Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
LA CORTE: “CONDANNA NON PER OPINIONE MA PER PUBBLICAZIONE DI NOTIZIA PALESEMENTE FALSA”… L’ESPERTO DELLA MACCHINA DEL FANGO NON POTRA’ SCRIVERE “LE MIE PRIGIONI”
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Alessandro Sallusti a 14 mesi di carcere.
Il tribunale ha inoltre condannato il direttore de Il Giornale alla rifusione delle spese processuali, a risarcire la parte civile e a pagare 4.500 euro di spese per il giudizio innanzi alla Suprema Corte.
E’ stato così confermato il verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 17 giugno 2011. Ci sarà , invece, un nuovo processo per il cronista Andrea Monticone, imputato insieme a Sallusti.
A questo punto Sallusti dovrebbe andare in carcere.
E’ stato lo stesso direttore del Giornale a comunicare che non chiederà al tribunale di sorveglianza l’applicazione di misure alternative: “Domani farò il titolo più semplice della mia vita: vado in galera”.
Sallusti ha anche deciso di presentare le proprie dimissioni all’editore del Giornale.
Lo ha comunicato lo stesso direttore ai suoi collaboratori.
Riunendo la redazione per annunciarlo, il direttore del Giornale ha aggiunto di non essere intenzionato a chiedere l’assegnazione ai servizi sociali “perchè ai servizi sociali ci vanno gli spacciatori” e ha ironizzato: “Non ho bisogno di essere rieducato”.
La procura di Milano ha in ogni caso immediatamente rilevato che la sentenza sarà sospesa: il procuratore di Milano Bruti Liberati ha infatti detto che in assenza di cumuli di pena o recidiva non scatterà la pena detentiva.
LA REQUISITORIA DEL PM
Nella sua requisitoria di questa mattina, il Pg Gioacchino Izzo aveva sostenuto che non ci fossero dubbi sulla colpevolezza di Sallusti nella diffamazione nei confronti del magistrato Giuseppe Cocilovo, ma che fosse necessario “rivalutare la mancata concessione delle circostanze attenuanti”.
Per questo il procuratore della Cassazione aveva chiesto l’annullamento con rinvio della condanna a 14 mesi di reclusione per Sallusti solo “limitatamente all’aspetto delle attenuanti”.
Sussiste — aveva detto Izzo — la “piena responsabilità di Sallusti per quanto riguarda l’elemento soggettivo e oggettivo del reato”.
Tuttavia — ha aggiunto il pg — il ‘no’ alle attenuanti “non si può liquidare solo con riferimento ai precedenti dell’imputato perchè ci troviamo di fronte a una notizia data il giorno precedente da La Stampa, mentre l’articolo attribuito a Sallusti è del 18 febbraio 2007 e per tutta quella giornata si sono susseguiti dispacci dell’Agenzia Ansa che solo a tarda sera identificavano in Cocilovo il giudice tutelare che si è occupato della vicenda dell’aborto della minore”.
Secondo Izzo manca la valutazione della “intensità del dolo” a causa di un quadro di notizie, sulla vicenda, che stentava a delinearsi con chiarezza.
Izzo aveva rilevato anche che “l’attribuibilità a Sallusti dello pseudonimo di Dreyfuss non fosse in discussione”.
Per quanto riguarda la condanna al cronista di Libero, Andrea Monticoni, che aveva scritto un articolo sulla vicenda, il pg aveva chiesto l’annullamento con rinvio — come in effetti è accaduto — “perchè si tratta di un articolo che si limita a raccontare la vicenda ospedaliera e familiare della minorenne implicata in questa vicenda”.
LA NOTA DELLA SUPREMA CORTE
Intanto, la Corte di Cassazione ha diramato una nota per spiegare la propria decisione.
La Cassazione, si legge, ritiene “opportuno precisare” aspetti del caso Sallusti “non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi”.
Per prima cosa la falsità della notizia contenuta nell’articolo anonimo attribuito a Sallusti. ”Emerge, dalle sentenze dei giudici di merito, che:
a) la notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dott. Sallusti — scrive la Cassazione — era ‘falsa’ (la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perchè, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa)”.
Inoltre la Cassazione sottolinea, al punto b) “la non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da La Stampa il 17 febbraio 2007) era già stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano Libero) da quattro dispacci dell’Agenzia ANSA (in successione sempre più precisa, alle ore 15.30, alle ore 19.56, alle 20.25 e alle 20.50) e da quanto trasmesso dal Tg3 regionale e dal Radiogiornale (tant’è che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani, tranne Libero, ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini)”.
Al punto c) la nota della Cassazione sottolinea “la non identificabilità dello pseudonimo ‘Dreyfus’ e, quindi, la diretta riferibilità del medesimo al direttore del quotidiano”.
L’articolo incriminato era intitolato ‘Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l’aborto’.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
LA CALABRIA DI SCOPELLITI, IL MOLISE DI IORIO, LA SARDEGNA DI CAPPELLACCI: LE GESTA DEGLI ELETTI CHE I CITTADINI NON RIMPIANGERANNO
Basterebbe lo stato di famiglia per indispettirsi.
Michele Iorio, è un medico molisano. La sorella Rosa è direttrice del distretto sanitario di Isernia, Nicola, il fratellone, è primario nel reparto di fisiopatologia, Sergio Tartaglione, marito di Rosetta, è primario di psichiatria, il cugino Vincenzo era direttore sanitario e la di lui moglie vice direttrice.
Purtroppo non è finita: Iorio è stato eletto e poi confermato e poi ancora rieletto governatore del Molise.
È stato senatore anche e non è detto che non si ricandidi.
La piccola Corea del Nord italiana ha pompato soldi come nessun’altra.
