni innanzitutto. I conti del ristorante Pepenero, ora seimila e ora cinquemila euro, contro i conti di Pasqualino al Colosseo, ora novemila e ora settemila euro, e ce n’è abbastanza per sfamare un manipolo, una falange e una squadraccia.
Non esiste l’obbligo di pubblicare i bilanci dei gruppi consiliari del Lazio.
I rendiconti sono approvati da un Comitato di controllo contabile che è presieduto da un consigliere del Partito democratico che – ops! – non si è mai accorto di nulla. Poi vengono consegnati al presidente del Consiglio regionale, che si chiama Mario Abbruzzese e sua volta mantiene 18 collaboratori e spende 3,4 milioni per il personale, 8 milioni per consulenze,ha avuto una dotazione di un milione e mezzo di euro sia nel 2010 e sia nel 2011 e guadagna 23mila euro al mese, vale a dire più del presidente Obama.
Il consiglio regionale del Lazio ha speso per “manutenzione e messa a norma degli immobili” trenta milioni di euro negli ultimi tre anni e quest’anno ne aveva in previsione altri dieci, bloccati dopo le denunzie alla magistratura dei due consiglieri radicali, Rocco Berardo e Giovanni Rossodivita.
Ecco perchè il sulfureo Fiorito dice: “Me sento preso per culo”.
Cresciuto a gassose e rosette e vendicato dal mollusco, si considera il più onesto dei disonesti, e perciò il solo che andrà in galera.
Francesco Merlo
(da “la Repubblica“)
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
“CURRENTI ANDATO VIA PER RAGIONI NON POLITICHE, DI BETTA RAPPRESENTAVA SOL SE STESSO”… CI SARA’ UNA LISTA CON FUTURISTI, MPS, PLI E PEZZI DELL’MPA IN PRESTITO PER ARRIVARE AL 5%
Problemi con Granata? Macchè, “siamo veramente amici, e da una vita”.
I fuoriusciti dal partito? “Scelte dettate da calcolo, la politica non c’entra niente”.
Lo sbarramento del cinque per cento? “Organizzeremo le liste per superarlo comodamente”. Carmelo Briguglio, leader dei finiani siciliani, sprizza ottimismo da tutti i pori.
E ostenta calma olimpica dopo la maretta che ha agitato Futuro e libertà in questi giorni.
L’accordo di massima sulle liste a sostegno di Gianfranco Miccichè è raggiunto.
“Saranno tre liste, proprio come per Musumeci e Crocetta — spiega Briguglio -. Una del Partito dei siciliani, una di Grande Sud, e una di Fli e Mpa con altri autonomisti e i liberali”.
Insomma, i finiani correranno in tandem con Riccardo Savona e il suo movimento, ma non solo.
La lista ospiterà anche altri Mpa, nelle zone in cui i lombardiani sono ‘in sovrannumero’, come per esempio Catania.
L’obiettivo è cementare una coalizione che un domani, alle politiche dell’anno prossimo, possa entrare compatta, con garante Gianfranco Fini, nel progetto di nuova cosa centrista portato avanti da Pierferdinando Casini.
Onorevole Briguglio, prima domanda: perchè ha scelto di candidarsi alle regionali?
“Potrei dire, per dare l’esempio, visto che sono il coordinatore regionale del partito. Io sono un convinto sostenitore delle preferenze. È una battaglia che sto portando avanti anche al Parlamento nazionale. E il rischio me lo prendo tutto, mettendoci la faccia. Qui bisogna candidarsi, è il momento”. (anche perchè se non lo eleggono in Parlamento almeno acchiappa uno stipendio in Regione n.d.r.)
Però scendendo in campo ha fatto andare via l’uscente Currenti…
“Mah, non vorrei nemmeno commentare. Currenti, se avesse voluto, sarebbe stato candidato. Ha fatto altri conti. Non mi si dica che ha avuto ripensamenti politici dell’ultimo momento, tutti sanno come stanno le cose. Non c’è niente di politico nella sua scelta”
Ha chiesto anche a Fabio Granata di candidarsi?
“No, basta il coordinatore regionale. Può darsi che Granata pensi di faro in futuro. Non è certo uno che scansa il rischio”.
E l’addio del vostro ex assessore Di Betta come lo commenta?
“Di Betta non è stato mai iscritto a Futuro e libertà . È stato un innesto tecnico condiviso con Lombardo e non ha lasciato traccia in Fli, nessuno ne ha nostalgia. Di Betta rappresentava solo se stesso”
Avere come avversario un vostro ex compagno di partito come Musumeci può essere un problema? Può esercitare un fascino sul vostro elettorato?
“Con Nello Musumeci sono stato amico. Oggi è un avversario. Ma soprattutto è lo strumento per cercare di risuscitare il Pdl e preparare una improbabile sesta discesa in campo di Berlusconi. Il che chiaramente non può in nessun modo trovare interessato l’elettorato di Fli.
Siete soddisfatti dalla soluzione trovata sulle liste?
“Sì, perchè le stiamo organizzando in modo che tutte possano comodamente superare lo sbarramento”.