Ha costruito sul terremoto di San Giuliano di Puglia, paesino di meno di duemila abitanti, un grattacielo di spese e di necessità che ha toccato e superato la rispettabile quota di un miliardo di euro lasciando a terra cumuli di coscienze.
I soldi hanno perforato i molisani trasformandoli in clientes. I soldi sono serviti a fare debiti e a produrre lo sviluppo inverso della logica e della ragione: case senza gente che le abiti, strade senza auto che le percorra, malati senza ospedali. Applausi.
Si è vero, il Tar ha sciolto il Consiglio regionale ma nell’attesa del Consiglio di Stato tutto procede come nei migliori giorni.
Distante da Roma ma vicina al suo cuore pulsante, l’umanità politica che trova fortuna nelle Regioni ha la possibilità di gestire un bilancio complessivo di circa 180 miliardi di euro annui.
Con ampia facoltà di scelta, totale autonomia e vastissima capacità di produrre clienti da quel denaro. Cioè voti. E tessere.
BUCO NERO CALABRO
Non si spiegherebbe altrimenti l’ascesa di Giuseppe Scopelliti, noto deejay reggino, cestista di belle speranze, giovanotto della destra ultrà .
Ha fondato sulla città che possiede da più di un decennio, Reggio Calabria, le sue fortune elettorali.
Realizzando, e tra poco vedremo come, un “modello” che ha traghettato il suo corpo in Regione.
Ora è governatore, ed è potente. E ha tantissime segretarie. E anche il fotografo personale. Bellissimo così.
Il Popolo della libertà lo accarezza e se lo conserva come un bambino prodigio. Meglio di lui a far voti non c’è nessuno. Infatti, ieri era qui a Roma, al vertice nazionale del partito.
Un luogo utile per perorare forse la causa che più gli sta a cuore: non far sciogliere per mafia il Comune di Reggio Calabria a lui devoto.
La città , alla quale Scopelliti ha regalato favolosi notti bianche con le bellezze della scuderia di Lele Mora, è sul punto di cadere sotto i colpi dei verbali degli ispettori del ministero dell’Interno.
Troppo crimine nei paraggi del municipio, e parecchie mani sporche a succhiare denaro pubblico. Reggio da modello si trasforma nel buco nero della democrazia, con le finanze ridotte a brandelli: 170 milioni di euro di debiti accertati.
Chi paga? Soprattutto: chi parla? Roma ha un cuore d’oro e cieca resta.
STAZZA LIGURE
Ma quanti onorevoli Er Batman sono sparsi per l’Italia…
A Genova, solo per stazza, è equiparabile all’ormai noto Francone Fiorito il presidente del Consiglio regionale ligure Rosario Monteleone.
Un bel pezzo di democristiano, vitale e disposto ad aiutare chi chiede aiuto. Larga clientela, molto consenso.
Ottimo il simbolo che lo vede protagonista politico: Udc.
Di qualche tempo fa un’indagine giudiziaria dalla quale spunta, incredibilmente, il suo nome. Due boss della ‘ndrangheta al telefono parlano di voti e di persone. Lui ferma tutti: “Sono indebitamente tirato in ballo”.
Innocente era e resta.
Come sempre. Come tutti.
NAPOLI PIANGE
“Cesaro Luigi, nato a Sant’Antimo, di professione avvocato non praticante, risulta di cattiva condotta morale e civile …in pubblico gode di scarsa stima e considerazione (informativa dei carabinieri n. 0258456/1 del 27 ottobre 1991).
Luigi Cesaro oggi è un attivo deputato al Parlamento italiano e con tutti gli onori è stato acclamato anche presidente della Provincia di Napoli.
Due poltrone per lui, il tempo è signore.
POVERI SARDI
Dove sono i padroni d’Italia e come sono fatti?
Ugo Cappellacci, il figlio dell’ex commercialista di Berlusconi, regge la Sardegna, dove soffia il vento.
Indagato per l’affare eolico con illustri protagonisti giudiziari, un chiarimento forse da dare ancora per una vecchia storia di bancaroitta fraudolenta e nulla più. Sardinia felix.
ONORATA SICILIA
Apriamo e subito chiudiamo la parentesi di Raffaele Lombardo, che le amarezze seguite all’innumerevole sequela di scandali siciliani, e torti e sprechi grandi e piccoli, gli hanno fatto venire voglia di ritirarsi a vita privata.
“Farò l’agricoltore”, ha promesso. Infatti è lì che coltiva.
Forse, ma per pura passione, suo figlio svilupperà le grandi capacità oratorie del babbo e terrà teso il filo della speranza: Lombardo in Sicilia è immortale. Le premesse sono buone, e l’urna è vicina.
Non vediamo mai come anche dal male si riesca a cavare del bene, e dalla carta di identità un ufficio e una segretaria.
GUAI DA ROMA A TORINO
Nemmeno sappiamo, per esempio, che il sindaco di Roma ha delegato agli affari calabresi un suo consigliere comunale, l’avvocato (calabrese) Domenico Naccari. Siamo giunti così alla delega etnica, e Gianni Alemanno è quel signore che l’altro giorno si è prodotto in un ultimatum per la bonifica morale della Regione Lazio.
Povera Polverini e, forse, povero Roberto Cota, il governatore del Piemonte, autonomista nello spirito e caritatevole d’animo.
Era del cerchio magico e pensava da governatore che fosse suo compito reggere il posacenere a Umberto Bossi, il leader fumante.
Smagliante figura di uomo di Stato, ritratto nella prefettura di Torino a calcolare il raggio di caduta della cenere del senatùr. Il sigaro è finito e anche Roberto sembra andato in fumo.