Ci sarà il simbolo di Fli nella vostra lista?
“Stiamo un po’ studiando con i grafici. Avremo degli elementi del nostro simbolo”.
I rapporti al vostro interno si sono rasserenati?
“Io amo che ci sia un momento di dibattito quando si devono prendere decisioni importanti, siamo un partito vero. Io e Fabio Granata siamo veramente amici, ma da tanti anni. Lui ha delle sue idee, io le mie, magari ci sono delle differenze, ma non sono mai state contrapposte. Il nostro è un partito a più voci, nel quale magari i giovani protestano, come sempre fanno i giovani, d’altro canto. Però questa è un’elezione che segna un passaggio storico”.
Perchè segna la fine dell’era del vecchio centrodestra?
“Perchè stanno succedendo delle cose che nessuno si aspettava. La prima è che nessuno pensava che Lombardo si dimettesse davvero. La seconda è che nessuno pensava che Miccichè rompesse veramente con Berlusconi” (infatti non ha rotto n.d.r.)
Miccichè può vincere?
“Non c’è dubbio che c’è una simpatia nell’area catanese per Musumeci, frenata in qualche modo dai panzer dell’Mpa. Ma se c’è una voglia della Sicilia occidentale, in particolare di Palermo, di volere dopo tanti anni un suo presidente, Miccichè è certamente una parte importante della storia di Palermo. Ad ogni modo, io credo che la campagna sia ancora fredda. Il meglio deve ancora arrivare” ( anche il peggio pensiamo noi…n.d.r.)
(intervista su “Live Sicilia”)
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Settembre 14th, 2012 Riccardo Fucile
TRA I PARTITI PDL 19%, PD 18%, MPA 11,5%, UDC 10%, CINQUESTELLE 7%, GRANDE SUD 6,5%, LA DESTRA 6%, SEL 4,5%, IDV 4,5%, PID 4%, FLI 2%, FED SIN. 1,2%
Asca Datamonitor, in esclusiva per BlogSicilia.it, ha reso noti i risultati del terzo sondaggio relativo alle intenzioni di voto per l’elezione del nuovo Presidente della Regione e dei deputati che comporranno l’Assemblea Regionale.
Nelle intenzioni di voto rilevate, resta in testa Nello Musumeci, in lizza per Pdl, Cantiere Popolare e La Destra che pero’ vede scendere le sue preferenze di un punto percentuale: 30% dei consensi contro il 31 della scorsa settimana.
Il suo diretto avversario Rosario Crocetta, candidato di Pd ed Udc cresce: 28% di voti, confermando il trend di un punto percentuale di crescita come nella precedente rilevazione Datamonitor per BlogSicilia.
Invariata anche la terza posizione con Gianfranco Micciche’, in quota Grande Sud, Fli e Partito dei Siciliani che mantiene il 20% delle intenzioni di voto.
Stessa tendenza anche per Claudio Fava, candidato di Sel ed Idv che mantiene il 10% dei consensi come nel secondo sondaggio.
Giancarlo Cancelleri del Movimento Cinque Stelle mantiene il risultato dell’8%.
In questo sondaggio, inoltre, entrano in ‘classifica’ anche altri candidati, segno che la campagna elettorale sta entrando nel vivo della competizione: Cateno De Luca del Movimento Rivoluzione siciliana ottiene il 2%; Mariano Ferro dei Forconi e Davide Giacalone del Movimento LeAli alla Sicilia raggiungono l’1% dei voti.
Resta alta la percentuale con un 42,6% fra indecisi e votanti pronti a inserire nell’urna schede bianche o nulle.
In calo rispetto al 46% della scorsa settimana. T
ra le liste per il rinnovo dell’Ars, danno sempre il Pdl al primo posto fra i partiti ma con un evidente calo rispetto alla rilevazione della scorsa settimana quando il Popolo della Liberta’ era dato al 22%.
Adesso perde tre punti percentuali attestandosi al 19%.
Secondo partito e’ il Pd che mantiene il suo 18%, quindi il Mpa-Partito dei siciliani che perde mezzo punto percentuale passando dal 12 all’11,5%.
Invariato il risultato ottenuto dall’Udc che mantiene il suo 10% di voti.
Quinto fra le rilevazioni sui partiti, il Movimento 5 Stelle con un -1 passando dall’8 al 7%. Quindi Grande Sud che guadagna mezzo punto e tocca il 6,5% delle preferenze.
Cresce La Destra che passa dal 4 al 6% dei consensi.
Come cresce l’apprezzamento per Sel che recupera un punto percentuale dal 3,5 al 4,5%.
Stabili i valori rilevati per il Pid e per Fli che mantengono rispettivamente il 4% e il 2% dei voti. Perde invece l’IdV di Antonio Di Pietro e del sindaco Leoluca Orlando che passa dal 4,5% della rilevazione della scorsa settimana al 4%.
Federazione della Sinistra all’1,2 con un -0,3% rispetto alla scorsa settimana e invariato lo 0,5% attribuito ai Verdi.
(da Agenzia Asca)
argomento: elezioni | Commenta »