Antonello Caporale
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
ALEMANNO VUOLE UNA SOLA GIORNATA DI CONSULTAZIONI PER PARLAMENTO, REGIONE E COMUNE… IL CAVALIERE TEME UNA CAPORETTO: PENSA PIUTTOSTO A FRAMMENTARE IL PDL IN PIU’ PARTITI RIUNITI POI IN UNA COALIZIONE
C’è uno spettro che sta terrorizzando da tre giorni il Cavaliere e i suoi fedelissimi: si chiama “grande election day romano”.
Che, cioè, il prossimo 7 e 8 aprile 2013 si possano trasformare nell’apocalisse elettorale del centrodestra, una valanga di risultati negativi su tre fronti politici chiave capace di dare il colpo di grazia al centrodestra e decretando un suo definitivo ridimensionamento anche dallo scacchiere politico nazionale.
I sondaggi al 20% sono solo un’illusione, perchè il peggio deve ancora arrivare.
Lo spetto non riguarda solo l’apertura delle urne per le politiche e delle Regionali del Lazio causa show down della Polverini.
Si aprirà anche il fronte Campidoglio.
Il mandato della giunta di Gianni Alemanno, ex An e a capo di una corrente influente in quel che resta del Pdl, scade a maggio 2013.
E il sindaco sta pensando (ieri ha parlato di “ipotesi allo studio”) di sciogliere anticipatamente il consiglio comunale per far votare i romani in un’unica tornata elettorale anzichè richiamarli due volte alle urne nel giro di due mesi.
Questione anche di ottimizzazione della spesa, certo, ma soprattutto un modo per prendere in contropiede il Pd che, a quel punto, dovrà puntare su più cavalli di razza per giocare la partita su tutti e tre i fronti e non sembra, almeno al momento, che sia in grado di spendere tre facce nuove per tre posti chiave nel nuovo assetto politico del Paese che passa per Roma.
In ballo c’è Palazzo Chigi, la Pisana, il Campidoglio e forse anche il Pirellone.
E con il grande “election day”, il centrodestra sa di perdere, ma di mettere anche in forte difficoltà gli avversari.
A palazzo Grazioli, dunque, si studiano le strategie delle prossime elezioni su più fronti, mentre il segretario del Pdl, Angelino Alfano, si sforza ogni giorno di tenere compatto il partito anche a costo di sfiorare il ridicolo con l’utilizzazione di slogan come “Rinascimento Azzurro” per far credere all’esterno che il disfacimento sia solo un’impressione.
Peccato che traspaia l’esatto contrario.
Se anche il centrodestra ha ancora un mercato,non sembra però più in grado di avere un prodotto da offrire.
A destra, insomma, non si coltiva più nemmeno la speranza di un’affermazione elettorale che possa capovolgere un destino che appare segnato. E l’unico modo per non perire del tutto è di rendere comunque meno agevole la vittoria degli avversari.
Le strategie sono in corso, dunque, anche se il clima interno al Pdl non aiuta.
Gli ex An, d’altra parte, sono già con tutti e due i piedi fuori dalla porta di via dell’Umilità , anche se Maurizio Gasparri, il capogruppo al Senato più vicino al Cavaliere, minimizza le battute di Berlusconi (“Gli ex An devono uscire dal Pdl”) parlando di “favole”.
“Gli ex An in un altro partito? Non serve adesso parlare di questo, dobbiamo fare la legge elettorale, al piu’ presto, poi dobbiamo dare un’immagine seria, dobbiamo fare quel partito degli onesti di cui parlava Alfano. Dobbiamo parlare di contenuti e di scelte, ci vogliono comportamenti e decisioni seri, servono fatti ed esempi: anche Berlusconi credo che sia il piu’ interessato ad una scelta di questa natura”.
Forse si. Ma di certo il Pdl è morto e Berlusconi “si è scocciato”, dicono i suoi. “Avrebbe dovuto ritirarsi già molto tempo fa — ammette un fedelissimo come Vittorio Feltri — non ha più voglia, cerca qualcuno che rappresenti il centrodestra al posto suo ma non lo trova. Noi abbiamo Alfano, che è simpatico. Ma dove cazzo vai con Alfano?”.
La frase rende perfettamente il clima sfilacciato, a dir poco incerto e un po’ crepuscolare che si respira nel Palazzo, ma non solo dalle parti del Cavaliere.
Come in tutti i momenti dissolutivi, nella storia come nella recente cronaca politica, da Mani pulite in poi, anche questa volta stanno saltando i vincoli d’appartenenza, i rapporti anche più antichi e sedimentati, coperture e complicità , e all’interno dei partiti s’avanzano gruppi, bande, padroncini in lotta tra loro: come nel Lazio, prima che Renata Polverini decidesse di dimettersi, così anche in Lombardia dove il potere “celeste” di Roberto Formigoni vacilla e fa gola ai leghisti alleati e amici di un tempo. Nel Pdl, nel quartier generale bombardato, la distanza umana e antropologica tra una parte degli ex di An e il gruppo degli ex di Forza Italia appare ormai incolmabile.
E infatti si parla di separazione consensuale, checchè ne dica Gasparri, per confondere le acque.
Ma cosa sta cercando davvero Berlusconi?
A sentire i suoi, sembra che stia coltivando l’idea di un grande gesto di rottura, ma il tentennamento continuo tra un’endorsement a Mario Monti e lo studio accurato della figura mediatica di Beppe Grillo, stanno spazientendo anche i più affezionati dei suoi. Anche se nella notte tra lunedì e martedì, riuniti alcuni fedelissimi ad Arcore, il Cavaliere ha dato l’impressione di voler spacchettare sul serio il Pdl in più di un soggetto da federare sotto una comune insegna: un partito della destra per gli ex di An, uno dei democristiani, uno dei socialisti, uno dei liberali…
“Cambiare nome, cambiare classe dirigente, tutti a casa”, ha svelato Daniela Santanchè che sembra la persona in grado di decriptare meglio le sensazioni berlusconiane, ma intanto negli occhi di deputati e senatori (anche non si stretta osservanza arcoriana) si intravvede lo spettro del disastro definitivo incombente, di cui l’election day romano potrebbe diventare la catarsi assoluta.
La partita del tentativo di salvezza passa attraverso la legge elettorale che, a questo punto, tutti vogliono che resti il Porcellum, seppur corretto con le preferenze.
Ma incombe l’approvazione rapida del traffico delle influenze e della corruzione tra privati, il pacchetto anticorruzione cui il Pdl ormai sa di doversi piegare.
Anche Berlusconi deve rendersi conto che il mondo in cui lui ha vissuto e comandato, quello degli ultimi vent’anni, è finito.
“Lui non può continuare a promettere l’abolizione dell’Imu come nulla fosse…”, s’arrabbia un deputato di rango pidiellino nel cortile di Montecitorio.
“Avrebbe dovuto tuonare contro l’Europa, e avrebbe raccolto consensi, invece è rimasto a metà del guado. Nè montiano nè antimontiano, nè europeista nè antieuropeista. Avrebbe dovuto scegliere: se stai con Monti stacci fino in fondo”. Invece, è ancora caos.
E l’Apocalisse elettorale si avvicina sempre più.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
IN MOLTI ASPETTANO, ALTRI NON SI PRONUNCIANO… UNA SFIDA SENZA REGOLE, MA IL SINDACO DI FIRENZE HA DETTO TROPPO POCO
Da quando Matteo Renzi ha portato la sfida al cuore dello Stato, cioè a Roma, cioè da due giorni, le primarie sono definitivamente iniziate.
La partita contro Bersani è ormai iniziata.
Ma anche quella a Nichi Vendola, che ancora non ha sciolta la riserva.
La battaglia però sta arrivando al suo culmine e queste primarie sono diventate subito una sfida omerica, fatta di colpi bassi, di menzogne, di omissis, di cose non dette nel centrosinistra o — peggio — non dette ai suoi elettori. Il duello inizia male: cioè senza regole date, senza tempi certi.
Si candida Stefano Boeri, ma poi traccheggia e viaggia verso Laura Puppato, che si candida davvero.
Ma poi si candida anche Pippo Civati, ma poi Civati ancora non ha deciso se si candida lui o se sostiene la Puppato: nei giorni pari si candida, in quelli dispari no, e la storia rischia di non avere più un senso proprio come nel profetico epigramma di Vasco Rossi che Pierluigi Bersani si scelse come epigrafe.
Chi correrà o meno, dipenderà anche dal fatto se ci sarà il doppio turno o meno.
La giunta di Giuliano Pisapia rischia di avere tre assessori candidati: oltre a Bruno Tabacci e Stefano Boeri anche Cristina Tajani (poi stoppata dal buonsenso).
Bersani ha detto che lui il doppio turno lo vuole.
Cosa cambia? Che la sua legittimazione sarebbe più forte, in caso di vittoria con il 50%, me anche con un eventuale ballottaggio (se prendesse meno).
Ma così facendo si apre il rischio-sette-nani, con tutti i colonnelli e le giovani glorie del Pd che vedono spazio per una battaglia di visibilità , e già sognano di mercanteggiare qualche poltroncina o qualche seggio.
Molti sono stupiti del silenzio di Vendola.
Ebbene, questo silenzio ha due ragioni: una che si può dire e una che non viene detta. La prima è che Vendola non vuole fare la figurina di copertura nel mezzo del regolamento di conti in casa del Pd. In queste ore è alleato di Bersani, e prima di scendere in campo aspetta di vedere se il segretario del Pd potrebbe essere danneggiato o meno dalla sua candidatura.
Così bastano pochi giorni di incertezza perchè si possano intravedere praterie a sinistra: non ultima l’ipotesi clamorosa, che circolava a Torino, alle festa della Fiom, di vedere in campo un candidato del sindacato di Maurizio Landini (lui per ora dice di no a tutti e pare irremovibile, ma non mancano altre ipotesi, vagliate in segretezza in queste ore).
Così Vendola dovrebbe candidarsi per occupare uno spazio e “coprire le spalle”al leader del Pd.
Ma se ha detto che scioglie il riserbo il 30 settembre c’è un altro motivo. Il governatore della Puglia è in attesa di capire come finisce l’inchiesta che riguarda la sua giunta.
Così, in questo momento, l’outsider Renzi guadagna terreno perchè di fatto è l’unico che si è bruciato tutti i ponti dietro le spalle, l’unico che rompe, l’unico che non accetterà sostegni, l’unico immune dal ricatto dei sette nani.
Ha già dimostrato un grande coraggio, con una scelta senza ritorno.
Se vince vince tutto, ma se perde perde Firenze (la città dove, paradossalmente, in queste ore è più impopolare).
Certo, avrà crediti per lanciare un’Opa sul Pd. Ma adesso appare un corridore senza rete.
Resta però un problema: su quali contenuti vuole vincere?
Il vero problema di comunicazione che Giorgio Gori deve affrontare è: Sotto la rottamazione niente.
Spella D’Alema, sbeffeggia la Bindi, schiaffeggia Veltroni (presentando il suo libro) e quello gli nega il sostegno.
Però, se togli questo messaggio, e la sua rifrittura del grillismo e dell’anticastismo, se togli la martellante campagna di “conquista ”degli elettori del Pdl, cosa rimane?
Renzi in queste ore (e magari il varco- direbbe Montale —fra poco si richiude) si torva in uno di quei momenti magici in cui tutto è possibile.
Se andrà oltre le sue colonne d’Ercole, se metterà dei contenuti, se darà una sistematizzazione agli slogan scomposti con cui si è fatto largo ma”), se sarà attenuare la sua cultura dei diritti civili (che è ancora da dibattito intorno al falò dell’Agesci) potrebbe persino raccogliere i voti di un pezzo di elettori progressisti affascinati dall’idea della “rottura ”.
In fondo sono gli stessi che sono andati curiosi ai suoi comizi a San Miniato e a Livorno, nel cuore della Toscano rossa.
“Si è portato dietro i pullman”, diceva un franceschiniano come Piero Martino a Reggio Emilia.
Ma perchè gli altri non riescono nemmeno a a farli partire, questi benedetti pullman?
Luca Telese
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
TAGLI SELETTIVI E NON LINEARI: DEL 20% PER I DIRIGENTI, DEL 10% PER GLI ALTRI DIPENDENTI PUBBLICI
Un percorso a tappe forzate per ridurre di almeno il 20% i dirigenti e del 10% gli altri dipendenti pubblici, come disposto dal decreto sulla revisione della spesa pubblica (spending review).
Un percorso che deve concludersi tassativamente entro il 31 dicembre.
Lo ribadisce la lunga direttiva adottata ieri dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
Il tempo a disposizione è così breve e gli adempimenti da fare così tanti e delicati che la stessa direttiva si conclude con una sorta di appello: «Data la complessità della procedura e i tempi stretti di applicazione, si confida nella fattiva collaborazione di tutte le amministrazioni per la corretta e tempestiva predisposizione degli atti di competenza».
Destinatarie delle riduzioni di organico sono tutte le amministrazioni dello Stato, dai ministeri agli enti pubblici.
I tagli, sottolinea però la direttiva, ed è questo uno dei suoi principali contenuti, non dovranno essere lineari, ma «selettivi», perchè verrà applicato il principio della compensazione, cioè un’amministrazione potrà tagliare anche meno dei livelli indicati dalla legge (20% e 10%) purchè ciò venga recuperato con un taglio maggiore in un’altra amministrazione.
Le compensazioni potranno essere interne a una stessa amministrazione o «trasversali».
Si tratta infatti, si legge nella direttiva «di operare una riorganizzazione che non sia di meri tagli di posti, quindi solo quantitativa, ma che sia pensata, in termini qualitativi e qualificanti, come riassetto ed alleggerimento delle strutture».
Il tutto avverrà con la consultazione con i sindacati, ma con una decisione finale che spetterà allo stesso ministero della Pubblica amministrazione perchè è «chiara la scelta del legislatore di centralizzare la decisione», scrive Patroni Griffi.
Il quale prenderà i provvedimenti di «riduzione degli assetti organizzativi» entro il 31 ottobre.
Per questo la direttiva dispone che enti pubblici e agenzie forniscano al ministero le proprie proposte di taglio già entro venerdì 28 settembre, cioè tra due giorni, mentre le altre amministrazioni dello Stato hanno tempo fino al 4 ottobre.
L’altra specifica importante della direttiva riguarda i dirigenti, dove si dice che la percentuale di riduzione del 20% indicata dalla legge rappresenta «il valore minimo». «Sarebbe apprezzabile l’eventuale sforzo da parte delle amministrazioni di operare (…) riduzioni maggiori che siano il risultato di un effettivo ridisegno dell’organizzazione operato in relazione ad un fabbisogno essenziale».
Il ministro auspica insomma un taglio dei dirigenti superiore al 20%.
Decisiva per il calcolo dei tagli sarà l’individuazione della «base di computo» risultante dopo le riduzioni di organico già disposte con la manovra di Ferragosto del 2011.
Dai tagli sono escluse, chiarisce la direttiva, la scuola, l’Università e gli istituti di alta formazione, che seguono specifiche normative.
Altre eccezioni riguardano il comparto sicurezza, vigili del fuoco, magistratura, ministero degli Interni e degli Esteri (diplomatici).
Fuori anche ministero dell’Economia e presidenza del Consiglio che avevano deciso per primi di dare l’esempio disponendo tagli al loro personale.
Per le amministrazioni che non metteranno il ministero in grado di disporre i provvedimenti di riorganizzazione entro il 31 ottobre, ricorda Patroni Griffi, scatterà la sanzione prevista dalla legge che consiste nel «divieto di assumere, a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto».
Una volta individuati i tagli, entro il 31 dicembre dovranno essere quantificati gli esuberi non riassorbibili entro due anni, al netto dei dipendenti che potranno andare in pensione.
Gli esuberi verranno collocati in mobilità , entro il 31 marzo 2013, dove potranno restare al massimo per due anni in attesa di essere ricollocati in posti vacanti oppure di finire licenziati.
Enrico Marro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
BERSANI DISCUTE LE IPOTESI DI REGOLAMENTO: GLI ELETTORI DEVONO METTERCI LA FACCIA”
Per votare alle primarie basterà aver compiuto sedici anni.
Si dovrà donare al centrosinistra un obolo di due euro o più e lasciare il proprio nome, cognome, indirizzo e mail, che finiranno in un albo pubblico (e computerizzato) degli elettori progressisti.
Il regolamento ufficiale è ancora da scrivere, ma almeno a grandi linee la sfida tra Bersani e Renzi comincia a definirsi.
Il leader del Pd ne ha discusso con i suoi e si è ancor più convinto che gli elettori «debbano metterci la faccia».
D’altronde, è la tesi di Bersani, «come il Pd ha deciso di cedere sovranità » ai suoi sostenitori, così gli elettori devono «assumersi una responsabilità nel sostegno al centrosinistra».
E poi, quando si trattò di incoronare Romano Prodi, l’elenco pubblico c’era già …
Matteo Renzi dovrà mettersi il cuore in pace, sull’albo il segretario non molla.
Ha troppa paura dell’effetto «batman», quei dirigenti del Pdl a cui potrebbe venire voglia di inquinare le primarie per condizionare le politiche.
Come dice Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione in segreteria, «nessuno pensa di limitare la partecipazione degli italiani alle primarie, ma chiediamo ai nostri elettori un gesto di responsabilità ».
E se a un cittadino deluso da Berlusconi venisse voglia di votare alle primarie?
«È auspicabile che gli elettori del Pdl cambino idea – apre Orfini –. Se non hanno paura di dire che non sono più di centrodestra, iniziano a far parte di un progetto alternativo».
Si voterà domenica 25 novembre o una settimana più tardi, il 2 dicembre.
E se Renzi, come parte del Pd, vuole il turno unico, Bersani insiste perchè la competizione si svolga in due tornate.
Certo, le regole dovranno essere discusse dall’assemblea nazionale del Pd il 6 ottobre e poi approvate dagli alleati, Sel in primis. Ma la bozza c’è.
Oggi per la prima volta si vedranno gli «sherpa» che i partiti hanno incaricato di scrivere le regole: Maurizio Migliavacca per il Pd, Francesco Ferrara per Sel e Marco Di Lello per il Psi.
Fosse per i socialisti, ogni elettore dovrebbe sborsare dieci euro e ogni partito non potrebbe schierare più di due candidati.
E poi, come spiega Di Lello, all’albo toccherebbe iscriversi «una settimana prima». Questo però, temono i democratici, rischia di restringere troppo la platea dei votanti, il che renderebbe inevitabili i confronti con le primarie di coalizione di Prodi: nel 2005 gli italiani che fecero la fila ai gazebo furono oltre quattro milioni.
Se si punta a eguagliare quei numeri c’è una sola via e cioè che registrazione e voto avvengano contestualmente.
Sul voto agli stranieri, dopo lo scandalo dei cinesi in coda a Napoli il dibattito è aperto.
Ma il nodo è Renzi, che a norma di Statuto deve ottenere una deroga per poter scendere in campo.
Autorevoli dirigenti del Pd vorrebbero non dargliela affatto, la deroga.
Bersani però si è impegnato pubblicamente e indietro non può tornare.
Ecco perchè ieri in segreteria si è deciso di fissare rigide «soglie di accesso». Il come è ancora allo studio.
Se si dovesse applicare alla virgola la carta fondamentale del partito, per candidarsi servirebbe la firma di 350 membri dell’assemblea o di 120 mila iscritti: soglie altissime, che gli «sherpa» saranno costretti ad abbassare.
E ieri è tornato a farsi sentire Romano Prodi.
Con una nota della portavoce Sandra Zampa l’ex premier ha fatto sapere che voterà alle primarie, ma non dirà per chi.
E dopo aver smentito di puntare al Quirinale, ha chiarito che la presenza del suo ex collaboratore Ernesto Carbone nello staff del sindaco non è un endorsement per Renzi: «L’opzione a favore di questo o quel candidato non riguarda in alcun modo il presidente». Bersani può tirare un sospiro di sollievo.
Monica Guerzoni
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
VENERDI’ A TORINO CON GLI STATI GENERALI DEL NORD VA IN ONDA LA NUOVA LEGA IMBORGHESITA DI MARONI… SOCIETA’ DI CONSULENZA ALLE SPALLE, OSPITI MINISTRI E INDUSTRIALI: D’OBBLIGO METTERSI IL VESTITO BUONO PER ENTRARE NEI SALOTTI
Venerdì 28 a Torino con l’avvio degli Stati generali del Nord la nuova Lega targata Maroni tenterà di cambiar pelle.
Di parlare del Nord più che della Padania.
L’esperimento – sono gli stessi leader del Carroccio a usare questo termine – si presenta impegnativo perchè da una parte bisognerà dare corpo a una discontinuità con le vecchie giaculatorie bossiane e dall’altra evitare che la base possa pensare a una cessione della primogenitura padana in cambio del solito piatto di lenticchie. L’obiettivo finale di Maroni è quello di aggiornare sia l’analisi del territorio e della crisi sia di formulare nuove proposte di intervento.
«A un ragazzo che resta disoccupato da anni non possiamo proporre solo di venire a Pontida» è la battuta che fotografa meglio il cambio di approccio.
Anche spulciando nei lavori preparatori dell’appuntamento torinese è possibile scorgere più di qualche elemento di novità .
Ad esempio il coinvolgimento nella preparazione del convegno di una società di consulenza, l’inglese Ernst & Young, una delle big four del settore.
Ma soprattutto la presenza sul palco del Lingotto di almeno quattro ospiti esterni del calibro di Corrado Passera, Raffaele Bonanni, Giuseppe Guzzetti e Giorgio Squinzi, nessuno dei quali probabilmente avrebbe mai preso la parola ai tempi del Senatur.
La differenza è che se in passato la Lega tendeva a costruirsi in casa le rappresentanze (il sindacato padano, l’associazione dei commercianti padani), ora vuole dialogare e contaminarsi con i soggetti reali, si chiamino essi Confindustria, Rete Imprese Italia o Cisl.
Maroni ha scelto di andare agli Stati Generali senza un documento a tesi ma presenterà alla platea il suo Manifesto dopo averlo testato nella prima giornata in sei gruppi di lavoro misti dove siederanno, gli uni accanto agli altri, leghisti e non leghisti.
Si abbassano dunque i ponti levatoi e la Lega si dichiara pronta a mettersi in gioco con un solo obiettivo irrinunciabile: il Nord e la salvaguardia della vocazione industriale del Paese.
Vedremo se l’esperimento funzionerà e se il nuovo gruppo dirigente leghista riuscirà a parlare non solo ai «padani ideologici» bensì a tutti coloro che considerano centrale la questione settentrionale.
In attesa del manifesto di Maroni qualche traccia sui nuovi orientamenti programmatici della Lega la si può cogliere qua e là .
Prendiamo il tema delle banche e del loro salvataggio.
I maroniani spingono per la soluzione adottata con la Royal Bank of Scotland, se lo Stato mette i soldi – anche via Tremonti bond – deve diventare azionista, nominare un management autonomo e controllare che la banca (leggi Monte dei Paschi) non faccia mancare il credito alle imprese.
Sul caso Marchionne la Lega non milita certo tra i supporter della Fiat e promette di vigilare contro la concessione di qualsiasi tipo di aiuto e incentivo ad hoc. «Se date i soldi alla Fiat dovete darli a tutti».
Infine le novità più interessanti stanno maturando sul tema delle piccole imprese.
La Lega sta riconsiderando la sua posizione «museale», orientata alla pura e semplice conservazione dell’esistente.
Si comincia, anche se cautamente, a parlare di aggregazioni tra Pmi, di specializzazione produttiva, di innovazione.
Per chi ha avuto modo di frequentare le assemblee dei Piccoli la discontinuità è lampante visto che gli interventi dei rappresentanti del Carroccio finivano sempre per esaltare l’individualismo degli artigiani senza spendere mai una parola a favore delle reti di impresa.
Se l’esperimento torinese riuscirà Maroni affronterà la campagna elettorale con le mani libere per cercare di recuperare sul terreno del consenso.
Perchè oggi il Carroccio deve difendersi da due nuovi concorrenti che possono ambire a influenzare l’elettorato ex-Bossi, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e la nuova formazione politica annunciata da Giulio Tremonti.
Non a caso tutti e tre i capi (Maroni, Grillo e Tremonti) nelle ultime settimane si sono contesi, almeno a parole, l’idea del referendum sull’euro.
Materia incandescente quanto elettoralmente appetibile.
Dario Di Vico
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
CALO DELLE COMPRAVENDITE: PESANO LA CRISI E LE DIFFICOLTA’ DI ACCESSO AL CREDITO… TORNA IN AUGE LA LOCAZIONE
La necessità di cambiare casa resta, ma ottenere finanziamenti per comprarne una è un’impresa. Di conseguenza il numero di contratti d’acquisto diminuisce, mentre torna a crescere quello dei contratti d’affitto.
Questo è il trend attuale del mercato immobiliare in Italia secondo quanto confernato anche dall’Istat, che oggi ha pubblicato i dati sulle compravendite nel primo trimestre del 2012.
Nei primi tre mesi dell’anno, le vendite di case (154.813 in totale) sono diminuite del 16,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il 92,9 per cento dei contratti ha riguardato abitazioni (con un calo del 17,2 per cento rispetto allo scorso anno), il 6,3 per cento immobili ad uso economico (meno 11,8 per cento rispetto al 2011).
Il crollo del mercato è strettamente connesso non solo direttamente alla crisi, ma anche alla sempre maggiore difficoltà di accesso al credito.
Lo dice il dato sui mutui, diminuiti del 49,6 per cento rispetto al primo trimestre 2011 (92.415 in totale).
In particolare, i prestiti garantiti da ipoteca immobiliare (64.116) hanno registrato una flessione tendenziale del 39,2 per cento, mentre quelli non garantiti (28.299) sono diminuiti del 63,6 per cento.
A livello territoriale, il crollo più marcato di compravendite e di mutui (meno 74,5 per cento) si registra al centro, un po’ meno marcato al sud, mentre per gli immobili ad uso economico è il nord-ovest a registrare la flessione tendenziale più contenuta (meno 1,9 per cento).
I dati Istat dimostrano dunque che la recessione ha costretto gli italiani in cerca di casa ad accantonare il sogno dell’acquisto e virare sull’affitto.
Secondo uno studio di Immobiliare.it, elaborato sulla base delle rilevazioni effettuate sugli oltre 700.000 annunci presenti quotidianamente sul sito, nel primo semestre 2012 la domanda di immobili in locazione è cresciuta a un ritmo due volte superiore rispetto a quella degli immobili in vendita e il trend si conferma anche sul fronte dell’offerta.
Da gennaio a giugno, il prezzo medio di vendita delle abitazioni nei capoluoghi italiani è sceso del 2,7 per cento. “La difficoltà di ottenere un mutuo ha reso l’iter per l’acquisto di una casa sempre più complesso – dice Guido Lodigiani, direttore Ufficio studi di Immobiliare.it – ed è naturale che gli italiani abbiano dirottato il loro interesse verso soluzioni in affitto, pur perdendo i vantaggi del risparmio forzoso che garantisce l’acquisto di una casa; il calo dei prezzi di vendita degli immobili è diretta conseguenza di questo fenomeno”.
La tendenza alla corsa agli affitti è stata confermata anche nel corso di un convegno delle associazioni degli agenti immobiliari tenutosi di recente a Varese.
“Il numero delle locazioni è aumentato proprio a causa della diminuzione delle compravendite – spiega Dino Vanetti, vicepresidente di Fimaa (Federazione mediatori immobiliari) Varese – chi non può acquistare perchè è sempre più difficile ottenere un mutuo, ma ha bisogno di cambiare casa, si rivolge necessariamente all’affitto. Un problema che vale per gli italiani, ma ancora di più per gli immigrati: la compravendita da parte loro è diminuita vertiginosamente, sempre per problemi di accesso al credito. Fortunatamente è cresciuta però la fiducia nell’affittare a cittadini stranieri, così il mercato, e le esigenze di chi cerca casa, vengono compensate”
Monica Rubino
(da “La Repubblica“)
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Settembre 26th, 2012 Riccardo Fucile
“QUI ALMENO UNO SU DIECI FA USO DI DROGA”…E C’E’ CHI TORNA A INVOCARE I TEST PER TUTTI
Piegano la bocca all’ingiù e rispondono tutti con uno scenografico «Mah», i senatori della Repubblica italiana.
Quel direttore delle Poste interne di Palazzo Madama, due accoglienti uffici vicino all’ingresso principale, non lo aveva mai visto nessuno.
Anche la foto, a scrutarla bene, non dice loro niente.
«Io ho sempre trattato con una donna», dice Marco Stradiotto, del Pd. «Magari lui stava dietro. E poi, sono tra quelli che hanno fatto l’esame del capello, quando lo propose Giovanardi. Droga qui? Ma non vede? Hanno una certa età , sono così tranquilli».
Con lui, Francesco Sanna: «Mi pare che non ci sia il mercato ideale. Mai viste nei bagni piste dimenticate. O forse dovremmo diffidare dei colleghi anziani troppo arzilli?».
E Nicola La Torre, addirittura, «macchè droga, qui vogliamo chiedere di mettere le sputacchiere».
Ad attraversare gli assopiti corridoi del Senato, sui soffici tappeti rossi nel torpore di un martedì pomeriggio, tutto verrebbe da pensare tranne che alla cocaina.
Eppure, in mezzo all’incredulità dei più, c’è un senatore che – anonimo – rivela all’agenzia Dire: «Qui il dieci per cento di noi si droga».
E c’è il leghista Roberto Calderoli che prende la parola in aula per invocare le perquisizioni: «Se il presidente del Senato vuole escludere qualunque tipo di coinvolgimento dell’istituzione che presiede in un fatto di questa gravità , dovrebbe disporre un ordine per consentire il pieno accesso agli operatori di polizia giudiziaria ».
Che al Senato di norma non possono entrare, spiega Luigi Zanda, secondo cui Ranaldi «potrebbe essersi sentito protetto dall’ambiente».
Già , l’ambiente.
Fuori dall’aula, davanti a un succo di frutta, Calderoli spiega: «Non credo che negli uffici del Senato possano trovare qualcosa che vada oltre l’uso personale, ma non so cosa facesse e chi fosse questo signore: bisogna guardare dove poteva custodire qualcosa».
Le pare credibile, il dieci per cento di senatori che fa uso di cocaina?
«Mi sembra poco!».
Fuori i nomi, verrebbe da dire. Nessuno va al di là delle battute.
Al limite, come Pancho Pardi, ricordano «quell’ex sottosegretario (Miccichè n.d.r.) che la droga se la faceva portare perfino in ufficio.
“Però i senatori, supposto che ne facciano uso, non credo vengano ad acquistarla alla posta». Elio Lannutti ha portato ai colleghi i risultati tossicologici di quando fece il suo esame del capello, «Cattedra di tossicologia forense», si legge sull’intestazione: ha invitato tutti a fare l’antidoping.
Proposta che, ufficialmente, fanno Raffaele Lauro del Pdl e Alberto Filippi di Coesione Nazionale: «Dobbiamo dimostrare trasparenza con i test antidroga».
Per ora, nessuno li prende sul serio.
Anche se Lannutti è categorico: «Se c’è uno spacciatore ci devono essere i consumatori. Io ho passato una vita a difendere un altro tipo di consumatori, ma questi non sono difendibili».
E lei? «Vengo da una cultura contadina, mai neanche uno spinello».
Il presidente della Commissione Affari Costituzionali, Carlo Vizzini, fa notare: «Non siamo più giovanissimi, potrebbe venirci un attacco di cuore. Quelle sostanze sono dei vasocostrittori, ti costringono a bere per dilatare… non fa proprio per noi. Io poi sono talmente drogato di legge elettorale che non potrei assumere altre sostanze».
«La politica è sangue e merda – il prodiano Silvio Sircana cita Rino Formica – recentemente, è cambiato il mix».
Di questo, hanno tutti paura. Del discredito, del sospetto. «Siamo circondati», «Piove sul bagnato », «Mala tempora currunt», sono le frasi che si rincorrono.
La vicepresidente leghista Rosy Mauro vestita di nero non vuole fermarsi neanche a parlarne. Marco Follini chiede: «Come ci si difende dalle cose da cui non si è nemmeno sfiorati?».
Poi però arriva Stefano Pedica, Idv: «Secondo i commessi quel direttore era stato indicato da un altro presidente del Senato». In passato, quindi. Voci. Sospetti.
E Lucio d’Ubaldo, Pd, che a sera dice con una risata rassegnata: «Ma come non l’hanno mai visto? Davvero hanno detto tutti così? Ma se parlava con tutti!». Tutti? «Tutti. Lo conoscevamo, sa come si fa: “Buongiorno. Come stai?”. Era gioviale, certo non il solito romano con l’abbraccio e il bacino, veniva sempre in giacca e cravatta, distinto. Aperto però, e soprattutto, appassionato di politica. Voleva sempre sapere, chiedeva quel che succedeva». D’Ubaldo è convinto che non c’entri niente, che abbia fatto un errore, che qualcuno lo volesse incastrare.
«In tanti anni uno qualche elemento doveva pur ricavarlo, e invece davvero, non avevo ragione di credere a una cosa del genere. E non credo possa essere concepibile che qui ci fosse un giro di spaccio».
Nessuno lo ricorda, però, il direttore delle Poste: un viso troppo comune, un caso di amnesia collettiva?
Ride e allarga le braccia. «Ma che non conosci la signora che sta qui alla cassa? Sono codardi. La verità è che sono codardi».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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